a cura di
Serena Capotorto - Sara Cascelli
Maria Fabbricatore - Laura Porelli
Paola Rocco

Teatro Piccolo Eliseo

PICCOLO ELISEO TEATRO STUDIO

OBERON

di Ugo Chiti
con Leda Negroni,
e con Francesco Falabella, Maria Rosaria Carli
scene Leonardo Conte, Alessandra Panconi
costumi Cristina Gaetano
regia Lorenzo Amato

dal 18 al 30 gennaio 2005

produzione: Altera Actione

In scena al Piccolo Eliseo dal 18 al 30 gennaio la poesia di Ugo Chiti, uno dei drammaturghi più interessanti della scena italiana, nella perfetta misura dell’atto unico con tre voci soliste: un giovane omosessuale, una madre protettiva, una cugina perbenista. Oberon: un dramma “senza luogo” e “senza tempo” all’interno del quale l’omosessualità si libera dagli stereotipi e da qualsiasi connotazione geografica e culturale per rappresentare semplicemente una normale, qualunque, famiglia piccolo borghese, nessun padre violento, nessun tipo di relazione morbosa, solo una madre e un figlio “diverso” e il loro straordinario e saldissimo amore. E’ proprio attraverso questo indistruttibile rapporto che nella piéce il tema dell’omosessualità è solo un pretesto per mettere in evidenza quello più universale della diversità. Lorenzo Amato, alla sua prima regia, esalta il rapporto assoluto fra madre e figlio. Madre a cui dà corpo e anima Leda Negroni, in una prova di splendida maturità artistica, al suo fianco Francesco Falabella nel ruolo del figlio e Maria Rosaria Carli, la parente cui spetta il ruolo della “voce della gente”.

Di fronte alla scelta di un testo da dirigere come debutto nella regia, la prima domanda che ci si potrebbe porre è: perchè proprio Oberon di Ugo Chiti? La scelta, o meglio la spinta verso un testo è e dovrebbe essere sempre, a mio avviso, qualcosa di personale e istintivo e queste sono le mie ragioni principali. Soprattutto agli inizi, però, i giovani registi, per ovvi motivi, sono incoraggiati da chi deve produrre e poi magari circuitare lo spettacolo, verso una novità assoluta, oppure (i più arditi) verso un grande classico, possibilmente con attori “di cassetta”. Grazie al coraggio di Altera Actione, ho potuto invece lavorare in piena libertà. Scegliere e in qualche modo “essere scelto” dal testo, dagli attori e dai tecnici, con la fortuna di vedere crescere, giorno per giorno, una forza compatta, unica e rara, attorno a questo progetto. Ma torniamo brevemente al testo. Già rappresentato nei primi anni Novanta al Festival di Benevento (da Patrick Rossi Gastaldi, con Pupella Maggio nel ruolo della madre) e ancora nel 1998 dalla compagnia dello stesso Chiti (riadattato e unito a un suo altro atto unico, Loro, in uno spettacolo dal titolo Come naufraghi in un mare di città), Oberon non è dunque una novità assoluta,

non è un grande classico, ma, secondo me, si può collocare esattamente tra questi due estremi. Il dramma è, a mio avviso, “senza luogo” e “senza tempo” e così ho scelto di metterlo in scena. Il tema dell’omosessualità, sfruttatissimo dalla drammaturgia degli anni Ottanta-Novanta (soprattutto americana e inglese), qui si libera da qualsiasi connotazione geografica e culturale, dallo spettro dell’Aids (tema ossessivamente ricorrente nei testi di quegli anni), e anche da tutte quelle giustificazioni sociali alle quali molti autori ricorrevano nel mettere in scena un personaggio omosessuale (ambientazioni periferiche, situazioni familiari disastrate, eccetera). Qui siamo di fronte a una famiglia piccolo-borghese qualunque, una famiglia normale, senza padri violenti o relazioni morbose. Siamo di fronte a una madre e a un figlio “diverso”, al loro struggente rapporto d’amore. Ed è proprio attraverso la descrizione di questo rapporto che, secondo me, in Oberon il tema dell’omosessualità si riduce ad un pretesto e viene ampiamente superato da quello più universale della diversità, dell’accettarsi reciprocamente, dell’apertura verso il prossimo; insomma dall’ideale di un amore assoluto. Tutto questo avviene anche grazie ad un genere di scrittura in qualche modo “sospesa”, solo apparentemente naturalistica che per me rimanda più a quello della Tragedia classica piuttosto che a quello “cinematografico” di molta drammaturgia contemporanea. Quindi Oberon, pur conservando il carattere della novità (il testo in Italia è stato sfruttato pochissimo), per le tematiche che affronta ed il modo un cui le affronta, può e deve aspirare a diventare un “piccolo classico”. Un testo che possa entrare a fare parte di quello che dovrebbe divenire una sorta di nuovo repertorio drammaturgico italiano, da proporre e riproporre esattamente come quello dei grandi classici, in Italia e meglio ancora in Europa, al quale proprio noi giovani dovremmo rivolgerci.

Lorenzo Amato

 


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