Un
pomeriggio speciale a casa di Lino Patruno
Tutti
i segreti del re italiano del jazz
Dalla
musica al teatro e al cinema passando per la politica e Berlusconi:
la storia di un italiano doc
di
Rossella Bacchiocchi
Roma.
Un pomeriggio come tanti in questa stagione. Un pallido sole dopo
molte ore di pioggia e un’aria carica di umidità. Appuntamento
alle 15 a casa di Lino Patruno. Un viaggio pieno di ansia e di assoluto
timore per l’incontro con una persona il cui spessore è la
risultanza di una vastissima esperienza artistica ed umana. E che,
dietro un sorriso ed un aspetto da affascinante cinquantenne (e
se alla anagrafe gli anni risultano essere qualcosina in più
… probabilmente ci deve essere stato un errore!) è, comunque,
la testimonianza vivente e attiva di una sorta di romanzo epico
fatto di grandi nomi, grandi uomini e grandi sogni.
La casa, confortevole e accogliente,
miscela passato e presente e regala interminabili emozioni. Alle
pareti centinaia di dischi, di libri e di film. Sul divano, accomodante
e rilassato, un interlocutore capace di riuscire a calmare persone
che hanno fatto dell’ansia e dell’irrequietezza le proprie compagne
di viaggio.
Sei un personaggio poliedrico:
hai fatto di tutto, dal teatro al cinema alla musica. Volevo chiederti
proprio della musica, come nasce la passione per il jazz. Cominci
giovanissimo negli anni 50/60 a Milano.
La passione per il jazz nasce per diverse
ragioni, non c’è un solo motivo. A monte di queste ragioni
c’è il fatto che ho scoperto questa musica improvvisamente,
ascoltando un disco che mi era stato prestato, un 78 giri della
Roman New Orleans Jazz Band che era stata la prima orchestra italiana
a fare questo genere di musica. A quel tempo fortunatamente il rock
and roll non era ancora nato e mi pare che Sanremo fosse proprio
agli albori, per cui l’unica alternativa alla musica italiana era
il jazz tradizionale. Il jazz allora non veniva dagli Stati Uniti,
veniva dalla moda francese dell’esistenzialismo. Era stato la colonna
sonora dell’esistenzialismo di Sartre, Cocteau, Juiliette Greco,
negli anni 40 ad opera di un famoso sopranista e clarinettista di
New Orleans, Sidney Bechet, che si era trasferito a Parigi dopo
la guerra. Di riflesso questa moda arrivò in Italia per cui
si poteva assistere ai concerti nei teatri come l’Eliseo di Roma
e il Manzoni di Milano con manifestazioni di entusiasmo incredibile.
Adesso, a distanza di 50 anni, riscontro lo stesso interesse da
parte della gente per qualche cosa di differente dalla banalità
del momento, visto che la musica oramai è finita 30 anni
fa. Adesso non c’è più musica ed è per questo
che la gente si ritrova ad applaudire le cose del passato. L’altra
ragione era che il jazz rappresentava un po’ la musica degli snob,
cioè della gente che in qualche maniera voleva distinguersi
dagli altri. Allora si diceva "faceva distinto" cioè
ci si distingueva ascoltando il jazz e quando hai 18 anni succede
di voler sembrare diverso dagli altri.
La musica in quel periodo era
un veicolo di informazione, era un modo per raccontare agli altri
se stessi.
Una volta c’erano le sale da ballo,
come purtroppo ci sono le discoteche oggi, ma nelle sale da ballo
c’erano le orchestre che suonavano. In quel tempo avevamo un locale
a Milano che si chiamava Santa Tecla dove si ballava con il jazz
quindi la gente era abituata a ballare il jazz come succedeva negli
anni ‘20 e durante l’era dello Swing. Una musica che si suona nei
locali dove sono raccolte delle persone è sempre stata un
veicolo di espressione.
E adesso come si è evoluta
la situazione?
Adesso dobbiamo essere grati alla televisione che è
orrenda, per cui la gente esce di casa e ha voglia di vedere noi,
di sentire delle cose diverse da quelle che gli sono offerte dai
media.
