L’AMBLETO
di Giovanni Testori
uno spettacolo di Sandro Lombardi e Federico
Tiezzi
con Iaia Forte, Sandro Lombardi,
Massimo Verdastro, Alessandro Schiavo,
Andrea Carabelli, Francesca Della Monica
produzione Compagnia Lombardi – Tiezzi
in coproduzione con Associazione Teatrale Pistoiese
e Teatro Giacosa di Ivrea
dal 11 Marzo al 6 Aprile
Debutta martedi 11 marzo al Piccolo Eliseo L’Ambleto
di Giovanni Testori messo in scena da Sandro Lombardi e Federico Tiezzi,
e interpretato da Sandro Lombardi, Iaia Forte e Massimo Verdastro.
Sono passati trent’anni dal debutto dell’Ambleto al Franco
Parenti di Milano, e venticinque della trilogia “maledetta”
presentata proprio al Teatro Eliseo nel 1977: L’Ambleto, Macbetto
e Edipus, interpretati da Franco Parenti e messi in scena da una giovanissima
Andrée Ruth Shammah.
Per il ritorno del grande scrittore milanese la città di Roma
rende omaggio a Giovanni Testori, nel decennale della sua scomparsa
–nel 2003 ricorrono anche gli ottanta anni dalla nascita - con
un ciclo di spettacoli, serate evento, recital, incontri, proiezioni
video, composti insieme in un vero e proprio progetto a lui dedicato,
realizzato in sinergia da ETI Ente Teatrale Italiano, Assessorato
alle Politiche Culturali del Comune di Roma e Teatro Eliseo, in collaborazione
con Rai Sat, Teatro Flaiano, Teatro Vascello. Una collaborazione fra
istituzioni diverse che rappresenta una preziosa e inedita indicazione
di politica culturale per la Capitale.
In un teatrino o forse un palchetto improvvisato di qualche fiera
paesana nella provincia lombarda, una strampalata compagnia di attori,
gli Scarrozzanti, tenta di metter su l’Amleto. Il protagonista
irrompe in scena e rivolgendosi al pubblico dichiara l’inizio
della tragedia che si svolge a Elsinore, ma più probabilmente
alle porte di Milano. Sono un gruppo di guitti, costretti, per povertà
d’organico, a far interpretare a una stessa attrice Ofelia e
Gertrude. Solo gli interpreti di Amleto, Orazio e Laerte possono permettersi
il lusso di un ruolo tutto per sé. Sono tutti amaramente consapevoli
della loro condizione e Gertrude rimpiange i perduti tempi migliori,
quando la sua “ditta de teatranti” poteva permettersi
fiori, bei costumi e anche “boys e gherls” che le spargevano
attorno “petala de rose e gottate de parfumo”
Così inizia L’Ambleto, la prima di una lunga serie di
geniali riscritture drammaturgiche di Giovanni Testori. Con questo
testo all’inizio degli anni Settanta, l’autore affrontava
in modo personalissimo la tragedia shakespeariana: Amleto si trasforma
in Ambleto, guitto-contadino lombardo, rivoluzionario disperato e
nemico giurato delle istituzioni e di ogni forma di potere, ma anche
mammarolo incallito e sentimentale. Ma dietro il furore dissacratorio
di questa tragedia popolare, palpita anche un abbandono tenerissimo
ai sentimenti, che non ne sminuisce la dirompente forza eversiva né
le potenzialità buffonesche.
I compagni di Ambleto vanno in scena come possono, in qualche aia
o stalla immerse nelle nebbie e negli afrori della bassa , storpiando
Shakespeare in una sorta di parodia grottescamente tragica e irresistibilmente
comica. Da contadini quali sono, parlano una lingua impura ma viva,
insieme plebea e raffinata, elegante e barbarica, scurrile e sussiegosa,
corrotta e sublime, ruvida e fastosa. Qua e là dimenticano
la parte e ricorrono a qualche battutaccia ripescata da chissà
quale repertorio, oppure escono brutalmente dai loro personaggi esibendo
in pubblico le loro privatissime beghe. Quando vogliono fare bella
figura parlano una strana lingua, nel tentativo maldestro di italianizzare
il dialetto. Ricordano Totò quando vuole fare il raffinato
e storpia le parole in invenzioni tutte da ridere. Quando invece sono
toccati nel vivo dalle parole che dicono, la loro lingua schizza via
dai tentativi di farsi presentabile e si stringe in una più
intensa “dialettalità”. Ma si tratta di una dialettalità
tutta interiore, non filologicamente ricostruita, quanto evocata come
una dimensione dell’anima. In essa risuonano coloriture lombarde
e napoletane, francesi e spagnole, latine e siciliane.
Giovanni Testori, romanziere, drammaturgo, pittore,
critico d’arte, poeta, nasce nel 1923 a Novate, alle porte di
Milano. Allievo prediletto di Roberto Longhi conosce il successo come
scrittore nel 1954 con il racconto Il dio di Roserio. È al
Piccolo di Milano che inizia il rapporto di Testori con il teatro
professionale: nella sala di via Rovello va in scena nel 1960 La Maria
Brasca (regia di Mario Missiroli e Franca Valeri protagonista). Gli
anni Sessanta sono segnati dal sodalizio con Luchino Visconti (L’Arialda,
allestita a Roma nel 1960 con la compagnia Morelli-Stoppa; Rocco e
i suoi fratelli, dello stesso anno; La Monaca di Monza, allestita
nel 1967, protagonista Lilla Frignone). Tra il 1967 e il 1968 scrive
per Valentina Cortese il monologo Erodiade. Gli anni Settanta aprono
nel segno di Franco Parenti che, a partire dal 1972, porta in scena
al Salone Pier Lombardo, con la regia di Andrée Ruth Shammah,
la Trilogia degli Scarrozzanti (L’Ambleto, Macbetto, Edipus).
Verranno poi. Nel 1984, I promessi sposi alla prova, dove Franco Parenti
sarà affiancato da Lucilla Morlacchi. Nel frattempo Testori
continua la sua attività di scrittore e di critico d’arte,
collaborando anche con il Corriere della Sera. Realizza alcuni spettacoli
con la Compagnia del Teatro dell’Arca, tra cui Factum est, 1981;
scrive una seconda versione di Erodiade e ne cura la regia affidandone
l’interpretazione ad Adriana Innocenti (1984). All’inizio
degli anni Ottanta, con il regista Emanuele Banterle, fonda il Teatro
degli Incamminati, a cui aderisce l’attore Franco Branciaroli.
Tra le opere realizzate: Confiteor, 1985, In exitu, 1988, Verbò,
questi ultimi due interpretati da Branciaroli e dallo stesso autore.
Nello stesso anno, al Piccolo, Tino Carraio interpreta Conversazione
con la morte, il monologo scritto nel 1978. Testori muore il 16 marzo
1993. Dopo la sua scomparsa, sono Sandro Lombardi e Federico Tizzi
a riprenderne in mano i testi, realizzando nel 1994 Edipus e successivamente
Tre lai; nel 1996 Cleopatràs e nel 1998 Erodiàas e Mater
strangosciàs, dimostrando tra l’altro come non vi siano
limiti di appartenenza a un’area linguistica settentrionale
(Lombardi e Tizzi sono toscani) per interpretare l’impasto verbale
di Testori
Orario degli spettacoli: da martedi a sabato ore 20,45
- domenica ore 17 - lunedì riposo
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