FRAMMENTI DI UN DISCORSO AMOROS
Massimo De
Francovich
di Roland Barthes
drammaturgia e
traduzione di Rita Cirio dall'originale edito da SEUIL ©
con Lorenzo Amato, David Sebasti, Luca Bastianello
scenografia digitale di Giulio Fregni, Lorenzo Miglioli
costumi di Guido Fiorato
musiche di Paolo Terni
regia di Piero Maccarinelli
Produzione Teatro
Eliseo
7
ottobre - 2 novembre 2003
La
stagione del Piccolo Eliseo Teatro Studio si apre nel segno dell'amore,
il più nobile e irriducibile dei sentimenti, con Frammenti
di un discorso amoroso, di Roland Barthes, creazione di grande fascino
che miscela interpretazione live e scenografia digitale. Uno spettacolo
cult, che ritorna a grande richiesta al Piccolo Eliseo, nell'adattamento
teatrale di Rita Cirio e con la regia di Piero Maccarinelli. Schegge
ed echi di discorsi amorosi in una atmosfera sospesa tra lezione e
sogno. "Il discorso amoroso - scrive Barthes - è oggi
di una estrema solitudine. E' un discorso forse parlato da migliaia
di individui, ma non è sostenuto da nessuno". Frammenti
di situazioni amorose, dall'attesa della persona amata all'incontro,
dalla dichiarazione al colpo di fulmine, alla gelosia, alle scenate,
alle fine dell'amore. Un lungo scambio di idee fra il professore,
interpretato da Massimo De Francovich, e tre suoi allievi, i cui nomi
Maquis, Pelleas e Werther, interpretati da Lorenzo Amato, David Sebasti
e Luca Bastianello, emblematicamente richiamano tre diversi modi di
interpretare il sentimento amoroso.
Lo spettacolo di Piero Maccarinelli, nato nel 2000 come omaggio a
Roland Barthes, si snoda in ventidue brevi capitoli in cui un innamorato
parla ad altri innamorati e dice dell'amore, e cerca di ricostruire,
attraverso il raffinato linguaggio e il sistema dei segni del singolare
maitres à penser, il percorso tipico di ogni storia d'amore.
La drammaturgia di Rita Cirio ha ricreato, con l'ausilio di materiali
audiovisivi, un percorso affascinante e condivisibile da qualunque
innamorato. In una sorta di scatola nera, su un ampio schermo, vengono
proiettati materiali amati dall'autore e spezzoni di film in digitale
girati nei luoghi dove Barthes è vissuto: il cancello della
sua casa parigina, le strade della Rive Gauche, i Giardini di Luxemburg.
Il testo si arricchisce di passi tratti dal Werther di Goethe, da
testi del Marchese de Sade e da Pelléas e Mélisande,
da cui i nomi dei personaggi in scena, quasi dei nickname di una chatline.
E, ancora, citazioni di Platone, della psicoanalisi di Lacan, della
filosofia Zen, di Nietzsche, accompagnate da una sapiente scelta di
brani musicali classici alternati alla canzone francese, che rievoca
la passione di Barthes per la musica e l'amore ossessivo per la madre.
Per tutta la durata delle recite dello spettacolo nel foyer del Piccolo
Eliseo sarà allestita la mostra Immagini di un discorso amoroso
di Marco Delogu; quindici fotografie che partono dai testi di Barthes
e rappresentano ognuna la sintesi estrema delle singole voci di cui
si compone il libro.
La quantità,
la dispersione, da un lato, la brevità, la concisione, dall'altro,
sembrano dividere, classificare all'infinito il mondo, costruire
uno spazio di puri frammenti, una polvere di eventi, che nulla -
per una sorta di mancanza di eredi della significazione - può
né deve coagulare, comporre, dirigere, concludere. Ciò
dipende dal fatto che il tempo è senza soggetto: la lettura
non ha altro io che la totalità degli altri di cui quest'io,
per infinite rifrazioni, non è mai altro che il luogo di
lettura: secondo un'immagine proposta dalla dottrina Hua-Yen, si
potrebbe dire che il corpo collettivo è un reticolo di gemme,
nel quale ciascuna gemma rispecchia le altre e così via,
all'infinito, senza che mai si possa afferrare un centro, un nucleo
primario d'irradiazione (per noi l'immagine più esatta di
questo rimbalzare senza impulso motore e senza arresto, questo gioco
di lampi senza origine, potrebbe essere quella del dizionario, in
cui una parola non si può definire che a partire da un'altra
parola).
Roland
Barthes, Sull'HAIKU, da L'impero dei segni (Einaudi, Torino, 1987)
Mi
ricordo Roland Barthes: parlava in caratteri bodoniani
[...] vent'anni erano già passati da quando quell'incidente
misterioso e maligno si portò via troppo presto l'autore
dei "Frammenti": pensai che ricavarne qualcosa per il
teatro sarebbe stato un modo - spero gentile e certo affettuoso
- per ricordare un maestro di tanta finezza. Oltretutto un maestro
conosciuto di persona e frequentato, bontà sua, anche per
il piacere di chiacchierare di gusti e disgusti comuni, di suoi
antichi amori - il teatro - al di là di ogni reverenza accademica.