Da
parte del pubblico c’è stato un cambiamento nel rapportarsi
al jazz ?
Adesso
è meraviglioso. Tutti i lunedì sera suono in un locale
di Roma che si chiama New Orleans Cafè e devo dire che la
gente è impazzita per questo tipo di musica. La musica che
noi suoniamo è anni ‘20/’30 e la cosa che stupisce è
che il pubblico non è rappresentato solo da gente, diciamo
anziana, ma anche da ragazzi di poco più di 20 anni.
Nel
corso della tua carriera sei venuto a contatto con i grandi della
storia del jazz.
Ho
suonato con Joe Venuti, con Bill Coleman, con Teddy Wilson, con
Wild Bill Davison, con Bud Freeman e tantissimi altri…è stata
una grande gioia poter suonare con queste persone. Il jazz è
la mia vita, faccio anche altre cose ma una vita senza jazz sarebbe
talmente banale che forse sarebbe meglio non viverla.
Che rapporto hai con gli strumenti
che hai suonato ?
Li amo. È un rapporto quasi
fisiologico a volte mi fanno anche molto male infatti questo è
un periodo di sofferenza ho il "braccio del chitarrista"
sono due mesi che sto curandomi una spalla, non dovrei suonare,
ma sarebbe impossibile non farlo.
Cosa pensi della musica di oggi
, dei giovani. Che futuro pensi che possano avere ?
Mi dispiace tanto che la maggior parte
dei giovani di adesso non possano vivere le gioie che la musica
potrebbe dare loro. La musica di oggi è una musica per dementi
e purtroppo credo che fra 20 anni non ci sarà più
musica.
Non credi nemmeno nella possibilità
di un recupero ?
No anche perché non c’è
ragione né da parte dei media né da parte di chi detiene
il potere. Così come si vuole fare la guerra a Saddam Hussein,
nello stesso modo si vuole evitare che la gente possa pensare a
recuperare determinate cose che economicamente non sarebbero vantaggiose,
quindi bisogna vendere le stupidità. E questo non riguarda
solo la musica ma anche il teatro, il cinema, la letteratura e considera
che quelli che hanno ancora successo sono quelli della vecchia guardia
come ad esempio Camilleri. La gente che viene al locale e scopre
questa musica la impara a conoscere qui, perché non ha altro
genere di riferimenti. E’ come una specie di limbo, una cultura
cancellata. Una volta se moriva un personaggio, dalla sera stessa
cominciavano a fare delle rassegne su questo. Qualche mese fa nello
stesso giorno sono morti Marina Berti, Raf Vallone e Lello Bersani
e i media se la sono cavata con qualche parola al telegiornale,
alla TV nemmeno un film con Marina Berti o Raf Vallone che
sono stati alcuni fra i protagonisti del cinema degli anni ’40 ‘50
e ’60. Si tende a cancellare, cancellano la storia, perché
oramai sono tutti presi dal mondo dell’immaginario, dal mondo berluscon-celentanoide
come lo chiamo io, quello fatto di banalità, di stupidità
e di tette, sederi e calendari. E’ tutto molto triste, siamo in
un mondo con valori zero.
Dal punto di vista della musica
jazz come si presenta il 2000 ?
Un disastro. Non amo il jazz di oggi,
non amo il jazz da 30 anni a questa parte. Non c’è più
sperimentazione, non c’è più niente. I dischi jazz
di adesso non sono più interessanti. Per me il genere è
finito negli anni 60 e io continuo a seguire quelle cose che sono
poi quelle che mi danno gioia e che mi hanno formato.
Parlando di televisione: come
è nato il tuo rapporto con la TV. Venivi dal
teatro, dai palcoscenici, quindi ti sei trovato ad affrontare un
nuovo genere di pubblico ?
Beh io ho cominciato a farla molto
presto nel 1957 con la trasmissione "Crociera d’estate"
presentata da Enzo Tortora e in quel tempo la televisione veniva
fatta in diretta, quindi, dal momento che non si trattava di talk-show,
si provava molto. Cominciai a fare programmi nei quali il jazz c’entrava
anche se non tantissimo. Mi ricordo che il sabato sera in televisione
si poteva assistere a degli eventi eccezionali come la registrazione
del concerto al teatro Lirico di Milano del concerto di Ella Fitzgerald
e Duke Ellington. In quel periodo la televisione era bella anche
perché la facevano i professionisti. La facevano gli attori.
