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In una candid camera una ragazza ha accettato l’incredibile compromesso
Per andare in tv mi taglio un dito
Massimo Giletti, che era presente alla proiezione, affronta critico il caso in un’intervista rilasciataci in una pausa ritagliata tra i tanti impegni professionali

di Sara Cascelli

Massimo GilettiEravamo certi che tanta gente per il successo farebbe di tutto, ma addirittura arrivare a privarsi di un dito della mano, anche i più arditi non avrebbero mai neppure osato immaginarlo. Eppure Enzo Prisciandaro, giovane napoletano con la passione delle candid camera, durante un finto provino inscenato proprio per realizzarne una, si è trovato di fronte a questa inimmaginabile sorpresa. Ripresosi dallo shock iniziale, giurando sul reale svolgimento dei fatti, ha pensato bene di partecipare alla prima edizione del Festival di Candid Camera, inventato da quell’inesauribile serbatoio di idee che è la giornalista Daniela Miniucchi, ed ha anche vinto il primo premio. Il gelo è calato sulla platea del teatro Flaiano, dove si è svolta la finale, durante la proiezione del filmato. Ad assistere attonito c’era anche il bravissimo giornalista e conduttore televisivo Massimo Giletti, che ha esternato sul palco tutto il suo disappunto per l'accaduto, facendo i complimenti all’autore, ma evidenziando la gravità del comportamento tenuto dalla ragazza protagonista, maturato indubbiamente nel deserto di valori di una società malsana e nutrito al banco di una sottocultura dilagante. Tra una pausa e l’altra di “Domenica in” l’abbiamo incontrato per approfondire l’argomento.

La scorsa settimana al Teatro Flaiano si è svolta la premiazione del I Festival di Candid Camera che ha proposto un filmato dalla grande quanto sconfortante attualità. Qual è la sua opinione in merito al tipo di scherzo e soprattutto alle reazioni per la candid di Prisciandaro?
Al di là del fatto che sono candid camera e non sapremo mai se è la verità quella che ci viene proposta, se erano dei ragazzi che sapevano di essere ripresi, perché questa è anche la verità; ecco, quello che importa è la provocazione: è molto probabile che nella vita ci siano tanti ragazzi che purtroppo facciano oggi qualsiasi cosa pur di apparire, perché nulla paga; andare in tv è l’obiettivo, quindi non è più essere, ma solo apparire e quindi vi è questa spinta a prendere ed entrare, a sacrificare anche la propria dignità pur di apparire.

In questo senso quanta responsabilità hanno il mondo dello spettacolo e la televisione?
Fondamentale. La televisione è una base educativa molto forte e quando si mettono in prima pagina dei mostri trash, poi ci assumiamo le responsabilità.
Cosa intende per mostro trash: l’immagine di una testa staccata durante una guerra o..
No, il “mostro” nel senso latino, da monstrum, abnorme. Quindi qualcosa che non ci appartiene, che si esagera. Un conto giocarci una volta o due, un conto rendere stabili certi personaggi che sono veramente il nulla. Questa è una grande responsabilità, perché finché li usi e li giochi può essere discutibile, criticabile, però li usi, li giochi per un tempo variabile molto stretto; se li lasci andare avanti per molto tempo, è il disastro.

Se la televisione fa cultura, che tipo di cultura è questa?
Ma questa non è cultura! La cultura del trash è una sottocultura, la cultura è altro.

Quando si parla di cultura televisiva viene spesso da pensare ai meravigliosi programmi dal dopoguerra in poi. Li rimpiangiamo?
Ma no, è un'altra televisione, un altro mondo! Non si può fare un paragone con la televisione di quegli anni. La gente fa riferimento a quegli anni perché ha nostalgia, mitizza tutto quello che sono stati i primi anni. Ma quella era una televisione che oggi non si può più riproporre: per fare una puntata di Studio 1 ci voleva un mese di preparazione. Oggi in tre, quattro giorni devi fare una puntata! Non ci sono più i tempi, c’è una concorrenza sfrenata. Era tutto un altro tipo di televisione, forse più bella, probabilmente, ma oggi non è proponibile. Oggi la televisione non deve più educare come ai tempi del maestro Manzi, che educava e insegnava agli italiani.
Programmi che rispondevano ad una necessità culturale. Qual è la necessità oggi?
Oggi sarebbe rialzare il livello della qualità, ma finché proponi certi modelli questa qualità non la alzi, la abbassi. Ci sono comunque nella televisione italiana molti spazi dove la qualità c’è, è innegabile: ci sono tanti programmi in Italia che funzionano. Non bisogna generalizzare; poi i contenitori hanno un po’ di tutto, possono anche sbagliare…

La candid camera di Prisciandaro ha suscitato un certo interesse mediatico. In che termini va affrontato il discorso?
La candid camera che non deve essere bella o brutta, ma provocatoria, deve portare alla riflessione. Credo che questa di Priscindaro abbia avuto la capacità, vera o falsa che sia, di provocare. Quindi è importante parlarne, discuterne.

