Doppiaeffe
s.a.s. Compagnia di prosa Mariano Rigillo
Il misantropo
o l'atrabiliare amoroso
di Molière
con MARIANO RIGILLO e MARIA TERESA ROSSINI
e con Edoardo Sylos Labini, Nicola d’Eramo, Liliana Massari,
Mirella Mazzeranghi, Luciano D’Amico, Francesco Frangipane, Francesco
Cutrupi, Luca Lamberti
scene Piero Guicciardini
costumi Versace / Manola Romagnoli
musiche Nicola Piovani a cura di Pasquale Filastò
luci Luigi Ascione
regia Roberto Guicciardini
In scena dal 9 al 21 Marzo 2004
È da una strisciante ma acuta disperazione che sottende il testo
del Misantropo che parte Roberto Guicciardini nel rileggere il capolavoro
moleriano, accentuando la tensione morale in direzione di una profonda
lacerante opposizione tra ragione e sentimento, etica e socialità.
E nel rigore dell'impostazione, s'affida al collaudato binomio teatrale
di Mariano Rigillo e Maria Teresa Rossini, che incarnano la volontà
di consolidare il reciproco stile di vita, spinto in opposte direzioni.
Senza intaccare la struttura del testo e il tema di fondo dell’originale,
Guicciardini conferisce modernità alla commedia grazie non solo
alla scenografia fortemente allusiva e alle musiche di Nicola Piovani,
ma anche alla scelta di restituire al personaggio di Alceste quella contemporaneità
che fa di questo straordinario personaggio un emblema perfetto delle difficoltà
di conciliare le ragioni individuali con quelle che invece ci vengono
richieste o imposte dalla società.
Rappresentato per la prima volta nel 1666 con scarso successo, Il Misantropo
è uno straordinario ritratto del Seicento pre-illuminista, con
i suoi dubbi sull’eticità dell’esistenza e la sua precisa
volontà di rifondare la realtà. Alceste, il “duro
e puro” in perenne lotta con l’ipocrisia e i vizi del secolo
in cui vive, rappresenta la lacerazione profonda di un’epoca che
vede opporsi, in uno iato insanabile, l’etica da una parte e le
ragioni della socialità dall’altra. Ma il sogno di assoluto
di Alceste, che crede fermamente nell’onestà dell’individuo
al di là delle apparenze e del conformismo, si scontra non solo
con le ipocrisie di un mondo corrotto e imperfetto bensì con il
conformismo civettuolo e molle delle cosiddette “buone maniere”.
Ecco allora che l’amata Celimene, donna tanto bella quanto frivola,
rappresenta per Alceste il punto di non ritorno tra la propria etica individuale
e la mollezza di un secolo interamente votato all’apparenza e alla
sterile civetteria.
Vertice assoluto della scrittura moleriana, Il Misantropo pone allo spettatore
delle domande fondamentali sulle ragioni del comportamento umano e lascia
aperto il giudizio sull’intransigenza quasi “metafisica”
di Alceste sul quale Molière pare non esprimere alcuna riflessione
morale, se non fosse proprio per il trasparire di un'angosciosa disperazione.
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