Spesso si faceva teatro in televisione. Poi sono arrivate le soap
opera che sono come i musical all’italiana che a loro volta sono
come i western all’italiana… vale a dire il trionfo della banalità.
Come è stato lavorare
con Tortora anche perché la notorietà televisiva ti
è arrivata lavorando con lui per 4 anni a Portobello
Era una persona molto riservata. Abbiamo
lavorato assieme ma non siamo mai riusciti ad avere un rapporto
di amicizia nel vero senso della parola. Era cordiale, gentile e
molto professionale ma aveva la tendenza a stare molto per conto
suo. Quando la sera, finita la trasmissione, si andava a mangiare
con tutto lo studio, lui stava sempre un po’ in disparte, non si
metteva a far casino con noi.
Comunque Enzo è stato
l’unico conduttore a inserire il jazz in una trasmissione in prima
serata.
Parliamo
di teatro, altra grande passione. Tu hai da poco finito una tournée
con "La Signora in Blues". Trovi un cambiamento nel pubblico?
Con "La Signora in Blues"
ho fatto due stagioni ed è stata un’esperienza piacevole.
Un testo molto bello, molto poetico. Il pubblico è sempre
lo stesso, quello che c’era 30 anni fa c’è ancora adesso.
Il pubblico che ama andare a teatro è quello che sa fare
le sue scelte e che alla fine decreta il tuo successo
Parlami un po’ di Nanni Svampa.
Abbiamo cominciato insieme a fare cabaret.
Io facevo solo jazz in quel periodo. Ci siamo conosciuti tramite
una mia vecchia fidanzata e abbiamo formato il gruppo dei Gufi.
Lui è un uomo molto intelligente, molto simpatico molto sarcastico
e c’è ancora un bel rapporto fra noi. I Gufi mi hanno portato
in teatro e io devo essere grato al teatro perché ho imparato
la dizione, ho imparato a stare in palcoscenico, a recitare, a muovermi,
tutte cose che non avrei saputo fare facendo solo jazz
Hai sempre tentato di fondere
ogni tua iniziativa con il jazz
Il mio desiderio sarebbe fare un tutt’uno
come successe nel film " Bix" di Pupi Avati a cui collaborai
in qualità di cosceneggiatore e di produttore della colonna
sonora.
1976: Amarcord. Federico Fellini
Quando noi debuttammo in teatro al
Fiammetta a Roma nel 1966 il nostro impresario Remigio Paone chiese
a Federico Fellini di darci una mano ad andare in scena. Allora
andammo a fare il nostro spettacolo nell’ufficio di Fellini, davanti
a 4 persone e a noi abituati al rapporto con il pubblico ci sembrò
di recitare nel gelo più completo. Fellini ci diede dei consigli
soprattutto sul trucco e sui movimenti coreografici. Dopo qualche
anno mi prese per interpretare la parte di uno satudente in "Amarcord"
perché lui diceva che avevo la faccia da bambino. Ma come
succede quasi sempre, molti furono i tagli rispetto alle scene che
girammo. Però è stata un esperienza. E poi c’è
stata una bella conoscenza fatta di stima reciproca che è
continuata nel tempo
Tu hai lavorato con tantissime
persone. Ricordavi prima Pupi Avati, ma ci sono anche Carlo delle
Piane, Maurizio Micheli. Fai parte della Giuria del David. Come
è il cinema?
Conosco Carlo delle Piane fin dagli
anni ’60. Maurizio Micheli è il mio migliore amico, ci conosciamo
da oltre 30 anni. Con Pupi Avati addirittura dalla fine degli ani
’50; lui suonava il clarinetto in una band bolognese che aveva due
clarinettisti, l’altro era Lucio Dalla. In quanto al David di Donatello
devo dirti che di bei film adesso se ne vedono molto pochi; "L’imbalsamatore"
è uno di quelli. Comunque se vuoi vedere un capolavoro vai
a vedere "il pianista" che è un grande film. L’anno
scorso abbiamo assistito ad un grande evento che è stato
"Il mestiere delle armi". Attualmente per avere un film
meraviglioso ce ne vogliono cento che valgono poco o niente
Ci sono delle leggi di mercato
che ti hanno un po’ ostacolato sia come jazzman che in altre tue
produzioni?
