Teatro 3
in co-produzione con Teatro Stabile Friuli-Venezia Giulia
MASSIMO DAPPORTO
LA COSCIENZA DI ZENO
di Tullio Kezich
dal romanzo di Italo Svevo
con Virgilio Zernitz, Silvana De Santis,
David Sebasti
e con Paolo Sommaria, Alessandro Lombardo,
Laura Mazzi, Monica Barbato, Vanessa
Scalera, Arianna Ninchi
scene Bruno Buonincontri
costumi Annalisa Di Piero
musiche Paolo Terni
regia Piero Maccarinelli
una produzione di Francesca e Lucio Ardenzi
dal 3 al 29 febbraio ’04 al Teatro
Quirino
Il capolavoro di Italo Svevo da quarant'anni è
anche uno straordinario testo teatrale: è stato proprio nel '64
che Tullio Kezich (concittadino di Svevo e suo appassionato studioso)
ha adattato per la scena La coscienza di Zeno, aprendo la strada alla
rappresentazione dell'opera dell'autore triestino e della sua lingua sino
ad allora considerata irrappresentabile.
Primo grande protagonista fu Alberto Lionello, che negli anni ha passato
il testimone a molti suoi colleghi; l'ultimo in ordine di tempo a calarsi
nel ruolo dell'abulico personaggio è Massimo Dapporto, diretto
da Piero Maccarinelli in questo tragicomico racconto di vita.
Zeno Cosini, tra una pagina di diario e una seduta dallo psicanalista,
nel disperato tentativo di smettere di fumare, torna con la memoria ai
momenti nodali della sua vita, in un lungo monologo interiore tormentato
e via via sempre più compiaciuto.
Questo antieroe figlio del Novecento, che sposa la sorella sbagliata e
sbaglia funerale, con un pesante carico di fallimenti ed occasioni perdute,
si scopre capace suo malgrado di governare, con ironia e distacco, gli
eventi.
Con la Coscienza di Zeno Dapporto (dopo la fortunata parentesi televisiva
che lo ha consacrato presso il grande pubblico) torna al teatro, riconoscendosi
nelle nevrosi e nelle perplessità di un Cosini a cui dona naturalezza
e sottile umorismo.
Alla fine dell'ottocento Trieste si trova a vivere il
suo massimo splendore di città mercantile, colta, multietnica e
multiculturale. Vive nella città una borghesia imprenditoriale
che coltiva psicoanalisi e musica, letteratura e teatro in un contesto
dove la cultura ebraica risulta se non dominante certo determinante, e
che sembra essere molto assimilabile preso atto delle inevitabili differenze
alla borghesia new yorkese di Woody Allen. Analizzando il capolavoro di
Svevo non si può prescindere dalla storicizzazione ne dalla contestualizzazione
dell'opera nel clima politico, sociale e culturale che l'ha prodotta,
ma quando Ardenzi mi ha proposto la regia della Coscienza di Zeno per
Massimo Dapporto nella riduzione di Tullio Kezich e più ancora
quando al progetto abbiamo incominciato a lavorare con Francesca Ardenzi,
subito la sagoma di Woody Allen mi si è parata davanti agli occhi.
Zeno è un inetto è figlio della borghesia triestina (si
è citata spesso la maschera di Charlot a suo proposito) ma oggi
senza decontestualizzarlo a me sembra assai più vicino a quella
del geniale regista ebreo americano. L'incapacità di Zeno a scegliere
fra le molte donne della sua vita, il suo vagare indeciso fra l'idealizzazione
della femminilità e la femmina moglie+madre, il suo cercare modelli
di padre, il moltiplicarsi delle costanti proiezioni della sua mente,
il suo rapporto conflittuale con la psicoanalisi, la sua ipocondria, il
suo costante non uscire dalle cerchie della città metropolitana
dal cuore di Trieste, la sua capacità di rimozione, il suo dipendere
da figure femminili di grande decisione e determinazione, il circondarsi
di figure maschili talvolta altrettanto inette (Copler) talvolta inutilmente
idealizzate a cui sentirsi inferiori sul piano del fascino (Guido) spesso
paterne a cui guardare con un sorriso di compatimento (il padre, lo psicoanalista,
il padre Malfenti), la sua camaleontica trasformazione in Svevo scrittore
e in Ettore Schmitz commerciante il suo vagare continuo fra distrazione
e menzogna che genera somatizzazioni me lo rende irresistibilmente e contagiosamente
vicino.
Negli anni sessanta quando Squarzina allestì per la prima volta
e in modo indimenticabile lo Zeno di Lionello si trattava ancora di riparare
ad un torto ad una omissione, di ribadire l'importanza e la centralità
del percorso intellettuale ed artistico di Svevo per la cultura ed il
teatro italiano.
Oggi credo ci si possa sentire più liberi nel rileggerlo, coscienti
della sua importanza e più autorizzati a scoprire il dato tragicomico
e grottesco ma anche leggero e ironico del percorso di ZENO E SVEVO.
Per questo nello spettacolo ho immaginato che tutto partisse dal 1916,
da Zeno dalla sua coscienza raggiunta e che fosse lui stesso in un percorso
a ritroso di associazioni e immagini che si accavallano nella sua mente
ad accompagnarci nei molti luoghi dei suoi ricordi, luoghi non definiti
naturalisticamente ma accennati, virati seppia, come nei ricordi appunto,
e popolati dai molti personaggi della sua vita che a volte scopertamente
nello spettacolo sono interpreti di doppi o tripli ruoli accostati sia
per la somiglianza o l'assonanza delle loro specificità sia proprio
per la loro dissonanza.
Ho immaginato che Zeno potesse essere il Caronte di questo suo viaggio,
assumendosi però la doppia natura di guida e di protagonista del
suo percorso entrando e uscendo in continuazione dal personaggio in una
dimensione squisitamente di gioco teatrale che allontanasse il più
possibile la credibilità dello sceneggiato o dello stile televisivo.
Ho chiesto a Buonincontri una scenografia che mi consentisse dei continui
cambi di ambiente e d'atmosfera ma che non definisse troppo filologicamente
l'epoca, che lasciasse indefinitamente novecentesco l'ambiente mentre
per i costumi ho preferito un maggiore rigore filologico perché
non si trattava di attualizzare Zeno.
Zeno è già di per sé attuale, nostro, contemporaneo
qui sta la grandezza dell'opera di Svevo che sembra parlare di noi della
nostra incertezza della nostra inettitudine ai primi di questo secolo:
anche la profezia finale di Svevo oggi ci appare inquietantemente nostra.
Ho chiesto agli attori una partecipazione intellettuale, una appropriazione
del percorso culturale di Svevo ma anche una grande libertà nel
restituirne la teatralità deformata grottescamente, comicamente
o tragicamente.
SVEVO/ZENO è l'omino con la bombetta di Magritte irresistibilmente
e atemporalmente nostro contemporaneo.
Piero Maccarinelli
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