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Un nuovo disco per Jackson Browne
Il "fratellino" stanco
Testi poetici e rabbia politica ma anche un profondo senso di disagio che è difficile nascondere a 54 anni

di Roberto Bacchiocchi

Sette anni dopo Looking east, il ritorno di Jackson Browne avviene all’insegna dell’eclettismo.
Alle tradizionali ballate rock, malinconie diffuse e accenti smorzati, si aggiungono pezzi quasi blues ed altri, tirati e duri, come mai prima. Ma proprio questa varietà di arrangiamenti invece che conferire varietà all’intero disco ne confonde i contorni fino all’inevitabile rimpianto del passato. The naked ride home diviene quindi un album quasi impersonale, ormai privato del suono tipico dei dischi del “fratellino” e senza la noiosa e affascinante monotonia delle ballate di un tempo.
A cinquantaquattro anni Jackson Browne non si perde in giri di parole per criticare apertamente la politica di Gorge Bush. Nè dimostra ottimismo da vendere dovendo parlare della condizione umana (nella title-track) o della società contemporanea (Walking town) e del potere del denaro (Sergio Leone). Sottolinea i propri dubbi personali (About my imagination) e cerca di rannicchiarsi nell’intimismo di Don’t you want to be there, probabilmente il momento più jacksoniano dell’album. Impregnati di amarezza e disincanto, i testi sono quanto di meglio resti del cantante del passato. Immagini suggestive e squarci di poesia accompagnati da una musica “normale”, contribuiscono però al rimpianto dei cieli blu e neri di “I’m alive”, (l’album del 1993 scritto dopo la distruttiva love story con Daryl Hannah.) tanto per non farci troppo del male andando indietro nel tempo. Spiazzata da buone intenzioni deluse e da un progetto ambiguo, neppure la solita vecchia band sembra sapere quale strada percorrere.
Non c’è dubbio che, dato il talento, ogni disco di Jackson Browne sia comunque un buon disco. Persino nei suoi momenti meno ispirati c’è sempre stato qualcosa di speciale, qualcosa che sapesse toccare il cuore o invitare alla riflessione. Ma lui, il fratellino, è un po’ come quegli studenti bravi da cui ci si deve necessariamente aspettare qualcosa di superiore alla media, se lo si conosce.
Chi gli si avvicinasse per la prima volta, invece, potrebbe persino trovare godibile questo disco ben suonato e ben arrangiato. Chi volesse mettersi a tradurre i testi avrebbe l’occasione di verificarne la potenza espressiva. E magari, chiudendo gli occhi, saprebbe pure farsi cullare da quella voce da eterno ragazzino rock. Però bisognerebbe fare molta attenzione.
A togliere di torno “Late for the sky” e “Hold out”, per esempio. O ad allontanare sufficientemente “I’m alive” e, in definitiva, una discografia sempre segnata profondamente dalla personalità del suo autore. Perché non sono le rughe sul viso o i capelli appena imbiancati a fare la differenza. Quello che manca non è un cantante più giovane e più sognatore. Oppure più critico o meno disilluso. E neppure un tizio meno pulito di quello che, stirato e lucidato, fa bella mostra di sé nella foto di copertina dai colori caldi e autunnali. In “The ride naked home” si presenta all’appello la forma esteriore di Jackson Browne. Mentre l’anima, pigra e ferita, resta a poltrire stanca per casa.



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