Analisi e riflessioni dopo i tragici fatti di Catania |
Guerra allo stadio: se questo è ancora calcio |
Le drastiche misure prese dopo la morte (solo dopo) dell’ispettore Filippo Raciti, le incommentabili e ciniche dichiarazioni di Matarrese, gli interessi che ruotano intorno a quello che un tempo era solo uno sport. Ancora una volta siamo certi che le severe misure promesse saranno disattese o ammorbidite. Vincerà ancora la cronica stortura della realtà italica |
di Andrea Nemiz
Follia al derby, calcio black out
Una spranga, forse; un sasso, forse; scagliati con rabbiosa violenza da breve distanza. E il fegato di un uomo va in pezzi. Spappolato, un colpo micidiale. Subito dopo una bomba carta centra l'uomo già colpito e gli esplode in volto. Così, in un crescendo di follia, perde la vita un uomo in divisa, un garante della sicurezza, un tutore dell'incolumità altrui: un poliziotto servitore dello Stato. Era Filippo Raciti, ispettore del Reparto Mobile a Catania, 38 anni, moglie e due figli. Il teatro della tragedia: Catania, una città colta e progredita, e le adiacenze del suo stadio. Le indagini diranno se è stato omicidio premeditato, fermo restando che nulla cambia quanto alla morte di un uomo e al dolore della famiglia. Ai funerali, davanti a una grande folla, questa famiglia è apparsa esemplare: la moglie composta, il bambino nella divisa del papà, poliziotto in erba, la figlia che mormora un addio al padre "eroe".
Ma quali sono state le cause ultime della tragedia di Catania? Il derby con il Palermo, due giorni di anticipo, per non coincidere con la festa di Sant'Agata, la patrona. Doveva essere una serata lieta, accompagnata da canti, e incitamenti. Le due squadre dell'Isola, dopo anni di ‘purgatorio’ nelle serie minori, sono tornate ai piani alti, e addirittura lottano ai massimi livelli nei tornei d’Europa. La tragedia è nel dopopartita, le camionette della polizia tentano di disperdere gli ultras catanesi che puntano ad assalire i tifosi del Palermo. La notte ha contorni assurdi. Centinaia i feriti (70 tra le forze dell'ordine). Nove tifosi del Catania i primi arrestati..
Oggi la giustizia chiede freneticamente l’incriminazione dei colpevoli, che si prendano adeguate misure e giuste correzioni. Non è stata però solo una questione di scontro - brutale e assurdo - mosso da motivi campanilistici, opposte tifoserie, rancori, spirito di vendetta e di rivalsa per presunti torti subiti: un arbitraggio forse ritenuto parziale, un goal concesso, un rigore negato. A Catania la piazza ha indicato qualcosa di più. Un disegno premeditato, una caccia disumana contro i poliziotti, come denuncerebbe la feroce devastazione anche in tanti altri stadi, e funeree scritte apparse in molte città, fra cui Livorno. Drammaticamente, anche la sigla, "Akab", coniata apposta per incitare all'odio contro i poliziotti. Una sigla che sembrerebbe avere connessioni sataniche, proprio come un tempo si diceva del rock!
E invece da quella drammatica partita, la gente si sta chiedendo cosa mai stia succedendo nel nostro Paese, perché non si può più stare tranquilli, godersi uno spettacolo in pace, divertirsi in allegria. Piangiamo un morto incolpevole, dedito a un compito duro, purtroppo neanche lautamente retribuito. La sua famiglia, secondo la norma pensionistica, sembra che percepirà una pensione da fame? Ma a che valgono collette e sottoscrizioni dai media che servono solo a salvare la faccia e a scaricare le coscienze e, invece, sanno tanto di elemosina?
