INTERVISTE ItalyMedia.it
CULTURA, SPORT e SPETTACOLO
035
Incontro con il grande regista, grande protagonista a Cannes con il suo ultimo film
Il cuore amarcord di Pupi Avati
L'amore per la tradizione bucolica e le cose semplici il segreto del successo della sua ultima fatica in celluloide

di Valeria Arnaldi

 

Arnoldo FoàÈ stato l'unico film italiano ad essere presentato a Cannes, dove ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica. 'Il cuore altrove', ultimo successo di Pupi Avati, sembra accontentare proprio tutti. Restituisce al regista l'attenzione ed il plauso del pubblico, ma porta fortuna anche agli attori. A Vanessa Incontrada, infatti, per la sua interpretazione di Angela, è andato il Premio Giuseppe De Santis come miglior volto emergente del cinema italiano, consegnato nell'ambito del Festival 'Lo schermo è donna', tenutosi a Fiano Romano dal 23 al 28 giugno. Di questo e di altro abbiamo parlato proprio con Pupi Avati.

 

 

"Il cuore altrove" ha segnato il grande ritorno ed il ritorno di un grande Pupi Avati alla cinematografia. Cosa ha significato questo film per Lei?

Sicuramente ha significato un riavvicinamento al pubblico e alla cinematografia. Il film precedente "I cavalieri che fecero l'impresa" era stata un'esperienza molto dolorosa. Avevo impegnato quella che sentivo essere la parte migliore di me. Era stato un grande investimento a livello creativo, di energie, immaginifico, ed anche finanziario ed economico. Un dispiego di forze che ha prodotto poi un risultato scadente. Ho pensato che il mio rapporto con la cinematografia si fosse esaurito, che il pubblico mi avesse abbandonato. Sono entrato in una crisi profonda, che mi ha portato a valutare seriamente l'ipotesi di abbandonare la regia. E poi è arrivato Il cuore altrove'. Un semplice ricordo di mia madre che si è rapidamente trasformato in un testo. Era il momento ideale per scriverlo e realizzarlo. Ne avevo bisogno. Raccontava quello che sentivo e mi ha fatto ritrovare l'entusiasmo degli inizi. Si può dire che è stato terapeutico in un certo senso… Mi ha restituito fiducia nella vita, nel mio talento, nel lavoro. Ho rivissuto le emozioni di 34 anni fa, quando ho cominciato a lavorare nel cinema e questo mi ha dato nuove energie, da riversare nel film che stavo girando.

Lo spazio filmico come luogo della memoria. I suoi film hanno sempre una vena autobiografica o comunque fanno respirare l'atmosfera di una memoria collettiva in cui lo spettatore si riconosce parte di un tutto. Che rapporto ha con il passato?

Sono molto legato alle mie radici. Credo che sapere da dove si viene sia l'unico modo per capire dove si va. Sono cresciuto in campagna e questo mi ha trasmesso un forte amore per l'oralità, il racconto, il contatto. Sono stato tirato su con le favole della tradizione contadina, e queste, unite alla vita in mezzo alla natura, mi hanno insegnato a guardare il mondo con altri occhi. Ho sentito il gusto della magia sottesa alla Vita, nel rapporto odio-amore, vita-morte. Ed ho imparato un senso diverso dell'amore e del sesso, più semplice, più 'naturale' appunto. Malgrado sia nato prima della Seconda Guerra Mondiale, ho un legame molto solido con la mia infanzia e riporto parti della mia vita sulla pellicola, nelle sfumature di alcuni personaggi. I giovani non sono curiosi di quello che accade loro, tantomeno di quello che è già accaduto. Si dà eccessivo peso alla cultura del presente, a parer mio, in una sorta di autocompiacimento. Questo non riesco a capirlo. Credo ci sia una grave responsabilità a livello sociale da parte della nostra generazione, e ne sento il peso. È dal confronto con il passato che prende avvio l'evoluzione. È solo conoscendo ciò che c'è stato prima, che sia storia o memoria, che si può contrastare la staticità.

Neri Marcorè e Vanessa Incontrada: due volti nuovi del cinema. Cosa l'ha portata a scegliere due esordienti come protagonisti?

Sono due ruoli particolari e necessitavano di due protagonisti particolari. Neri Marcorè ha una fisicità ed alcuni lati caratteriali che mi hanno immediatamente fatto pensare a Nello. Per Angela, cercavo una bellezza indiscutibile, che fosse energica, comunicativa ma anche un po' crudele. Che lasciasse spiazzati. Volevo che catturasse l'attenzione, che la pretendesse tutta per sé, proprio per aumentare il contrasto tra il suo potere di comunicazione e fascinazione e l'handicap fisico della sua cecità. In Vanessa ho trovato tutto ciò. Ma a convincermi è stato soprattutto vederli insieme; come parlavamo, come interagivano l'uno con l'altro. Erano perfetti. Come li avevo immaginati.

