ROMA, Teatro Valle
Arca Azzurra Teatro
Benvenuti s.r.l.
in collaborazione con Il Contato/Teatro Giacosa di Ivrea
ALESSANDRO BENVENUTI
NERO CARDINALE
testo e regia Ugo Chiti
con
Alessandro Benvenuti Francesco Maria Medici
Massimo Salvianti Cosimo Terzo Medici
Teresa Fallai Eleonora di Guastalla / Sorella
Alessio Venturini Cesto / Tegame
Lucia Socci Cecchina
Dimitri Frosali Giuseppe / Secco
Andrea Costagli Maestro di Galanteria / Uccellone
Giuliana Colzi Menica
Maurizio Lombardi Dottore / Bagliore
Francesco Gabbrielli Abatino
scene Daniele Spisa
costumi Massimo Poli
luci Marco Messeri
dal 23 novembre al 5 dicembre 2004
NERO CARDINALE, Premio Riccione 1987, si riferisce ad
un episodio storicamente vero anche se poco noto, magistralmente interpretato
da Alessandro Benvenuti, nella versione teatrale ideata da Ugo.Chiti (che
firma anche la regia dello spettacolo).
I due ripropongono, così, il loro sodalizio artistico
dopo i successi teatrali e cinematografici dell'ormai classico ciclo della
famiglia Gori.
La mordace toscanità di Benvenuti ben si adatta
ad un personaggio tanto complesso e ricco di sfumature, figura carnale
ma infelice che passa dalla beffarda insofferenza all’amara consapevolezza
del fallimento attraverso un linguaggio colorito, impreziosito, nella
scrittura di Chiti, da ricercati e sapidi toscanismi.
La vicenda ci riporta al 1707, una sera di Carnevale
in cui il granduca Cosimo III costringe suo fratello, il cardinale Francesco
Maria de’Medici, detto “cardinal cuccagna” per il suo
gusto di vivere, a “scardinalizzarsi” e a impalmare la giovane
Eleonora Gonzaga di Guastalla, per assicurare continuità ad una
dinastia avara di eredi. Costretto dalla “ragion di Stato”
ad abbandonare la leggerezza dei costumi e il buon vivere, il cardinale
crede di potersi finalmente riscattare dal ruolo di eterno secondo, che
lo aveva costretto alla vita religiosa escludendolo dal potere, a vantaggio
del fratello maggiore. La rinuncia al vizio e alla dissipazione diverrà
paradossalmente la sua colpa e il suo peccato, poiché non riuscirà
ad adeguarsi all’ipocrisia e al perbenismo della vita di corte.
La giovane moglie non accetta un consorte tanto più
anziano di lei, e lo respinge. Isolato in un contesto che sente profondamente
estraneo l’ormai ex “cardinal cuccagna” si chiude in
se stesso, vagheggiando la vita di un tempo, fino a morire di malinconia
e solitudine.
A sottolineare le trame ambigue e meschine della vicenda,
ci sono gli ambienti essenziali, a volte appena accennati in un disegno,
creati da Daniele Spisa: pannelli in bianco e nero che scendono in proscenio
a suggerire corridoi alle cui porte i servi possono tranquillamente origliare.
È in questo contesto che il regista Chiti manovra con eleganza
una folta schiera di attori impegnati ad interpretare Cosimo, Eleonora,
i cortigiani, i servi che si agiscono intorno al cardinale, figura minore
della dinastia Medici cui spetta il compito d’incarnare i paradossi
di un’epoca in disfacimento, attraverso la metamorfosi di un vizioso
che prima urla la propria insofferenza, la propria prepotenza e si accorge
troppo tardi della sconfitta.
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