Analisi a dieci
anni dal genocidio che decimò un intero popolo |
Rwanda:
cronaca di un massacro annunciato |
Una strage vergognosa
il cui sangue ancora gocciola dalle coscienze di parte della
comunità internazionale. L’ONU sapeva, gli Usa
vietarono di parlare di genocidio e la Francia addirittura fiancheggiò
gli autori dell’eccidio, mentre l’Italia non mosse
un dito per evitarlo |
di Giuseppe Campodonico
1994: un futuro ipotetico di George Orwell, un
passato scomodo per molti; per gli italiani il 1994 può essere
ricordato per tre eventi importanti: l’eroico o scriteriato
(scegliete voi l’aggettivo) ingresso di Silvio Berlusconi
in politica, l’alluvione in Piemonte ed i mondiali di calcio
perduti dalla nostra nazionale ai calci di rigore contro il Brasile.
Eppure in una piccola nazione, il Rwanda, nel bel mezzo del continente
africano, veniva perpetrato un genocidio di proporzioni nettamente
superiori a quelle dell’olocausto nazista.
LA STORIA
La
storia del Rwanda si divide in tre periodi ben distinti: il periodo
pre-coloniale, la colonizzazione ed infine il periodo indipendente;
nel periodo pre-coloniale la differenza tra tutsi e hutu era di
clan o di stato sociale (il tutsi solitamente era ricco perché
possedeva più di dieci mucche). Dopo la colonizzazione tedesca
ed in seguito belga, la distinzione tra le due etnie fu fatta al
fine di gerarchizzare i ruoli: il bianco domina i tutsi che a loro
volta dominano gli hutu. Ai governatori belgi si deve la “stupenda
invenzione” della creazione di una carta di identità
etnica. Dal principio i colonizzatori e la Chiesa si poggiavano
ai tutsi fino a che questi ultimi non iniziarono a chiedere l’indipendenza.
A quel punto le alleanze, si rovesciarono di colpo e gli hutu divennero
i protetti; questi, che da sempre avevano vissuto all’ombra
dei capi tutsi, nel 1959, durante la rivoluzione che portò
all’indipendenza e che fu ribattezzata “rivoluzione
hutu”, dichiarando l’incompatibilità tra le due
etnie, iniziarono delle rappresaglie contro i Tutsi, volute da Gregoire
Kayibanda.
Dal 1959 il Rwanda è stato teatro di una serie di esodi verso
altri paesi da parte dei tutsi: da ricordare quelli del 1959, del
1963 e quello del 1973. Gli esiliati (gli “inyenzi”,
letteralmente gli scarafaggi) provarono più volte a rientrare
con colpi di guerriglia, ma questo non portò altro che a
massacri di tutsi residenti ancora in Rwanda.
Nel 1973, il colpo di stato di Juvènal Habyarimana portò
una certa modernizzazione del paese, ma creò un divario economico
tra città e campagna, soprattutto favorendo la nascita del
razzismo, denominato in maniera molto soft problema etnico; questo
prevedeva la limitata possibilità di scolarizzazione da parte
dei tutsi, il suo accesso all’impiego, alle funzioni amministrative
o alle responsabilità militari. Durante questo periodo, al
di fuori dei confini rwandesi, viene creato il Fronte Patriottico
Rwandese (FPR), guidato dapprima da Fred Rwigema e alla sua morte
da Paul Kagame, attuale presidente Rwandese.
Nel 1990 iniziano i primi attacchi per tentare di rientrare in Rwanda:
in risposta iniziarono massacri di tutsi. Fino al 1993 gli attacchi
proseguirono con una certa continuità e, dopo una serie di
massacri, a Kibilira (1990), dei Bugogwe (1991), a Bugesera (1992),
il presidente Habyarimana dovette cedere e accettò l’inserimento
del multipartitismo e l’abolizione delle carte di identità
etniche.
Intanto nel 1992 erano state create da Habyarimana delle nuove milizie,
le Interahamwe (letteralmente “Attacchiamo Insieme”)
che, composte per lo più da giovani disoccupati, avevano
lo scopo non dichiarato di uccidere sistematicamente i tutsi. Nel
1993 viene creata una radio estremista (RTLM) per incoraggiare le
nuove milizie a “fare bene il proprio lavoro”, ovvero
ad uccidere tutti i tutsi del Rwanda; a tal proposito vengono acquistati
grandi quantitativi di machete per lo più provenienti dalla
Francia. Questo acquisto mette il FPR in guardia qualora volesse
attaccare. Intanto viene eletto come Primo Ministro un hutu moderato,
Agathe Uwilingiyamana che sarà il promotore degli accordi
di pace siglati ad Arusha, in Tanzania. Secondo questi accordi il
FPR sarà rappresentato nel governo e i due eserciti dovranno
unirsi. La MINUAR I viene spiegata sul territorio e 600 soldati
del FPR entrano a Kigali ufficialmente per proteggere i propri rappresentanti
che dovranno far parte del governo provvisorio, in attesa delle
elezioni.