La vera ‘tragedia’, in realtà, è stata che il mondo del calcio è andato 'temporaneamente' in black out! Dopo lo shock, Governo, Parlamento, opinione pubblica si sono freneticamente interrogati su come, e per quanto tempo, chiudere gli stadi che non garantiscono sicurezza (ma guarda un po'…. è tutta colpa dello stadio…) e hanno cominciato a dibattere per individuare il marcio. Ma tutti i morti 'da stadio' del passato (da Paparelli in poi) non hanno mai invitato alla riflessione? Fuori discussione l’abnegazione delle Forze dell’Ordine e le rigorose - quanto disattese - disposizioni del Ministero dell’Interno: vogliamo dire quanti stadi denunciano un massimo di 9.999 spettatori per non incorrere nei duri adempimenti per numeri superiori? Ecco che tuttologi e coltissimi talk show tornano a indagare su insicurezza e precarietà dei giovani, inadeguatezza di scuola e famiglie, sulle carenti risposte che la società nel suo complesso dà o non dà, sull'incertezza del futuro, sulle responsabilità dei media. Addirittura, si è scomodata pure una non meglio definita responsabilità della mafia...(quella della lupara?) ma, stranamente, sull’onda dell’emozione, nessuna componente si è sentita senza colpe. Fustigandosi infatti il petto, tutti hanno avanzato proposte e rimedi.
Immediatamente, dopo lo sgomento e le lacrime al funerale, per superare la sia pur minima e ovvia sospensione di ogni attività calcistica per una domenica (che tragedia per il popolo del pallone!), il campionato è cautamente ripreso, ma con il pubblico solo in quei pochissimi stadi a norma: nei più si è giocato a porte chiuse. A queste decisioni sono giunte le autorità calcistiche (il Presidente del Coni Gianni Petrucci e il giovane Commissario Luca Pancaldi) in accordo col Governo. Le riunioni si sono succedute a ritmo convulso. La linea è stata quella di gestire l'emergenza e di puntare a una riforma globale del calcio.
Da subito, operative le restrizioni, forse a mo’ di punizione! Ma la domanda più ovvia, pur chiarissima, è stata accuratamente ‘velata’: ma chi è il vero responsabile della inadeguatezza degli stadi? Ma vogliamo parlare del vergognoso balletto di ‘competenze’ fra Comuni e Società calcistiche? Vogliamo capire quanti miliardi girano sulla palla rotonda e quanti pochi soldi non si gestiscono per la sicurezza? Ma come mai lo stadio campione in assoluto in questo settore è solo l’Olimpico a Roma che, guarda caso, è del Coni che non lesina su nulla? E perché proprio dai media non arrivano le critiche più violente contro le arcinote situazioni di pericolo fisico per le masse che muove il pallone? Mano al portafoglio, dunque, ma non per un uomo che è morto - nessuno può restituirlo ai suoi - ma per restituire invece gli stadi alle folle. Quanto prima possibile, e siamo certi che questa sarà una gara in velocità, un termine che è solo in rima con solidarietà, o serietà.
Olimpico e Coni campioni nella sicurezza: quello capitolino è l’unico stadio in Italia contrassegnato dalle ‘cinque stelle’
Dopo la tragedia di Catania tutto il mondo del calcio è entrato in allarme. Romano Prodi, lontano da Roma nel venerdì nero della tragedia, si è immediatamente mosso per riesaminare con il ministro degli Interni Giuliano Amato e con Giovanna Melandri allo Sport il piano di salvaguardia per spettatori e forze dell’ordine, meglio conosciuto come il 'decreto Pisanu', poco efficace in alcuni punti e non totalmente applicato. "In pochi attimi si è messa a rischio un'eredità importante come quella della vittoria della Nazionale ai Mondiali di calcio - ha sottolineato Prodi - e di fronte a una tragedia come quella siciliana, occorrono forti provvedimenti e nessuna indulgenza. Bisogna responsabilizzare le società di calcio. Gli ultras hanno sempre pensato di avere qualche protezione, per cui bisogna rompere questo nodo. Alcuni coagulano il disagio e in qualche modo lo strumentalizzano".
