Storie
siciliane scorrono in pellicola di Stefania
Chiolo Nihil
novi sub sole! Il cinema italiano continua a barcamenarsi
tra provincialismo o ritorni al passato. “Malena”, il
nuovo attesissimo film del regista Giuseppe Tornatore,
guarda caso, è ambientato in Sicilia. Racconta l’amore
irrealizzabile, se non nella fantasia, e per questo
più struggente e profondo , di un adolescente, Renato
(Giuseppe Sulfaro) per la “bella del paese”, interpretata
da una Monica Bellucci come non l’avevamo vista.
Tornatore
non ha mai avuto dubbi sulla scelta della protagonista,
ha costruito tutto il film intorno a lei; non a caso
già nel ’94 l’aveva voluta protagonista, anche se ancora
non molto nota, dello spot di un profumo di cui egli
era il regista. Dall’amore impossibile di
Renato, icona di tutti gli adolescenti alle prese con
la tempesta ormonale della pubertà e vittime del fascino
della donna adulta, promessa di piaceri ancora sconosciuti,
scaturisce intensa e drammatica come una fotografia
in bianco e nero (Tornatore avrebbe voluto tutta la
pellicola in bianco e nero), la storia di Malena, donna
bellissima, in una cittadina siciliana del 1940.
Il marito è in guerra, rimasta
sola diventa oggetto dello squallido desiderio degli
uomini del paese e dell’invidia delle altre donne.
La sua situazione conosce
momenti più difficili quando giunge la notizia della
morte del marito. Gli anni passano, la guerra
finisce e dopo una “erosione” fisica e morale consumata
nei suoi confronti, iconoclastia di una collettività
bigotta e repressa, il suo personaggio si evolve, prima
moglie, poi vedova, poi puttana fino alla sua distruzione
– scomparsa proprio quando imprevedibilmente il marito
torna! Ma sarà proprio l’amore discreto
e mai realizzato di Renato a sublimare la sua bellezza
e a renderla immortale. Il film che uscirà in molti
paesi e a fine novembre anche negli Stati Uniti, conferma
ancora una volta la dimensione internazionale del regista
e ormai anche della protagonista (basti pensare al
ruolo nel film “Under suspicion”). Ma nonostante i pregi artistici
della pellicola, come la calda e raffinata fotografia
di Lajos Koltai, e l’indiscussa colonna sonora di Ennio
Morricone, il film risulta rigido, impantanato nel tecnicismo
a volte esasperato, un po’ lento e ridondante, troppo
incentrato sulla fotogenia irresistibile di Monica Bellucci.
Se l’erba del vicino sembra sempre più verde, è forse
perché la nostra familiarità ci impedisce di apprezzare
adeguatamente il grande talento cinematografico di Tornatore,
regista dalle tante potenzialità artistiche ancora inespresse,
ma adesso non ci resta che aspettare il giudizio
degli altri paesi in cui il film uscirà.
Sempre attingendo dal passato,
il regista Marco Tullio Giordana con il suo film “I
Centopassi” resuscita dall’oblio il delitto di Giuseppe
Impastato, liquidato troppo in fretta dalle cronache
con poche righe. Invece, quella di Impastato, detto
Peppino, nato a Cinisi (Sicilia) a cento passi dalla
casa del boss Tano Badalamenti è la storia vera e epica
della ribellione di un giovane coraggioso e intraprendente
che non abdica ad un destino per molti inevitabile,
di collusione e omertà. Così Peppino, egregiamente
interpretato dal bravissimo Luigi Lo Cascio, visceralmente
antimafioso, fonda con alcuni amici un giornale, un
circolo culturale e “RADIO AUT”, attraverso cui prende
di mira la mafia e i suoi protagonisti.
Ma non fa molta strada, e
la notte tra l’8 e il 9 maggio del ’78 viene ucciso.
Molte le ipotesi infondate,
non ultima quella di suicidio. Anni dopo la testimonianza
di un pentito. Il caso è ancora irrisolto,
in attesa del processo. Il film-denuncia, premiato
per la sceneggiatura a Venezia e scelto come film italiano
candidato agli oscar, è onesto, forte e diretto, mai
retorico. Ritratto commovente e toccante
di un Don Chisciotte tutto italiano. Un film per non dimenticare
di ricordare, un inno al valore irrinunciabile della
libertà. Nello stesso contesto si
inserisce anche “PLACIDO RIZZOTTO”, l’opera di Pasquale
Scimeca che racconta la storia del segretario
della camera del lavoro di Corleone, scomparso in circostanze
misteriose nel marzo del ’48. Il film che segna un passo
avanti nella crescita artistica del regista, è una rilettura
utopistica e romanzata della vicenda che inevitabilmente
si risolve in un affresco (sì pregevole) di una Sicilia
“more solito” mostrata nel suo aspetto più tristemente
noto. Ammirevole l’impegno del
regista appassionato e autentico a tal punto da peccare
, in alcuni casi, di ingenuità e di imprecisione nel
centrare l’obiettivo.
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