Staccata
la spina che teneva in vita Terri Schiavo |
La
dolce morte puo’ attendere? |
Il dramma della donna americana costretta a vivere per
15 anni in uno stato vegetativo. Il suo caso ha commosso
il mondo ed ha riacceso polemiche e scontri politici sull’eutanasia.
Dopo l'autorizzazione del giudice, suo marito ha fatto
interrompere l’alimentazione artificiale ed ha chiuso
la vicenda
|
di Ambra Mazzia
La
questione dell’eutanasia sembra esser tornata in primo piano
non solo nell’immaginario cinematografico, ma anche nella
realtà di tutti i giorni.
Dopo “Million dollar baby”, film campione di incassi
in tutto il mondo e pluripremiato durante la notte degli oscar
statunitensi, e “Le invasioni barbariche”, è
la volta dell’ennesima e reale vicenda umana che vede protagonista
una donna americana.
Terri Schiavo, questo il suo nome, vive in uno stato vegetativo
dal lontano 1990 quando, in seguito ad un collasso e ad uno squilibrio
di potassio, il suo cuore si è fermato ed ha causato danni
cerebrali irreversibili.
Quindici anni di agonia e speranze che si sono spente sul nascere.
Quindici anni “vissuti” con un grado di coscienza
pari a quello di un bambino di pochi mesi.
Ma, come in tutte le vicende che si rispettino, in seno alla famiglia
della donna si è creata una vera e propria spaccatura.
La famiglia, seppur vincitrice di una lunga battaglia legale contro
i medici che avevano malcurato Terri, non vuole arrendersi e continua
a sperare in un recupero miracoloso da parte della donna.
Agli antipodi è invece Michael Schiavo, marito di Terri,
che in questi anni ha tentato con ogni mezzo di mantenere la promessa
fatta alla moglie: non lasciarla vivere artificialmente tramite
le macchine.
"Non ha lasciato nulla di scritto, ma ha manifestato
a voce questo suo desiderio a me e ad altre persone. Lo ha fatto
mentre guardavamo un programma in tv, facendo riferimento a un
suo zio gravemente ammalato. Parlo di due o tre anni prima che
le accadesse l'incidente. Ho ancora un impegno preciso nei confronti
di Terri. Le feci una promessa. Nel 2000 il signor Schindler dichiarò
che per tenerla in vita sarebbe stato disposto a tutto, anche
a tagliarle braccia e gambe e attaccarla a un respiratore. Perché
dovrei permettere una cosa simile?".
Nel 2001 l’uomo ottiene dalla Corte d’Appello il permesso
di staccare la spina , ma dopo soli due giorni il tubo per l’alimentazione
artificiale viene riattaccato in seguito alla dichiarazione di
alcuni medici per i quali Terri potrebbe riprendersi. Stessa cosa
si ripeterà due anni più tardi, quando il tubo verrà
nuovamente staccato, ma interverrà addirittura il presidente
Bush per evitare la morte della donna, applicando una legge creata
appositamente per l’occasione (“legge Terry”)
ed in seguito giudicata incostituzionale.
Siamo infine giunti al 18 marzo e all’ultimo, disperato
tentativo da parte di Michael di porre fine a questo dramma. La
morte potrebbe sopraggiungere al massimo entro una decina di giorni
in uno stato di quasi totale incoscienza da parte di Terri.
Ci
sembra opportuno e socialmente rilevante discutere questa questione
che, come molte altre nel corso degli ultimi anni, riporta il
tema dell’eutanasia all’attenzione di tutti.
Mai come in questi casi risulta evidente come la dignità
di una persona possa essere calpestata e ridicolizzata con simile
ottusità e come d’altra parte si pensi che il denaro
sia la giusta soluzione ad ogni problema, anche di natura affettiva
(ci riferiamo al miliardario che avrebbe offerto un milione di
dollari al marito della donna sperando di dissuaderlo dalla sua
decisione).
Qui non si tratta di difendere a tutti i costi il diritto alla
vita, come molti militanti cristiani fanno tuttora, né
di permettere una simile atrocità, una morte così
lenta e straziante, oltretutto giocando con la persona in questione
staccando e riattaccando più volte la spina.
In casi del genere in cui per anni non ci sono stati segnali di
recupero e, soprattutto, in cui in precedenza è stata consapevolmente
espressa una volontà da parte del soggetto interessato,
l’eutanasia continua a rappresentare la soluzione migliore
e la più grande dimostrazione di rispetto verso le vittime
di certi drammi.
Basterebbe un po’ di sano buon senso per capire quando è
giunto il momento di dire basta.