Un
grande ritorno sulla scena romana, per l'inaugurazione della stagione
2003-2004 del Teatro Eliseo, dello spettacolo Copenaghen, la formidabile
commedia scientifico-politica di Michael Frayn magistralmente interpretata
da un trio d'attori in stato di grazia: Umberto Orsini, Massimo
Popolizio e Giuliana Lojodice diretti da Mauro Avogadro. Quali devono
essere i rapporti fra potere politico e scienza? Può il progresso
venire condizionato da scelte etiche? Quali sono i limiti e le responsabilità
morali di chi si dedica alla ricerca scientifica? Su queste domande
cruciali che hanno segnato tutta la storia della scienza si sofferma
anche questo straordinario testo teatrale, uno degli allestimenti
di maggior qualità della scena italiana e rappresentato in
tutta Europa.
In Copenaghen, l'autore inglese ricostruisce il duello verbale fra
i fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg, del quale è testimone
partecipe la moglie di Bohr, alla vigilia della messa a punto della
bomba atomica. La vicenda è ambientata nel 1941 proprio nella
capitale nordeuropea e ricostruisce l'incontro, in una Danimarca
occupata dai nazisti, dei due scienziati, entrambi Premi Nobel,
un tempo maestro e allievo. Due ex compagni di ricerche costretti
dalla guerra a guardarsi come nemici. L'ebreo danese Niels Bohr
e il tedesco Werner Heisenberg (padre del Principio dell'Indeterminazione)
in un serratissimo faccia a faccia si ritrovano imprigionati in
un labirinto di domande che stentano a trovare risposta, sommerse
come sono da ambiguità e dubbi estenuanti sul rapporto fra
scienza, etica e potere politico, alla vigilia del primo e devastante
uso della bomba atomica. Dubbi ancora oggi insoluti sull'uso delle
armi nucleari nel nostro pianeta.
Ma è
la verità? Quando un'opera di fiction tratta di personaggi
ed eventi della storia è ragionevole voler conoscere quanto
di essa è invenzione e quanto è storia. Cercherò
di chiarire per quanto mi è possibile questo aspetto della
commedia.
L'evento centrale di essa è realmente accaduto. Heisenberg
si recò effettivamente a Copenaghen nel 1941, e incontrò
realmente Bohr, malgrado tutte le difficoltà incontrate dai
miei personaggi. Quasi certamente andò a cena dai Bohr, e
quasi certamente i due uomini uscirono a passeggiare per sottrarsi
a qualche possibile microfono. Quello che essi si dissero veramente
è stato discusso ancora di più, e se nella commedia
c'è una certa ambiguità su ciò che accadde,
è perché il ricordo degli stessi personaggi è
ambiguo. Congetture ancora più azzardate si sono fatte su
quello che Heisenberg sperava di ricavare dall'incontro. Tutte le
ipotesi e spiegazioni che emergono nella commedia, tranne forse
quella finale, sono tutte state effettivamente ventilate in diversi
momenti, in una forma o in un'altra. Più desideroso di tutti
che si stabilisse una versione in qualche modo concordata dell'incontro,
era proprio lo stesso Heisenberg. Egli fece davvero ritorno nel
1947 insieme con la sua guardia del corpo inglese, Ronald Fraser,
e tentò di trovare un terreno comune con Bohr sulla questione.
Ma si rivelò un compito troppo delicato, e (come comunque
disse Hiesenberg nei suoi ricordi) "decidemmo che sarebbe stato
meglio smettere di disturbare gli spettri del passato". A questo
punto la mia commedia si allontana dai dati storici, supponendo
che anni dopo - quando tutte le persone coinvolte sono esse stesse
ormai diventate spiriti del passato - i due protagonisti si ritrovino
a discutere ulteriormente la questione, per raggiungere una migliore
comprensione dei fatti, proprio come avevano fatto tante volte in
vita con le scabrose difficoltà che presentavano i comportamenti
interni dell'atomo. [
] Non posso pretendere di essere il primo
a notare le analogie tra la scienza di Heisenberg e la sua vita.
Esse suggeriscono a David Cassidy il titolo Indeterminazione, per
la sua eccellente biografia. "Particolarmente difficile e controversa
- sostiene Cassidy nella sua introduzione - è una valutazione
retrospettiva delle attività di Heisenberg durante il Terzo
Reich e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Dalla fine
della guerra, sono stati espressi numerosi giudizi su quest'uomo
e il suo comportamento, giudizi che sono stati formulati con convinzione,
anche con passione, da persone diverse. E' come se, per taluni di
loro, le intense emozioni provocate dagli indicibili orrori di quella
guerra e di quel regime, si fossero combinate con le ambiguità,
i dualismi e i compromessi della vita di Heisenberg, per renderlo
soggetto a un certo tipo di principio di indeterminazione".
[
] E i miei personaggi? Somigliano in qualche modo agli originali?
E' impossibile captare l'esatto tono di voce di persone che non
si sono mai conosciute, basandosi semplicemente sulle testimonianze
scritte, specialmente poi se la maggior parte di quello che i loro
contemporanei riferiscono di averli sentiti dire era detto in altre
lingue. Con i miei protagonisti c'erano problemi particolari. Bohr
era famoso per il suo tono inarticolato e inaudibile, come lo era
per la sua bontà e amabilità. [
] Il problema
con Margrethe è che c'è ben poco materiale biografico
su cui basarsi. Lei e Niels erano sicuramente molto legati l'uno
all'altra, e tutto lascia pensare che lei fosse, come Niels, benvoluta
da tutti. Non aveva un'istruzione scientifica, ma Bohr discuteva
sempre con lei il proprio lavoro, presumibilmente evitando il linguaggio
tecnico - anche se questo doveva esserle diventato familiare, visto
che lei batteva a macchina ogni bozza degli scritti di lui. [
]
E' sempre stata più fredda di Bohr su Hiesenberg, e non nascose
la sua contrarietà per la visita di lui nel 1941. Secondo
Bohr, lei si oppose energicamente a che fosse invitato a casa, e
il suo atteggiamento si ammorbidì solamente quando Bohr le
promise di evitare la politica e di limitare la conversazione alla
fisica. [
] Il problema di Heisenberg è la sua elusività
ed ambiguità, che è poi l'argomento della commedia.
Michael
Frayn
Un processo privato a porte chiuse
Non è tanto il successo riscosso a Londra e a Parigi da Copenhagen
di Michael Frayn la ragione della messinscena di questo testo nel
nostro Paese. Pièce affascinante per l'originalità
dei temi e della struttura, Copenhagen è quasi un "processo
privato" a porte chiuse. Porte che di continuo si aprono proiettando
i personaggi verso luoghi e azioni del passato. Luoghi mentali,
forse, ma per noi tutti reali: la bomba atomica, il genocidio, la
funzione positiva, e al tempo stesso pericolosa, della scienza.
Copenhagen offre la possibilità di proporre, citando Montale,
"un tempo fondato sul valore delle parole" e non sui trucchi
dell'arte spettacolare. Operazione ancor oggi, e forse per molto
tempo ancora, addirittura inimmaginabile in Italia. Come particelle
dell'atomo, che si incontrano e si scontrano, i tre personaggi al
centro dell'opera cercano di dare un senso alle azioni della loro
vita, vittime anch'essi di quel "nucleo finale di indeterminazione
che sta nel cuore delle cose". Indispensabili, quindi, tre
interpreti d'eccezione; vale a dire, tre attori che "eccezionalmente"
abbandonino le loro certezze interpretative per affrontare un testo
"senza modelli".
Mauro
Avogadro