Da
martedì 26 novembre, e fino al 22 dicembre, Paolo Poli, attore
dagli infiniti travestimenti che ama mescolare letteratura e teatro,
poesia e danza , prosa e musica ritorna al Teatro Eliseo con il
suo nuovo spettacolo Jacques il fatalista, due tempi di Ida Omboni
e dello stesso Paolo Poli, che cura anche la regia, da Denis Diderot.
Accanto al protagonista, Armando Benetti, Alessio Bordoni, Paolo
Calci, Alfonso De Filippis, Orazio Donati, William Pagano, Rosario
Spadola.
Le scene sono di Emanuele Luzzati, i costumi di Santuzza Calì,
le musiche di Jacqueline Perrotin, le coreografie di Alfonso De
Filippis: i collaboratori di sempre che lo accompagnano in tutti
i suoi spettacoli.
Chissà
perché si pensa che i filosofi siano tutti austeri e concettosi,
cioè noiosissimi. In genere è vero il contrario, come
dimostra brillantemente Denis Diderot, il grande illuminista, che
perfino nei suoi lavori più impegnati amava sorridere e far
sorridere. Il suo Jacques il fatalista, ad esempio, è un
piccolo capolavoro di arguzia malandrina che sembra scritto per
il teatro comico.
Jacques è un servitore imperturbabile e disincantato, come
chi non ha mai avuto niente gratis dalla vita, mentre il suo padrone
è un gentiluomo piuttosto insolito: colto, senza snobismi
e generosamente pasticcione. I due viaggiano assieme (luogo di partenza
ignoto, destinazione sconosciuta) discorrendo, becchettandosi e
incrociando un arcobaleno di personaggi stravaganti. E a ogni incontro
la scena e il dialogo cambiano e succede qualcosa di inaspettato.
Ecco quindi Jacques che, derubato, finisce in gattabuia. Eccolo
poi approdare ad un albergo dove facciamo la conoscenza di una loquace
locandiera protettrice degli animali e sposa a un burbero benefico.
E fra un viaggio e l'altro (il settecento è il secolo del
"grand tour") il servo e il suo padrone fanno mille riflessioni
(il settecento è il secolo filosofico) e si raccontano storie
d'amore (il settecento è il secolo della galanteria). Esemplare
è la vicenda della marchesa de la Pommeraye, una dama squisita,
che, per ferire un amante intiepidito costruisce un vertiginoso
castello di perfidie. Solo all'ultimo istante la sorte, ancora più
maligna di lei, le strapperà la vittoria di mano. A questo
punto le raffinatezze mondane cedono il posto al rigore conventuale.
Non più profumi adescatori ma effluvi di incenso. Entra in
scena un prelato così onusto di qualità beatifiche
da essere quasi in odore di santità. Sappiamo, ovviamente,
che questi professionisti della virtù non la raccontano giusta
e aspettiamo, con una punta d'ilarità, di vedere il troppo
reverendo cadere dal piedistallo. Ma non succede. Lui ha il dono
di trasformare, con un minimo gesto, le colpe in meriti e, più
confusi che persuasi, tutti l'applaudono, persino i moralisti. Mille
interruzioni hanno frammentato il racconto delle avventure amorose
di Jacques, tanto che il suo padrone tenta, a sua volta, di narrare
l'episodio più saliente della storia dei suoi amori. Ecco
quindi una tumultuosa saga della fasullaggine in cui un falso gentiluomo,
falso amico del padrone di Jacques, tenterà, per arricchirsi,
di appioppargli una falsa vergine con pargoletto in pancia. Il gentiluomo
eviterà per il rotto della cuffia le nozze riparatrici, ma
si accollerà il pupo vita natural durante. Più fortunato
il popolano evoca due incontri erotici giovanili in cui ha perduta
a ripetizione una verginità, da lungo tempo perduta, grazie
a due paesane di buona volontà. Ma il lieto fine è
l'appannaggio classico dell'eroe della storia e Jacques trova la
donna ideale. Potrà finalmente dormire tranquillo fidando
nella fedeltà della sposa? Non chiediamo troppo. Meglio lasciar
fare al destino. Dopo tutto lui è un fatalista.