Il 6 aprile con l’abbattimento dell’aereo del presidente
Habyarimana inizia il genocidio del 1994. Oltre un milione di morti
tra uomini, donne e bambini divisi tra tutsi e hutu moderati.
Qualche mese dopo il FPR vince la guerra e si assiste ad un esodo
di massa da parte degli hutu che avevano partecipato attivamente
al genocidio o semplicemente di persone che temevano una ritorsione.
Subito dopo la guerra si insedia come presidente Bizimungu. Si va
poi ad elezioni libere e vince Paul Kagame, che oggi è ancora
il presidente del Rwanda con un plebiscito (quasi il 95% dei voti
alle ultime elezioni).
LE ETNIE
Tre
sono le etnie principali del Rwanda: hutu, tutsi e twa.
Gli hutu sono la maggioranza con circa il 90% della popolazione:
per tradizione sono contadini di etnia bantu e sono emigrati dalle
regioni equatoriali
I tutsi (prima conosciuti come vatussi) discendono dai nuba, i masai
e gli zulu: sono di cultura pastorale e guerriera; di loro si dice
che siano bugiardi, ipocriti e comunisti.
I twa, o pigmei, vivono nelle foreste e si raccolgono principalmente
tra i vulcani del Virunga.
IL GENOCIDIO
Il
giorno 11 gennaio 1994, il generale canadese Dellaire, al comando
dei caschi blu dell’ONU giunti in Rwanda per far rispettare
l’accordo di Arusha del 1993, spedisce un fax al quartier
generale a New York, dove informa i massimi esponenti delle Nazioni
Unite della preparazione da parte del regime per mezzo degli Interahamwe
di un molto probabile avvio di operazione di pulizia etnica. In
altre parole già quattro mesi prima dell’avvio ufficiale
del genocidio del 1994, il palazzo di vetro già sapeva ed
era a perfetta conoscenza del rischio di carneficina.
Il 6 aprile, l’aereo presidenziale di Habyarimana, al ritorno
da una missione politica, viene abbattuto da un missile terra aria.
Ancora oggi si ignora chi fu a far partire quel missile: tra le
ipotesi piu’ accreditate c’è quella che sostiene
che fu la parte più estremista (quella che incitava all’hutu
power) del governo Habyarimana che era contraria all’accordo
di pace di Arusha e quindi all’inserimento di elementi tutsi
nel governo e c’è la parte che sostiene che fu il FPR,
convinto che il suo ruolo sarebbe stato marginale e che i patti
non sarebbero stati rispettati; negli ultimi tempi è stata
incriminata la moglie del presidente che quel giorno volontariamente
decise di non andare insieme al marito e preferì prendere
un altro mezzo per tornare in Rwanda; oggi per molti risulta molto
strano quel comportamento della consorte, che era solita non lasciare
da solo il marito in nessuna occasione.
Il giorno 7 aprile, con il pretesto di una vendetta trasversale,
iniziano i massacri. Il “lavoro” (così era stata
soprannominata l’arte dell’uccidere) era stato ben preparato.
Gli Interahamwe, dopo un lungo addestramento, avevano la capacità
di uccidere mille persone in soli venti minuti.
Per 100 giorni si susseguono massacri e barbarie di ogni tipo; si
vedono genitori uccidere i propri figli, mariti uccidere le mogli,
parenti ed amici scannarsi tra di loro, il sangue scorre a fiumi,
vengono scavate le fosse comuni, la radio estremista RTLM, per voce
dello speaker Kantano, incita le truppe e gli hutu a non risparmiare
nessuno, anzi si complimenta con le varie zone che hanno ucciso
più tutsi nelle giornate precedenti, invitando gli altri
ad emularli; chi vuole morire con dignità arriva a pagare
i propri carnefici: il tutto per risparmiarsi colpi di machete o
di bastoni chiodati. Le donne tutsi, vengono violentate e subito
dopo vengono riempite di chiodi al loro interno; talvolta vengono
anche riempite di acido prima di essere uccise; le foreste vengono
bruciate per stanare gli “scarafaggi” tutsi: le vittime
che non vogliono accettare il loro destino si raggruppano per resistere
o per tentare di fuggire alla morte.
