Preso
e ucciso dopo una sparatoria a Roma Luciano Liboni |
La
cattura del “Lupo” |
Due
carabinieri hanno messo fine alla latitanza del pericoloso
bandito, che aveva tenuto testa alle forze di polizia di
mezza Italia, decretando il dissolversi di un incubo che
aveva tenuto tutti col fiato sospeso |
di Elena Carulli
Roma.
“Ha la faccia brutta, è andato da quella parte”.
Grazie a questa dichiarazione, fatta a due vigili urbani in servizio
nella zona da una signora che si trovava lì per caso, è
stato possibile catturare Luciano Liboni, il killer soprannominato
“Il Lupo”. Zona Circo Massimo, Roma, 31 Luglio, la
donna aveva avvistato il Lupo che camminava da Via Petroselli
verso Via dei Cerchi. I due vigili urbani in motocicletta, secondo
il racconto non hanno indugiato un attimo e, in moto, hanno fatto
il giro passando per Piazza Bocca della Verità, Via dell’Ara
Massima di Ercole, per non percorrere Via dei Cerchi contromano
e poi hanno proseguito a piedi fino a Piazza di Porta Capena.
Svoltato l’angolo che dà sul Circo Massimo, hanno
continuato a seguire quell’uomo, temendo che volesse prendere
la metropolitana. La metro è infatti proprio lì
a due passi, ma egli non c’è arrivato; sulla sua
strada la sorte, che fino ad ora l’aveva aiutato, gli ha
piazzato due carabinieri svelti e coraggiosi, messi in allerta
dai vigili, che, impugnate le pistole, non hanno esitato ad affrontarlo.
A quel punto il Lupo, accortosi di non avere più scampo,
per aprirsi una via di fuga, si è voltato verso i militari
e non ha esitato ad esplodere cinque colpi di pistola. Quindi
ha preso una famiglia in ostaggio e, puntando la pistola alla
tempia di una donna, secondo un testimone della vicenda avrebbe
detto: “L'ammazzo, tanto sono morto”, poi è
scappato e ha sparato ancora. I carabinieri hanno risposto al
fuoco colpendolo mortalmente alla testa. Vano infatti è
stato il tentativo di operarlo da parte dei sanitari dell’Ospedale
San Giovanni, dove era stato trasportato d’urgenza in condizioni
disperate. Il suo cuore cessava di battere proprio durante l’intervento,
strappandolo ad una vita trascorsa ai margini del nulla, con una
lunga scia di odio, amarezza e rabbia.
«Liboni aveva un aspetto un po’ diverso rispetto alle
foto che sono state diffuse», dice il maggiore Giovanni
Arcangioli, comandante del Nucleo Operativo dei Carabinieri di
Via In Selci. “Si era rasato, aveva la barba incolta al
massimo di un giorno, non aveva il pizzetto, né gli occhiali
da vista. Indossava una maglietta e dei jeans, in effetti era
facilmente confondibile”.
Uno dei carabinieri presenti riferisce addirittura che tanto è
l'odio di Liboni nei confronti delle forze dell’ordine “che
anche quando è stato messo sulla lettiga in ambulanza ormai
morente, ci dava calci ferocemente. Era tanta la sua ferocia che
gli abbiamo dovuto legare i piedi per neutralizzarlo definitivamente”.
Luciano
Liboni aveva con sé 33mila euro in contanti, provento di
rapine come quella ai danni di una banca il 2l luglio scorso a
Foligno. Diecimila euro li teneva nel portafoglio, i restanti
23mila li aveva riposti nello zainetto che aveva con sé
al momento della cattura. Qui sono stati trovati anche due documenti
falsi. Si tratta di una carta di identità e una patente
con la sua foto, ma con un altro nome: Franco Franchini, nato
il 6 maggio del 1960 ad Ancona, professione operaio. È
uno dei vari alias usati da Liboni e noti alle forze dell’ordine.
Nel conflitto a fuoco con i carabinieri Alessandro Palmas e Angelo
Bellucci, Liboni ha esploso cinque colpi dal suo revolver 375
Magnum con canna da 3 pollici, marca Renato Gamba, con la matricola
abrasa. La pistola aveva in tutto 6 colpi, uno rimasto inesploso.
In tasca il killer aveva anche delle cartucce, mentre diversi
occhiali erano stati riposti nello zaino.
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