Quanto c'è di lei nel personaggio di Nello?

C'è la mia adolescenza con i suoi timori, i pudori, le difficoltà nel rapporto con le donne, ma anche la passione per gli studi classici. Tutto è riconducibile a ciò che ho fatto, a ciò che sono stato. E non si tratta solo di situazioni o di luoghi visti, è qualcosa che va oltre, fatto di sfumature e di atmosfere, fatto perfino di linguaggio. Alcune delle battute del film sono frasi che ho detto, ho pensato o che forse avrei potuto dire nella vita reale. Le ho messe in scena. Le ho ricordate così, fermando in quelle parole tutto un periodo della mia vita. Periodo lontano forse negli anni, ma prossimo nella memoria.

Cosa ne pensa delle nuove tendenze del cinema italiano e della svolta che sta avendo grazie a registi quali, uno per tutti, Gabriele Muccino?

Credo che sia la direzione giusta da seguire. Finalmente, gli italiani hanno capito che devono abbandonare una linea più marcatamente 'razionale' per raccontare il nostro paese e le emozioni. Sono queste ultime che coinvolgono il pubblico ed ecco spiegato il perché del grande successo dei nuovi registi: lo spettatore non si sente più estraneo al film, ma lo partecipa. Per lungo tempo, il cinema italiano ha scelto la cosiddetta linea 'd'autore', un modo logico di fare cinema e di comunicare, profondamente razionale ed ordinato. Ora torna sui suoi passi e sceglie la rottura dell'emozione, arricchendosi di sensazioni e di comunicatività. È l'emozione che fa il cinema e a quella bisogna prestare la massima attenzione se si vuole coinvolgere lo spettatore.

Ma i generi cinematografici esistono ancora?

È un discorso complesso. I generi esistono, ma bisogna avere il coraggio di affrontarli. Io nel corso della mia carriera l'ho sempre fatto e continuerò a farlo, ma ho come l'impressione che molti si siano tirati indietro da questo confronto, come se ci fosse una sorta di 'snobismo'. Questo oggi ci penalizza, perché quello dei generi resta un discorso tutto da affrontare.

I suoi personaggi sono sempre dei 'solisti', la loro è una voce che si alza fuori del coro. Questo è perché ritiene che il solista abbia un punto di vista privilegiato sulla realtà o è perché la condizione dell'artista, che le è propria, comunque condanna alla solitudine?

Credo che ognuno debba tutelare la propria specificità di individuo. Dobbiamo contrastare la tendenza all'omologazione. Il bello non è potersi riconoscere come gruppo, ma è poter sentire la propria individualità, in tutta la sua forza e la sua potenzialità. Bisogna educarsi alla diversità come valore, e coltivarla. Il talento e l'originalità sono le basi del futuro di ognuno di noi, perché è nella diversità che risiede la vera ricchezza dell'uomo ed è su di essa che bisogna investire, non siamo omologabili. Nessuno lo è. Questo valore va affermato continuamente durante tutta la propria vita.

Come Presidente di Cinecittà Holding, quali strategie applicherà per salvaguardare e promuovere il cinema italiano?

Ce ne sono molte di probabili o possibili. Innanzi tutto, è necessario consolidare il rapporto con il pubblico italiano. Dobbiamo prestare maggiore attenzione al mercato domestico prima di cercare di entrare in quello internazionale. La strada è però lunga. Knowledge e qualità sono in netta crescita e questo mi fa essere decisamente ottimista. Ma so che ci saranno delle difficoltà e delle lungaggini. Dobbiamo migliorarci in continuazione. Lo stiamo facendo e continueremo a farlo.

Lei nel e con il cinema lavora: riesce anche a goderne come spettatore o il suo sguardo è ormai solo professionale?

Non vado mai al cinema - lo confesso. Seguo le proiezioni private degli amici che mi invitano, ma solo perché sono amici. Prima al cinema andavo ma ho smesso di farlo appena ho cominciato a fare cinema. I film degli altri non mi hanno mai incuriosito troppo. Ho sempre cercato di non farmi influenzare e di tutelare la mia originalità. Cerco la spontaneità anche in me stesso, una sorta di ingenuità.

Un'ultima domanda: chi sono gli attori italiani con cui vorrebbe lavorare?

L'attrice che stimo di più adesso è Margherita Buy. Le ho fatto un provino quando era agli inizi della carriera ma non l'ho scelta. Ho ancora i sensi di colpa per non aver intuito il suo grande talento. E per quanto riguarda gli uomini, l'unico vero rammarico è di non aver lavorato con Alberto Sordi. Il ruolo del sarto, che ha poi interpretato Giancarlo Giannini, ne 'Il cuore altrove', in realtà lo avevo scritto proprio pensando a lui…

 

Torna a Cultura, Sport e Spettacolo

Torna a Home Page Interviste