Uno dei massacri più efferati fu a Gikongoro, presso l’istituto
tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vengono massacrate senza
pietà e la notte dalle fosse comuni il sangue esce andando
ad inumidire il terreno, invitando così i cani randagi ad
andare a sfamarsi nella zona con i corpi delle vittime non seppellite;
un altro massacro da ricordare è quello dove più di
5.000 persone vengono uccise nella chiesa di Ntarama. Si assiste
a scene di straordinaria follia e di crudelta’ che non sono
seconde nemmeno all’olocausto nazista; il tutto continua fino
al rientro in Rwanda del FPR.
Quando il FPR rientra in Rwanda si assiste all’esodo di coloro
che avevano partecipato all’eccidio o semplicemente di coloro
che avevano paura di ritorsioni che però non ci furono.
LE RESPONSABILITÁ INTERNAZIONALI
Quando nel gennaio del 1994 l’ONU ricevette
un fax nel quale il generale Romeo Dellaire avvisava del probabile
ed imminente pericolo di genocidio, l’allora presidente Butros
Ghali ed il diretto superiore del militare Kofi Annan non diedero
peso all’informazione e lasciarono il capo dei caschi blu
a gestire una situazione con soli trecento uomini del tutto insufficienti
a poter far fronte ad una situazione simile ad un vulcano pronto
ad eruttare. I due, anzi, non avvisarono nemmeno il consiglio di
sicurezza.
Anche gli USA sapevano, grazie ad un rapporto della CIA che si stava
preparando uno sterminio che avrebbe provocato non meno di 500.000
morti. Però il fallimento somalo del 1993 (la missione Restore
Hope creata per andare a catturare il generale Aidid si rivelò
un disastro sia a livello politico sia a livello di perdita di vite
umane).aveva sconsigliato l’amministrazione dell’allora
presidente Bill Clinton a partecipare ad una missione di pace che
non potesse avere alcun interesse per la nazione. La stessa amministrazione
consigliò agli altri paesi di non intervenire in Rwanda e
vietò ai suoi delegati dell’ONU di usare il termine
“genocidio” durante le riunioni; questo perché,
se fosse stato dichiarato pubblicamente che di genocidio si trattava,
la comunità internazionale sarebbe dovuta intervenire con
un certo piglio.
Anche l’Italia purtroppo non è esente da colpe; infatti
inviò un contingente di soldati solo per favorire l’evacuazione
dei cittadini italiani (cani e gatti compresi), che, vista la situazione,
erano in pericolo di vita.
La Francia invece ben sapeva della situazione e appoggiò
con silenzioso assenso la politica degli estremisti hutu, anzi quando
vide che il FPR aveva ormai ottime chance di vittoria contro l’esercito
regolare rwandese cercò tramite le vie ufficiali delle Nazioni
Unite di andare a salvare, sotto forma di missione umanitaria, gli
ideatori del genocidio.
IL RUOLO FRANCESE
Da
sempre l’Eliseo ha appoggiato il regime hutu, volto a schiacciare
il “nemico” tutsi, da sempre poco propenso a prendere
ordini.
Nel quadriennio 1990-1994 però, l’appoggio militare
e politico al regime di Habyarimana è stato provato e dimostrato.
In quegli anni, con molti francesi divenuti fidi consiglieri della
politica dell’allora presidente, si fece sempre piu’
evidente; i transalpini presero addirittura in pugno la situazione
nel tentativo di fronteggiare gli attacchi del FPR.
Quali sono i motivi che spinsero i francesi ad aiutare gli hutu
a perpetrare il genocidio? Quali sono gli interessi francesi per
quella piccola nazione posta al centro del continente africano?
Fin dal1962, i belgi segnalarono la presenza di uno stato maggiore
segreto francese in Rwanda. Tra il 1990 ed il 1993 nonostante di
giorno la Francia incoraggi i colloqui di pace, di notte rifornisce
di armi gli hutu. Sempre durante questo periodo elementi francesi
provvedono all’addestramento delle truppe hutu. Tutto questo
avviene con la benedizione dell’Eliseo, in quel periodo guidato
da Francois Mitterrand; per completezza di informazione va detto
che il figlio del presidente stesso ha molti interessi illeciti
in Rwanda, tra i quali la coltivazione di cocaina che viene regolarmente
piazzata presso i mercati esteri.
Durante il periodo del genocidio la Francia rimase l’unico
paese a fiancheggiare la politica del governo estremista; l’Eliseo
riesce anche a ricevere alcuni membri di quel governo proprio durante
il periodo genocidario.
Quando nel giugno del 1994, l’esercito regolare rwandese è
in grave difficoltà e il FPR assapora già la vittoria,
il governo francese chiede alle Nazioni Unite (colpevoli di inefficienza
ed incapacità anch’esse) l’autorizzazione ad
intervenire per fermare i massacri: inizia così la “missione
torquoise”, volta ufficialmente a salvare vite umane; in realtà
il vero scopo è quello di appoggiare gli hutu nella guerra
al FPR e ancor più a mettere in salvo le vere menti ed i
veri capi del genocidio.