Si le leggi ci sono, esistono ma io
sono sempre stato un po’ lontano da queste cose. Quando faccio una
cosa non la faccio perché piace alla gente ma perché
principalmente piace a me. Poi incido per la mia etichetta oppure
per la Jazzology di New Orleans che mi pubblica un disco all’anno
e me lo distribuisce in tutto il mondo..
Ma così non si viene a
creare una distanza tra il mercato e il prodotto.
Vedi il mercato non c’è. Il
mercato dei discografici non ha nessuna differenza col mercato dei
salumieri con tutto il rispetto che ho per questi ultimi e a me
non interessa fare dei dischi solo per farli vendere
I festival jazz ?
Quello di San Marino non lo faccio più grazie ad un
politico di nome Claudio Podeschi che ha deciso di passare alla
storia privando i sanmarinesi del Festival del Jazz dopo otto anni;
mentre per quello di Crotone mi danno l’O.K. un paio di mesi prima
e c’è poco tempo per fare una programmazione come di dovrebbe.
La partecipazione della gente
è magnifica pensa che a quello di Ancona in dieci giorni
si registrano 80/90 mila persone.
Lino Patruno nell’Italia di adesso
come si vede? Il jazz parla dei turbamenti dell’anima, dell’inquietudine.
Li avverti nella realtà di oggi ?
Mah io mi vedo come un turbamento.
Io sono un turbamento per la gente. Oggi più di prima esiste
la censura e poi viviamo in un momento politico talmente inutile
e vergognoso all’insegna della stupidità. Non c’è
neanche la voglia nella sinistra di rimettersi insieme, pensa tu
come si possono sentire i giovani che non si vedono appoggiati,
non si sentono garantiti idealmente da nessuno…
E Silvio Berlusconi …?
Beh lui cantava delle canzoni francesi,
abbiamo avuto modo anche di farlo assieme. Ci siamo conosciuti a
casa di Bettino Craxi e in quell’occasione lo accompagnai con la
chitarra in "que rest til " poi ci siamo messi a parlare
e io gli ho chiesto "Silvio, ma tu non fai jazz nelle tue reti,
perché?" e lui guardando il suo "portaborse"
"come non lo facciamo?? Beh bisogna correre ai ripari. Allora
Lino senti una cosa prenditi il numero di Urbano, lo chiami, fate
un progettino e poi mi chiamate per mettere a punto la questione".
Io dopo 3/4 giorni chiamo Urbano e lui mi dice "scusa mi potresti
chiamare tra un mese che ho da fare ora?". Il mio rapporto
con la Fininvest è finito lì!
Torniamo alle cose serie, torniamo
al cinema. Con chi ti piacerebbe collaborare ?
Adesso ho un progetto vorrei debuttare nella regia con una
storia che ho scritto che riguarda Nick La Rocca, il primo jazzista
che incise il primo disco della storia del jazz nel 1917disco jazz.
Morì nel ‘61 disperato del fatto che nessuno si fosse mai
accorto di lui mentre la gloria e gli onori sono stati per Armstrong,
Ellington, Bix, Goodman etc. Il padre di Nick La Rocca era di Salaparuta
il provincia di Trapani e qualche anno fa ci andai e parlai con
il sindaco di questo straordinario personaggio. Poi scrissi un articolo
su di lui sul Corriere della Sicilia e finalmente qualcosa si è
cominciata a muovere tanto che l’ano successivo fui invitato all’inaugurazione
dell’auditorium Nick la Rocca.
Per quanto riguarda il film comunque
trovo molte difficoltà.
Se ti fosse data l’opportunità
di organizzare una jam session con la storia con chi vorresti suonare
?