Fra i propositi del Governo, riportare nelle immediate adiacenze dello stadio la linea militarizzata delle forze dell'ordine che adesso è a un chilometro dal campo. Gestire gli stadi secondo il modello inglese, coinvolgendo nella gestione le società sportive (facendoli diventare centri associativi, con palestre, cinema). Mano forte sulle società con punti di penalizzazioni in classifica (oltre alla richiesta di danni pecuniari, nel caso di incidenti scatenati dagli ultras). Il ministro della Difesa, Arturo Parisi ha attivato un filo diretto con il responsabile del Viminale e la Melandri. "La tragedia è un monito a non perdere tempo". Le linee? Massimo rigore, sicurezza negli stadi, inasprimento delle pene. Il Vaticano ha condiviso la linea dura. "Fermiamo le partire almeno per un anno", ha scritto L'Osservatore Romano. Questa anche una risposta alle gratuite affermazioni di Pippo Baudo che aveva sottolineato che il Papa, nell'Angelus domenicale, non aveva espresso il suo cordoglio. Altra presa di posizione incredibile quella del presidente della Federcalcio, Antonio Matarrese, che teoricamente avrebbe accennato a mettere i diritti dello spettacolo-sport anche davanti alla morte. Sgridato, ha fatto marcia indietro, con la solita scusa: "Sono stato frainteso", Dalle file dell'Opposizione, Pier Ferdinando Casini ha detto: "E' necessario il pugno duro. Tolleranza zero dev'essere non uno slogan, ma la pratica per i nostri stadi. Bisogna voltare pagina. Avere il coraggio di assumersi la responsabilità di togliere le mele marce dal paniere. Per troppo tempo le società di calcio hanno accarezzato il tifo violento. Noi siamo vicini alle forze dell'ordine, esprimiamo al Capo della Polizia la nostra solidarietà".
Il pallone, saltata una domenica, è tornato. Ma non è più il padrone incontrastato, il tiranno che schiavizza e a cui bisogna sacrificare tutto. Le ali del dolore si dispiegano e mettono tristezza e le "severe misure" di sicurezza auspicate dal Presidente della Repubblica e adottate con immediatezza dal Governo, con un decreto del ministro degli Interni Giuliano Amato, hanno cambiato un clima e impresso una svolta. Ma non senza strascichi . Sullo sfondo e nelle coscienze resta un giovane uomo morto sul campo, vittima innocente della violenza, ricordato con un minuto di silenzio. Lo piangono due figli meno che adolescenti, la moglie e tutti coloro che non hanno rimosso i sentimenti di umana pietà. Dall'altra parte, nelle vesti di ‘carnefice’, sembra vi sia un ragazzo minorenne, cultore di violenza, che ha già spezzato il cuore dei suoi genitori e che subirà, se riconosciuto colpevole e condannato, qualche anno di carcere, che segnerà per sempre la sua vita. Seguono poi i classici contrasti interni al calcio, tra falchi e colombe, tra chi non vorrebbe regole e chi teme le ritorsioni degli abbonati. In questo primo scorcio di 2007 il calcio è comunque già falsificato perché è in lutto. In serie B e A si è tornati all'antico: partite giocate tutte alla stessa ora, le 15 e niente notturna. Ma nella settimana successiva al primo blocco solo sei stadi, che erano in regola, hanno potuto accogliere gli spettatori, essendo in regola. Il Milan ce l'ha fatta in zona Cesarini, tanto per esprimerci in gergo. Ha installato i "tornelli", quei cancelli a giro e a tutta altezza che regolano il flusso degli spettatori. Quel che non si era fatto in due anni, si è fatto in due giorni, per non perdere gli abbonati. Strana questa solerzia impaurita non dalla morte ma dalla certezza di perdere incassi.
Sulle "severe misure" chieste dal Presidente della Repubblica Napolitano e adottate dal governo pendono infatti le minacce degli abbonati di richiedere non solo il rimborso dell'abbonamento - come ha assicurato che vuole fare il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis - ma anche i danni. Certo gli stadi senza pubblico mettono tristezza. Ma tanti sono stati i tifosi che hanno seguito egualmente la loro squadra. A Verona quelli dell'Inter sono rimasti all'esterno e hanno seguito la partita attraverso la radiocronaca. Qualche ultras non ha neppure esitato a usare i petardi e diversi sono stati arrestati in flagranza. Rischiano fino a tre anni di carcere. Allo stadio Olimpico, a Roma, tutto perfettamente in regola e abbonati accolti ma, la vergogna non ha limiti, alcuni in curva hanno voltato le spalle durante il minuto di silenzio per l’ispettore di polizia ucciso, altri hanno fischiato. Le nuove norme sono in vigore e "non si transige", ha detto Giuliano Amato. Ci pensino i 60 mila ultras che popolano le 700 tifoserie organizzate e che tra loro, a partire dal 1962, hanno contato 21 morti. Una delle parti più controverse del pacchetto e quello dell’arresto non solo in flagranza mentre, per alcuni reati, la legge Pisanu amplia questa facoltà fino alle 36 ore successive, per dar modo alla polizia di approfondire le indagini per individuare i responsabili. La norma è da tempo giudicata incostituzionale da alcuni penalisti, ora è stata portata fino alle 48 ore successive al match.