Negli anni Settanta lo conobbi prima per lettera, mentre stavo curando
un Almanacco Bompiani dedicato all' "Utopia Rivisitata":
gli chiesi di rispondere a un questionario sull'attualità
della medesima. Arrivò un suo saggetto su Utopia e Politica,
su Desiderio e Bisogno. Lo ringraziai con poche righe parlando di
tutt'altro ma non mi pare di essermi lasciata andare ad esibirgli
la mia ammirazione onnivora, senza ripensamenti, che si estendeva
anche a certi suoi inediti scritti teatrali che mi aveva passato
il nostro comune amico Bernard Dort. Forse qualcosa lesse comunque
tra le righe, chissà, dall'entusiasmo della grafia, perché
arrivò una sua lettera (scriveva sempre a mano, con la penna
stilografica se non con il pennino, mai la biro o altri arnesi,
impaginando benissimo le righe) una lettera commossa, affettuosa,
come se ci conoscessimo da tempo. Lo incontrai un anno dopo, a Milano,
a un congresso di semiologia. Rientrava da Pechino, giacca maoista,
sigaro appeso all'angolo della bocca, mani affondate nelle tasche,
smussava angoli di muri osservando con scarso interesse quel viavai
di semiologi e di apprendisti: "La Cina? Là, almeno
non ci sono più segni". Visitatore solitario della semiologia
in tempi non sospetti ne aveva già diradato la frequentazione
mentre questa stava diventando meta di viaggi di massa raggiunta
da pulmini "inclusive tour" semiaccademici. Si divertì
molto di più alla proposta di scrivere un futile "Eloge
de la paillette" e del teatro di varietà, trovò
anzi la cosa molto seria e per niente scandaloso occuparsi insieme
di semiologia e di aigrettes.
A Parigi lo andavo a trovare nella sua casa bianca e raccolta di
rue Servadoni, mi invitava a prendere il caffè all'ora del
tè. Alla parete dello studio un suo quadro (sì, dipingeva,
disegnava, suonava il pianoforte, "come una signorina di buona
famiglia", diceva, e andava a ballare al Palace), segni grafici
senza intenzione di significato, una sorta di Pollock infine placato,
che ha risolto i suoi conflitti drammatici di colore in una stesura
calma, serena. Anche nelle conversazioni più rilassate l'eloquio
gli fluiva naturalmente elegante.
Parlava già in caratteri bodoniani [...]
Rita
Cirio
Di
cosa parliamo quando parliamo d'amore?
Frammenti di un discorso amoroso è un libro chiave per la
mia generazione: ha rappresentato la cerniera fra l'ubriacatura
dell'ideologico e la necessità di riscoperta del "privato".
Ha riportato il discorso amoroso al centro dell'attenzione, lo ha
affermato. Oggi, a più di vent'anni dalla sua pubblicazione
mi pare ancora di una straordinaria inattualità.
Non si è trattato quindi, nell'affrontare la riduzione per
il teatro di questo testo, di cercarne l'attualità ma di
restituire frammenti, echi di questo discorso in un'atmosfera sospesa
fra la lezione e il sogno. Si è cercato di mettere in scena
una enunciazione, non un'analisi.
Il professore e i suoi tre assistenti (Pelléas, Marquis e
Werther) parlano dell'amore ma non vivono fra loro alcuna relazione
amorosa: l'innamorato è solo. Usano un linguaggio, denunciano
una struttura, sono figure dell'innamorato.
Lo spazio è uno spazio assoluto, non realistico, che suggerisce
alcuni ambienti e delimita i linguaggi. Non è filosofia dell'amore,
non è una rappresentazione dell'amore, è un discorso
per echi, per frammenti, orizzontale, e ciascuno può confrontare,
arricchire questo scheletro di rappresentazione con la sua personale
rappresentazione. Quindi anche la rappresentazione non pretende
di raccontare una storia, di incatenare l'attenzione con l'evoluzione
di una trama (se non quella di ogni storia d'amore), ma suggerire,
evocare, fornire stimoli, associazioni, ricordi. Io ti amo, ti amo
anch'io.
Ma meglio di ogni altro è Roland Barthes che ci indica la
necessità di questo percorso: "il discorso amoroso è
oggi di una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato
da migliaia di individui ma non è sostenuto da nessuno. Esso
si trova ad essere completamente abbandonato dai discorsi vicini:
oppure da questi ignorato, svalutato, schernito, tagliato fuori
non solo dal potere ma anche dai meccanismi (scienze, arti, sapere).
Quando un discorso viene, dalla sua propria forza, trascinato in
questo modo nella deriva dell'inattuale, espulso da ogni forma di
gregarietà, non gli resta altro che essere il luogo, non
importa quanto esiguo, di affermazione. Questa affermazione è
l'argomento di questo spettacolo.
Piero
Maccarinelli
Dal testo
Mi piace: l'insalata, la cannella, il formaggio, le spezie, la pasta
di mandorle, l'odore del fieno appena tagliato, le rose, la birra
molto ghiacciata, la lavanda, lo champagne, le posizioni sfumate
in politica, i cuscini piatti, i sigari Avana, il pane al forno,
Haendel, le passeggiate non troppo lunghe, le pesche bianche, le
ciliegie, i colori, gli orologi, le penne da scrivere, il sale integrale,
i romanzi realisti, il pianoforte, il caffè, Pollock, Twombly,
tutta la musica romantica, Sartre, Brecht, Verne, Fourier, Eisenstein,
i treni, il médoc, avere gli spiccioli, Buovard e Pécuchet,
i fratelli Marx, passeggiare in sandali la sera per le stradine
del sud-ovest...
Detesto: le donne in pantaloni, i gerani, le fragole, il clavicembalo,
Miró, le tautologie, Arthur Rubinstein, le ville, i pomeriggi,
Satie, Bartok, Vivaldi, i cori di bambini, i concerti di Chopin,
l'organo, il dibattito politico-sessuale, le scenate, le iniziative,
la fedeltà, la spontaneità, le serate con gente che
non conosco
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