Una magistrale interpretazione dell’attore
in “Quando si è qualcuno” |
Albertazzi,
re dell’ Argentina |
A
Roma il recupero filologico del testo pressoché sconosciuto
di Luigi Pirandello, a chiusura di un intero ciclo a lui dedicato |
di Laura
Porelli
Roma.
Dopo un silenzio di settant'anni, torna con un nuovo debutto "Quando
si è Qualcuno" di Luigi Pirandello e si grida all'evento
al teatro Argentina, dove l'opera chiude un ciclo di un anno dedicato
appunto allo scrittore siciliano. Testamento poetico del grande
autore agrigentino, praticamente sconosciuto al pubblico, il testo
fu composto di getto nel '32, durante il volontario "esilio"
berlinese e affidato alle scene nel '33, dapprima in traduzione
spagnola al teatro Odeon di Buenos Aires e poi, per un brevissimo
periodo, al teatro del casinò municipale di San Remo, con
allestimento curato dalla compagnia di Marta Abba.
Non hanno badato a spese i due stabili italiani che si sono fatti
carico della produzione, il Biondi di Palermo e l'Argentina di Roma:
l'oscuro dramma pirandelliano, infatti, può vantare la presenza
di due profondi conoscitori di Pirandello come Giorgio Albertazzi
nel ruolo di protagonista e Massimo Castri, il regista, che in questa
stagione ha siglato la regia anche di "Stasera si recita a
soggetto". Un cast fin troppo affollato che conta una trentina
di attori, affermati ed emergenti. Le scene meravigliose di Maurizio
Balò, che vedono sfumare, nei tre atti, tre diverse stagioni
di un giardino che muta con il mutare degli eventi e passa da una
fine d'estate carica di elettrica positività, al decadimento
dell'autunno, fino alla calma piatta della neve invernale che nel
suo grembo tutto attutisce.
L'interesse e allo stesso tempo il limite di "Quando si è
Qualcuno" è senz'altro l'esasperato e scoperto autobiografismo.
E' facile scorgere dietro l'amore che un vecchio, affermato e celebrato
poeta, indicato nel copione con tre asterischi, nutre, ricambiato,
per la ventenne Veroccia, il tormentato rapporto che Pirandello
visse con la giovane attrice Marta Abba, custodito e svelato in
uno dei carteggi più belli della letteratura italiana. Non
si è troppo lontani dal vero, quindi, se si afferma che l'opera
vuole essere l'autoanalisi di un rifiuto, del rifiuto opposto all'amore
giovane di Veroccia/Marta Abba.
Nel I atto, nel caldo dell'estate, il giardino di una villa risuona
dei giochi festosi del poeta circondato dall'affetto del suo nipote
americano Pietro (Pietro Faiella) e della sua inseparabile moglie
Natascia (Anna Sesia), nonché dall'irruento amore di Veroccia,
una brava Giovanna Di Rauso, altalenante fra un'isterica euforia
da invasata e un fresco e più autentico ardore giovanile.
Qualcuno (così chiameremo il nostro protagonista), rinnovato
dall'amore per Veroccia ("guardare te negli occhi e sentirmi
vivo", dice il poeta), supera la sua condizione di vecchio,
di vate imprigionato dagli occhi della gente che lo scruta nel ruolo
di colui che tutto ha già pensato e detto e che ora deve
rimanere immobile. Rigenerato torna a scrivere il poeta. Liriche
ispirate e giovanili scorrono dalla sua penna, date alle stampe
sotto lo pseudonimo di Délago, che, eletto dal pubblico dei
giovani a loro paladino, incarna in verità il nuovo sentire
di un vecchio.
E' l'intervento dei parenti (Paola Bacci, Bruna Rossi e Paolo Calabresi
rispettivamente nei ruoli della moglie, della figlia e del figlio)
e degli "amici" di Qualcuno, annunciati solennemente con
una tromba che ha l'effetto di una pernacchia, vestiti di nero come
avvoltoi, contrappuntati dagli sgargianti accappatoi indossati dal
terzetto Pietro-Natascia-Veroccia, a spezzare il volo ancora incerto
del poeta, che di nuovo nei panni di vecchio, tolta l'allegra maglietta
da mare, in nero come i suoi "carnefici", viene condotto
via.
Nel II atto, scoperto troppo presto, l'inganno di Délago
è ridotto a burla dagli ammiratori di Délago stesso
e, credendo sia il miglior partito, anche dai parenti di Qualcuno.
I due schieramenti, posti gli uni dinnazi agli altri, si fronteggiano
in un duetto rossiniano che tenta di movimentare l'andamento di
una trama che scorre un po' farraginosa.
Mirabile l'ultimo scorcio del II atto. Albertazzi ci regala uno
splendido monologo sulla vecchiaia, sussurrato, sospiro tenue e
ad un tempo possente di chi ha grande consapevolezza della propria
arte: "scoprirsi vecchio, all'improvviso in uno specchio…",
"…la vergogna di una oscenità…di sentirsi
in quell'aspetto di vecchio".
Il terzo atto potrebbe sembrare superfluo (imbarazzante l'impressione
avuta dal pubblico che la recita fosse finita), tutto è stato
già detto, nel II atto il poeta ha già scelto di eternarsi
a monumento di sé stesso, assalito da una Veroccia disperata,
che offre un nudo integrale a colui che ha rifiutato la sua anima
e il suo corpo: il poeta non può amarla, solo Délago
avrebbe potuto. Eppure Pirandello ha ancora qualcosa da dire. Vuole
mostrarci l'esterno, la gabbia che ha imprigionato e "ucciso"
il poeta: la gente che è venuta in occasione dei festeggiamenti
in suo onore. Scavato negli occhi, larva di sé stesso, Qualcuno,
vestito di bianco quasi si immola e nella neve, statua sul piedistallo,
si "spegne".
Un Albertazzi strepitoso, protagonista e padrone della scena nel
silenzio immobile come nell'agire. Meritevole il recupero filologico
di quello che certo non è un capolavoro di Pirandello, ma
pur sempre rappresenta l'ultimo prezioso tassello della sua poetica
e della sua vita.
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