Beh in un certo senso lo sto già
facendo. Sto pubblicando una collana jazz e uscirà tra poco
un disco nel quale ricordo il primo chitarrista jazz della storia
per il centenario dalla nascita Eddie Lang, che in realtà
si chiamava Salvatore Massaro. Grande amico di Joe Venuti che a
sua volta nell’ultimo periodo della sua vita è stato uno
tra i miei più cari amici. Il mio sogno sarebbe quello di
poter fare un grande concerto con tutti i grandi musicisti jazz
alla Carnegie Hall di New York che in passato è stato il
tempio dei concerti jazz.
Che vuoi fare da grande ?
Sai che vorrei fare? Vorrei fidanzarmi.
Io sono un libertino impenitente e in tutta la mia vita non ho fatto
altro che amare, seppur sporadicamente, delle fanciulle fidanzate
con altri. Una volta tanto vorrei fidanzarmi regolarmente!
E’ importante l’amore nella vita
?
Per me l’amore non è quello
delle grandi storie, anche se io ho avuto delle lunghe storie. L’amore
è quello di quando incontri una ragazza che ti piace e le
fai la corte e lei ci sta. Può succedere anche una volta
ogni due tre giorni ed è sempre bello. E’ il momento della
conquista che mi interessa, è un momento meraviglioso
Il jazz aiuta. L’essere famosi
in generale aiuta nelle conquiste ?
Non lo so anche perché quando
avevo 20 anni avevo già una certa popolarità per cui
ero sempre presente in qualche manifestazione … dovrei parlarti
di quando andavo a scuola ma ero troppo giovane. Una mia grande
dote è la sincerità. Io son fatto così per
cui o mi si accetta oppure no, ma non mi sembra giusto dover cambiare
in funzione degli altri, dover mentire in un certo senso a se stessi
e se è capitato che qualcuno non mi volesse certamente era
perché non mi meritava
Cosa ti spaventa ?
Io sono spaventato dalle malattie e queste mi spaventano
più della morte addirittura. Sono stato malato e questo ha
fatto si che si rafforzasse l’amore per la vita. Adesso sto molto
attento. Niente Bacco né tabacco ma solo Venere. Considera
che dove faccio i concerti io la condizione affinché io suoni
è che non si fumi. Speriamo che passi la legge contro il
fumo anche perché non ne posso più di andare in ristoranti
e stare in mezzo a gente che fuma mentre mangia.
Cosa è la vita e cosa
ti fa sognare ?
Diciamo che la vita è un modo
di portare avanti dei sogni da realizzare. Tutto mi fa sognare:
l’amore mi fa sognare, le immagini di altri tempi mi fanno sognare,
il bianco e nero mi fa sognare, rivedere Casablanca e la canzone
che Dooley Wilson suona al piano mi fa sognare
Che rapporto hai con i libri
Amo i libri di consultazione, libri
di teatro, libri di cinema. Purtroppo non sto leggendo moltissimo
perché non ho molto tempo. La narrativa la leggo poco, la
leggevo più una volta. Oggi poi avendo molto da fare alla
fine preferisco vedermi un film e avendo una collezione molto nutrita
di film del passato ne approfitto per rilassarmi un po’
Parlando di libri e di cinema
sei amico di Camilleri. Che te ne pare del Commissario Montalbano
Camilleri è una persona straordinaria.
L’ho conosciuto 30 anni fa come regista della RAI poi dieci anni
fa lo ritrovai come attore in un film televisivo in tre parti che
io musicai per la regia di Duccio Tessari. Si intitolava "Guerra
di spie" ed era tratto da un romanzo di Corrado Augias. Poi
l’ho rivisto l’anno scorso, abbiamo fatto uno spettacolo nel quale
io ho letto insieme a lui i suoi racconti in siciliano. Il commissario
Montalbano è un personaggio straordinario e Zingaretti non
è da meno.
Comunque
il pubblico ama i film gialli. Pensa che ancora oggi si pubblicano
i DVD contenenti gli sceneggiati del Commissario Maigret con Gino
Cervi e di Nero Wolfe con Tino Buazzelli che era un caro amico.
Ed
alla fine, quel che resta di un uggioso pomeriggio di dicembre,
è la sensazione, piacevole e distillata, di una affabile
conversazione con un vecchio (poco) e caro (tanto) amico.
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