Altro divieto, quello di accesso: misura preventiva applicata a "un soggetto che assume comportamenti sospetti o pericolosi per l'incolumità pubblica". Si chiama "Daspo" ed è anche applicabile ai minorenni. Vuole stroncare il marchingegno di certi ultras che sarebbero riusciti ad aggirare l'obbligo della firma domenicale in questura. "Firmavano - ha detto Amato - e poi andavano alla partita". Oggi andranno a fare lavori socialmente utili, tipo pulire i bagni pubblici o cancellare scritte che imbrattano i muri della città.
Vietata altresì la vendita dei biglietti "in blocco" per le squadre ospiti. In questo modo verranno disincentivate le trasferte organizzate. La decisione è stata presa dopo aver constatato il fallimento di uno dei punti della legge precedente che puntava sulla canalizzazione dei flussi di pubblico. "Nulla vieta ai tifosi - ha comunque precisato Amato - di rimediare i biglietti in altri modi, magari anche su internet". Insomma, l'intenzione di limitare il più possibile le trasferte appare più che chiara. A fronte dei circa 12 mila uomini della sicurezza impiegati ogni settimana negli stadi per 56 partite delle tre serie per ogni girone, è giusto che la polizia abbia più poteri, sull'esempio del piano inglese antihooligans e chiudere col tifo violento. Alle società verrà esplicitamente vietato di avere rapporti con le tifoserie, come ha sottolineato l’on. Giovanna Melandri. "Rapporti non commerciali, neppure di lavoro o anche solo di pubbliche relazioni". Ma è questo un progetto a lungo termine, che sarà affrontato da un successivo disegno di legge.
La comunicazione sportiva progetta di controllare in futuro piccoli quotidiani e radio private che, essendo di parte, spesso eccitano i tifosi più del dovuto. Secondo la stessa logica è allo studio il divieto di portare striscioni. Il modello di riferimento - spiegano i tecnici - è quello del campionato spagnolo dove sono vietate persino le bandiere.
Il futuro del calcio che si sta disegnando tende a trasformare gli stadi da proprietà dei comuni a proprietà delle società, anche per risolvere i conflitti su chi deve accollarsi le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria (come l'installazione delle telecamere o dei tornelli), una delle cause che ha bloccato le partite in diversi stadi fuori-norma.
Sul fronte dell’opposizione, però, molti i distinguo sul decreto. Il governo potrebbe subire delle ‘imboscate’ e tanti sono dell’idea che impedire di "organizzare" e "incanalare" i tifosi rischia di trasformare i gruppi di ultras in bande di cani sciolti che difficilmente si faranno scoraggiare dalla difficoltà di trovare i biglietti. Convince poco, inoltre, l'idea di eliminare i posticipi che sono una fonte di guadagno con i diritti televisivi. Interrogativi nascono sulla costituzionalità della "Daspo", che diventando preventiva e permettendo di applicarla ai minorenni, senza abbassare la soglia di età per la responsabilità penale, comporterebbe la restrizione della libertà personale.
Nei giorni successivi al varo del decreto il Presidente del Coni Gianni Petrucci si è detto ottimista: ''Per il prossimo anno, non credo ci saranno problemi. Tutti gli stadi verranno messi a norma''. “Noi abbiamo fatto un invito alla Federcalcio - ha aggiunto Petrucci - e quindi al commissario Pancalli, per mettere nelle regole di ammissione di squadre ai campionati, anche l’obbligo di poter contare sui propri stadi cittadini che siano a norma. Ritengo sia un fatto normale, scontato in quanto, come si può pensare di iscrivere squadre i cui stadi non garantiscano la sicurezza? E’ cosa ovvia e naturale''.