Vengono infatti spediti sul territorio aerei Jaguar, Mirage F1,
artiglieria pesante, uomini ben addestrati: vengono accolti in Rwanda
al grido di “Viva la Francia”. In più occasioni
anche i ben addestrati e ben forniti soldati francesi vengono sconfitti
dal FPR sempre più determinato ad entrare in Rwanda e a riportare
ordine.
L’operazione salverà la vita ad oltre 10.000 tutsi,
principalmente però salverà coloro che il genocidio
lo avevano ideato.
A giustificazione di tutto la Francia ha sempre dichiarato che altre
persone esterne al governo abbiano fornito consulenze; l’ex
premier francese ha confessato che “non poteva sapere tutto”
e che le persone inviate avevano il compito di favorire il processo
di democratizzazione della nazione rwandese.
Anche oggi, un’inchiesta francese attribuisce la colpa della
morte di Habyarimana al FPR e punta l’indice contro Paul Kagame,
pur sapendo di non avere prove certe. Dieci anni dopo il genocidio,
favorito volontariamente o involontariamente dal governo transalpino,
rimangono aperti molti interrogativi ai quali forse non ci sarà
mai risposto.
IL RWANDA OGGI
Il
7 aprile scorso, con un minuto di silenzio nel mondo, proposto dal
segretario dell’Onu Kofi Annan, e l’inaugurazione di
un memoriale a Kigali con i resti di duecentomila vittime del genocidio,
si è svolta la commemorazione della tragedia che dieci anni
fa insanguinò il Rwanda. Questa stessa data è stata
proclamata dalle Nazioni Unite “giornata della memoria”
per ricordare i massacri di massa che provocarono oltre un milione
di vittime nei tre mesi del genocidio. Negli ultimi tempi il presidente
Paul Kagame ha annunciato di aver raccolto documenti sull’identità
di 937.000 vittime. Molti rwandesi, probabilmente non calcolati
nella macabra contabilità del genocidio, morirono anche nei
mesi successivi alla ‘fine’ delle stragi su larga scala:
si calcola che due milioni di persone furono costrette a fuggire
verso l’allora Zaire ed ammassate in giganteschi campi profughi
dove le malattie e gli attacchi delle forze rwandesi provocarono
decine di migliaia di vittime che, oggi, non vengono commemorate.
A Kigali verrà inaugurato anche un memoriale alla memoria
dei caschi blu belgi dell’Onu massacrati nei primi giorni
per difendere il primo ministro Agathe Uwiringiyimana, morta anche
lei con i soldati.
Nel frattempo si sono svolti i primi processi pubblici: sono stati
aperti i tribunali pubblici di Gacaca, dove vengono condannati coloro
che hanno partecipato attivamente ai massacri; questi processi hanno
permesso anche agli esecutori materiali di poter scontare pene ridotte
e di potersi reintegrare nella società. Nel frattempo, molti
ex ministri e personaggi pubblici di spicco, sono stati condannati
a pene molto pesanti.
LE DATE DA RICORDARE
1921 Il Belgio, per volere di
re Leopoldo II, dopo la colonia del Congo (1906), ottiene anche
la tutela ed il controllo del Rwanda e del Burundi, fino ad allora
governata dalla Germania.
1954 Il re tutsi Mutara III Rudahigwa
abolisce il feudalesimo.
1959 Gli hutu, guidati da Grégoire
Kayibanda, allontanano dal potere i tutsi.
1961 Kayibanda viene eletto Presidente
della Repubblica Rwandese
1962 Il Rwanda si dichiara indipendente
e la maggioranza hutu, grazie anche ad una strage di 100.000 tutsi,
va al potere. Si assiste al primo esodo di massa (circa 250.000
persone) da parte dei tutsi in Uganda e Burundi.
1973 Sale al potere Juvènal
Habyarimana; si accentua quindi l’odio etnico. I tutsi esiliati
all’estero cominciano ad organizzarsi per rientrare con le
armi in Rwanda.
1991 Inizia la guerra: spalleggiato
dagli USA il FPR preme per entrare dall’Uganda. Gli hutu sono
appoggiati militarmente da francesi e belgi
1994 Il 6 aprile l’aereo
presidenziale di Juvènal Habyarimana viene abbattuto: inizia
il genocidio: oltre 1.000.000 tra tutsi e hutu moderati vengono
trucidati in soli tre mesi
1994 A luglio, il FPR guidato
da Paul Kagame entra in Rwanda dall’Uganda e prende il potere.
Viene insediato come presidente Augustin Bizimungu
2003 Alle prime vere elezioni
libere Paul Kagame viene confermato presidente con il 95% dei suffragi.
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