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Il 27 gennaio 2012 è finalmente arrivato anche in Italia “The Iron Lady”, l'attesissimo film con Meryl Streep, ispirato alla vita dell' ex Primo Ministro britannico Margaret Thatcher, già uscito negli Stati Uniti alla fine del 2011 e nel Regno Unito poco dopo l'inizio del nuovo anno.

Il secondo lungometraggio di Phyllida Lloyd, nota regista di “Mamma mia” (sempre interpretato da Meryl Streep), si apre nel 2008 a Londra, quando la Thatcher, ormai anziana pensionata affetta da demenza senile, si trova tristemente rinchiusa, con il fantasma del suo defunto marito Denis (Jim Broadbent di ”Another Year”), tra le mura del suo elegante appartamento di Chester Square, in preda a continue allucinazioni e a struggenti ricordi sul suo avvincente passato.
Ed attraverso un incessante susseguirsi di flashback, la sceneggiatura di Abi Morgan ci propone un excursus di tutta la vita, pubblica e privata, della carismatica “lady di ferro” che guidò la Gran Bretagna per oltre undici anni. Dalla giovinezza trascorsa ad aiutare il padre nella drogheria di famiglia, agli studi ad Oxford. Dalle prime elezioni in Parlamento al matrimonio con l'amato Denis. Dalla sua ascesa politica all'inevitabile ruolo di moglie e madre assente per dedicarsi alla guida del suo Paese, fino alle sofferte ma necessarie dimissioni nel 1990, quando sarà costretta ad abbandonare il numero 10 di Downing Street, sua residenza dal 1979.
Tuttavia, per quanto la pellicola verta principalmente sulle vicende legate alla carriera della prima e, ad oggi, unica donna nel Regno Unito ad aver ricoperto il ruolo di Primo Ministro, la Lloyd ha definito“The Iron Lady” un film più “shakesperiano” che politico.

La regista inglese ha, infatti, tenuto a mettere in luce il carattere ambizioso della Thatcher, contraddistinto da un forte desiderio di riscatto e di autoaffermazione all'interno di un mondo maschile palesemente avverso, ed ha spiegato come il suo film volesse raccontare la storia di una grande leader, donna imperfetta eppure meravigliosa, venuta dal nulla per abbattere le barriere di genere e di classe, molto amata dalla destra conservatrice e al contempo contestata dalla sinistra e dalle forze sindacali. Una personalità che ha conosciuto il potere, il prezzo del potere e, all'improvviso, l' epilogo di un' esistenza votata interamente al comando del suo Paese.
Una storia, dice, che per molti aspetti può essere considerata “universale”, potenziale specchio della realtà di ognuno di noi, ampliata dalle dimensioni epiche della vita da lei vissuta.

Meryl Streep, che impersona la “signora di ferro” a partire dal periodo della sua scalata politica, dall'età di quarantacinque anni, quando venne nominata Ministro dell' Istruzione nel 1970, fino ad ottanta, sottolinea come non si sia voluto creare un documentario sul suo personaggio, bensì un racconto  sulla storia di una donna eccezionale.
L'attrice americana, che si è già aggiudicata la nomination all'Oscar come migliore interprete, ha, senza dubbio, superato brillantemente una prova molto ardua come quella di cimentarsi nel ruolo di un personaggio non solo politico, ma anche storico, estremamente discusso e controverso, le cui decisioni in ambito economico, in omaggio alla stessa filosofia di indiscriminata Deregulation operata da Regan negli Stati Uniti, continuano tuttora a produrre i loro effetti.

Il lungometraggio inglese non è, però, uscito indenne da comprensibili polemiche sull' isola britannica, da cui non si è astenuto neanche David Cameron, noto erede del conservatorismo della Thatcher, il quale, intervenendo sull'argomento, ha sostenuto che probabilmente non era il momento più appropriato per far uscire un film del genere. Il cuore della questione starebbe nella scelta della regia di presentare l'ultima Margaret Thatcher particolarmente fragile, provata dalla malattia sia nel corpo che nella mente, allo scopo di far ricorso ad una commovente vita privata per evitare di approfondire le spinose tematiche pubbliche e sociali che hanno causato laceranti divisioni nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra.
Non sono mancate, inoltre, critiche relative alla superficialità con cui sarebbero state trattate importanti vicende del governo Thatcher come l'introduzione della Poll Tax o la guerra per le Falkland, per non parlare delle valutazioni negative in merito al messaggio femminista su cui il film sembra giocare di continuo, mettendo in risalto il contrasto uomo/donna a discapito di quello sociale e politico.

In ogni caso, giudizi contrastanti a parte, rimane un solo ed unico dato di fatto: la tanto discussa pellicola inglese ha incassato, fino ad ora, solo in Gran Bretagna, più di 11 milioni di dollari ed oltre 34 in tutto il mondo. Staremo a vedere se otterrà lo stesso successo anche nelle sale italiane, per il momento sembrerebbe proprio di si: nel primo week-end di programmazione ha, infatti, già incassato 841.439 €.