''Quello che fa l'Osservatorio del Viminale - ha concluso il Presidente del Coni - è da noi condiviso, come pure lo è la linea del governo e faccio i complimenti all'Osservatorio che sta svolgendo un lavoro così complesso e, quando si fanno scelte difficili, è ovvio che si rischia di scontentare qualcuno. Si deve andare avanti così perché la sicurezza è molto più importante di tante altre cose. La questione degli stadi non a norma e la relativa 'non iscrizione' è un argomento scontato che comunque avevamo affrontato già nel passato”
Gli oneri per la messa in sicurezza degli stadi a carico di società e comuni
Dopo i provvedimenti del governo sul tema della sicurezza degli stadi, in molti si sono chiesti quanto costerà mettere a norma gli impianti e chi si accollerà gli oneri. Una risposta ed una proposta è arrivata dal ministro dello sport Giovanna Melandri. "Nell'immediato, per la messa in sicurezza degli stadi pagano le società in accordo con i comuni, dove questi sono disponibili ad investire risorse. Finché non c'e' il pieno rispetto delle disposizioni per la sicurezza di accesso agli stadi, gli impianti restano chiusi - ha sottolineato la Melandri ed è interesse delle società fare i lavori che in questo caso sono certo onerosi, ma non giganteschi".
Tifosi violenti e DASPO
Niente pubblico per gli stadi che non rispondono alle norme di sicurezza. È forse la disposizione più eclatante che viene confermata nel testo del decreto-legge contro la violenza negli stadi, messo a punto dai Ministri dell'Interno, della Giustizia e delle Politiche giovanili, approvato nel Consiglio dei Ministri convocato in via eccezionale mercoledì 7 febbraio 2007. Il decreto è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale 32 dell'8 febbraio ed è già in vigore.
In particolare il decreto interviene su più fronti: sarà il prefetto che, in base alle indicazioni fornite dall'Osservatorio sulle manifestazioni sportive, deciderà in quali stadi si dovranno svolgere le partite di calcio senza pubblico, perché non a norma con le misure di sicurezza; viene inoltre vietata la vendita di blocchi di biglietti per i tifosi in trasferta; inasprite le pene per coloro che lanciano razzi e petardi e utilizzano mazze e bastoni in occasione di partite di calcio, sia allo stadio che nelle immediate vicinanze, e ad essi può essere comminata la pena della reclusione fino a quattro anni; viene trasformato in delitto il reato contravvenzionale di mero possesso di razzi o petardi o mazze e bastoni in prossimità degli stadi, prevedendo la specifica sanzione della reclusione da sei mesi a tre anni; entrambe le ipotesi vengono applicate sia nel corso degli eventi sportivi che nelle 24 ore antecedenti o successive alle partite; verranno utilizzate misure di prevenzione personale o patrimoniale contro associazioni o club nei quali sono evidenti i favoreggiamenti di tifosi violenti; infine viene dilatata fino a 48 ore, dalle attuali 36, il periodo di cosiddetta "quasi flagranza": il tempo entro il quale le forze dell'ordine possono procedere all'arresto dei responsabili delle condotte illegali dopo la verifica di filmati e così via.
D.A.SPO., acronimo di "Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive", è una misura introdotta nel 1989 per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi.
La norma è stata più volte modificata negli anni, in seguito ad altri episodi di violenza che hanno colpito il mondo del calcio ed è stato poi estesa dal decreto legge n. 162 del 2005 anche alle manifestazioni sportive che si svolgono all’estero, creando però un rischio di un conflitto di giurisdizione tra Italia ed altri Paesi.
Il Daspo vieta al soggetto ritenuto pericoloso di poter accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive. Il provvedimento viene emesso dal questore e la sua durata può arrivare sino a tre anni. Può essere accompagnato dall'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in concomitanza temporale con la manifestazione vietata. Nel caso in cui al Daspo si affianca tale obbligo di comparizione, esso è notificato all’interessato e comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Tuttavia, il questore può autorizzare l’interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi sia reperibile durante le manifestazioni sportive.
Il fatto che il Daspo possa essere emesso sulla base di una semplice denuncia e non necessariamente dopo una condanna penale ha comportato molte proteste di incostituzionalità, soprattutto da parte degli ultras. In realtà, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 512 del 2002, ha inquadrato la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono essere quindi comminate anche in attesa del processo ed essere poi revocate in caso di assoluzione.
La lunghezza dei processi fa sì che assai spesso la persona sottoposta al Daspo sconti per intero la "diffida" senza che il processo che ad essa ha dato origine venga celebrato, compromettendo di fatto alcune libertà fondamentali come quella di circolazione (art. 16 della Costituzione).
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