a cura di Paola Rocco
e Maria Fabbricatore

Teatro Rialto Santambrogio


Masnada Gruppo Teatro - Brescia

Presenta

Pampas

Regia di Fabio Maccarinelli

Sandra Cavallini, Monika

Livia Castellini, signora Lack
Giacomo Gamba, signor George

Paolo Ambrosi, La signora Tonfa
Rita Costa, Iv Elisa Marinoni, Betta
Daniela D’Agostino, Irene
Musica dal vivo di Angel Galzerano

Da mercoledì 4 a sabato 14 dicembre

Ore 21.30

PampasIL TEMA DI PAMPAS

“…dalla consapevolezza che da sempre, cambiando i nomi e la collocazione geografica, il terrore quotidiano, dove si dibatte la condizione miserevole alla ricerca d’aria e di dignità, è tristemente presente ed istituzionalizzato” (F. Maccarinelli). Può capitare così che in un film come Magdalene si trovino tracce di uno spettacolo teatrale, Pampas, sulle scene già da un anno. Nel primo siamo in Irlanda, a metà degli anni ’60, nel secondo a Berlino Ovest negli anni ’70. E ancora: nel primo in un convento delle Maddalene, nel secondo in un Istituto di Educazione Sorvegliata. Protagoniste di entrambi, le donne. Donne “impure” in Magdalene, donne “difficili” in Pampas.

 

Come suggerisce Maccarinelli, regista dello spettacolo, cambiando nomi e collocazione geografica il terrore quotidiano rimane presente ed istituzionalizzato. L’immagine che esce dallo spettacolo e dal film è infatti quella di un’Europa molto simile. E’ quella di un occidente crudele e vigliacco, e per lo più sconosciuto, nascosto dalle belle e trionfalistiche parole sul mito della società civile. In quello che accade alle donne di Magdalene e di Pampas, però, di civile non vi è nulla, solo il ribellarsi di Bernardette, che realizza dopo quattro anni di violenze e soprusi quanto in realtà sia facile scappare; solo il resistere di Monika che così chiude lo spettacolo: “Se ti adegui li fai contenti, perché significa che ti hanno annientata. E’ per questo che poi sono gentili con te, perché ti hanno distrutta…No, cara mia, mai!”.

 

UNA STORIA PER IMMAGINI

 

Pampas non è un “j’accuse”, è un inno alla libertà. E’ uno spettacolo che trasforma il significato in immagini e le immagini in significato. Sa di poesia. Nonostante la durezza del tema è uno spettacolo delicato, a tratti ironico. Nonostante si viva oggi in una società civile è uno spettacolo necessario. Il film di Peter Mullan, da solo, non basta. Così come Pampas, non basta. Sono entrambi però necessari. Anelli di una catena da raccontare. In Magdalene si trovano tracce di Pampas, ma Pampas non è Magdalene. Maccarinelli compone una storia per immagini, in modo non lineare. La presenza in scena di un musicista accentua questo procedere poetico, solleva lo spettatore dal compito di comprendere tutto, lo spinge a fare delle scelte tra il cantato e l’agito, tra immagini e parole. Lo spettatore diventa così una sorta di regista, creatore di un proprio evento teatrale, proprio per questo, mai uguale a se stesso.

 

LA SCENOGRAFIA E I PERSONAGGI

 

A costruire la scena, dei mattoni rossi che si trasformano ora in bunker, ora in confessionale, e che vanno così ad inventare spazi scenici mai frontali e sempre diversi. Cinque attrici e due attori si muovono all’interno di una scenografia che si scompone e cambia attraverso le loro mani. A capo dell’Istituto di Educazione Sorvegliata troviamo il signor George, mefistofelico e violento saltimbanco che decide senza umanità delle sorti delle ragazze. George processa per sommi capi e frasi fatte, nella più completa tradizione della negazione dello stato di diritto. Suo prolungamento è La Signora Tonfa, custode-gendarme dell’Istituto, predicatore di divieti che si aggira con la pacatezza e la prepotenza propri della morte. Una morte che si aggira cieca, come cieco è l’attore che la porta in scena. Tra questo mondo di aguzzini e le ragazze a fare da raccordo è la signora Lack, personaggio in bilico tra i due mondi, incapace di sottrarsi fino in fondo alla disciplina del “terrore quotidiano”. Dall’altra parte del muro c’è Monika, con le sue compagne.

 

UN TESTO DIFFICILE

 

Pampas nasce da un documentario del 1970 della giornalista Ulrike Meinhof e da alcune sue lettere scritte dal carcere, in stato di isolamento. Monika è dunque il volto delle ragazze intervistate dalla Meinhof così come altre volte è la Meinhof stessa. E’ evidente che nonostante siano passati molti anni il nome della Meinhof produce ancora imbarazzo e così ci si dimentica, o si sottende che sia meglio dimenticare, che prima di passare alla clandestinità è stata “una delle più intelligenti e conosciute giornaliste tedesche, tra l’altro occupandosi intensamente proprio dell’infanzia abbandonata”. Pampas dunque. Monika è all’Istituto perché ha rubato. Ha compiuto l’orrendo crimine di rubare del pane. Ma non è questa la verità. Monika Baraldi è una “trascinatrice” e “prima che il suo romanticismo esploda deve essere trasferita”. Ecco, la verità. L’Istituto non basta. La sorveglianza passa ora a suor Ambrosine. “In convento non ci resto - grida Monika - non voglio restare in convento”. Tribunale. Altro trasferimento. Ma la trascinatrice continua a compiere anche un altro crimine: amare le donne e si sa, come le spiega la signora Lack, che “gli altri considerano questo orribile”. Ecco tutta la verità. E questo amore al femminile si muove in scena con sensualità, attraverso corpi quasi svestiti che rivendicano con dolcezza la necessità di essere ciò che si è. Nulla di più. La libertà è il grido di Pampas.

Serenella Accorsi



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