Rispetto alle dichiarazioni che hanno seguito la proiezione della candid camera, trova e crede fermamente che si debba dire ciò che si pensa, nonostante tutto?
Certo. C’è solo una cosa che non bisogna abdicare: la propria dignità. Ciò vuol dire quello che pensi nel rispetto degli altri. Però se vieni meno a questo fai un passo indietro. Purtroppo è vero che nella vita ci sono delle situazioni in cui non ci si può permettere di dire quello che si pensa, questo è vero; però credo che chi abbia un ruolo, come il mio, di personaggio pubblico, deve dire quello che pensa, senza aver paura. Lo paga, gli costa, ma deve dirlo.

Senza dover ricorrere a “tagliarsi un dito”, come possono i giovani farsi strada nel mondo dello spettacolo?
Devono lavorare su sé stessi. Chi lavora su sé stesso ce la fa, anche se a volte, la raccomandazione, visto che la crisi è tanta, stringe gli spazi; però se uno lavora su di sé può farcela.

Nonostante una bonaria opposizione della sua famiglia, lei ha scelto la via dello spettacolo, della televisione…
…bè non proprio dello spettacolo. Del giornalismo, che è una cosa diversa.

Che tipo di sacrifici le ha imposto la sua carriera. Quindi che tipo di lavoro ha fatto su sé stesso per essere dove è ora, giornalista e volto noto della televisione?
I sacrifici sono stati tanti. Tanto lavoro: giornate passate in sala di montaggio, 12/13 ore di lavoro pesanti. I primi anni a “Mixer” sono stati anni di scuola vera, in tutti i sensi, anche di vita e modo di vivere. Era un gruppo molto coeso, teso a lavorare per un progetto, quindi si chiedeva alle persone che entravano un sacrificio totale: non c’era domenica, lunedì, non c’era Natale o Pasqua. Un grande lavoro! Però ne è valsa la pena, mi ha preparato professionalmente.

Da sempre ha dimostrato un certo interesse per tematiche sociali, a volte spinose. Come si riescono ad armonizzare, nel lavoro televisivo, esigenza di spettacolarità ed impegno?
E’ possibile, succede in diversi contenitori. Sono esigenze che si possono armonizzare, rendendo spettacolare una notizia. Credo che spettacolarizzare sia rendere più piacevole il discorso su un certo tema: il discorso lo puoi affrontare seduti, con quattro ospiti e un dibattito; oppure con ospiti vivaci oppure con la gente, con le persone. A me piace sentire le persone, sapere cosa pensa la gente comune sui grandi temi.

Voce del popolo, voce di Dio?
Non è voce di Dio, ma è comunque la voce del popolo che è una parte integrante della nostra vita. Se non ascoltiamo “il popolo” siamo distaccati dal reale e quindi ascoltando e dando soprattutto la possibilità di sentire le posizioni opposte, cosa pensa la gente, si riesce a dare a chi segue un quadro quasi totale di una situazione.

Come vede la televisione del futuro e come la vorrebbe?
La vedo sempre più tematica, piano, piano dovrebbe scomparire la televisione diciamo generalista, ma stiamo parlando di anni lontani, il 2010 e oltre; siamo in ritardo, non ci sono i soldi, c’è la crisi economica quindi quelle che erano le prospettive, i target che si era data Sky saranno lontani, però certo, dietro l’angolo, il futuro, quello più lontano, non il prossimo futuro, sarà con la parabola. Così anche le tv di parabola, “di nicchia”, dovranno creare una tv fatta bene, ma di nicchia.

Crede che ci sia la maturità culturale tale da scegliere certi temi piuttosto che altri, in una società in cui sembra vinca, come si diceva, l’apparire a scanso dell’essere?
Credo che questo avvenga già.

Nonostante i suoi numerosi impegni, Roma è la città dove passa la maggior parte del suo tempo. Che rapporto ha con la capitale?
Di amore, solo di amore! Perché basta camminare in questa città che respiri quello che è stato, l’emozione che mi danno i colori, i profumi e gli angoli di alcune parti della capitale non me li ha dati nessuna altra città nel mondo. Ho girato parecchio, ho vissuto anche all’estero molti anni, trovo che sia sensazionale vivere qui, avere la fortuna, c’è un clima pazzesco e mi piace molto anche ascoltare il romano, parlarlo..

Sta apprendendolo?
No, poco! Al nord, quando torno dicono di si, ma io non credo!

E quale invece il rapporto con la sua città d’origine? Di cosa sente la mancanza?
Mi manca la serietà del rapporto, la precisione, se vogliamo l’austerità. Mi manca per un attimo, perché una parte di me è così, è sabauda, quindi ha delle radici molto precise, ma non tornerei mai là, è troppo bello vivere qui!

Quali sono i suoi progetti per il futuro?
I progetti sono tanti! Ciò che mi piacerebbe fare è un rotocalco di informazione: che contenga dall’inchiesta alle curiosità, alle amenità. Ma soprattutto con le inchieste all’interno.

Per molto tempo ha svolto attività di volontariato. In che campo e in che modo?
Con l’UNITALSI, vado a Lourdes ogni anno: trasportiamo gli ammalati a Lourdes, si sta una settimana, si lavora, io lavoro nelle piscine poi, quando ho tempo libero, faccio servizio all’interno, nella grotta.

Questo la arricchisce, la fa sentire bene?
Bé un po’ tutte e due: credo arricchisca, ti faccia stare con i piedi per terra, ti aiuti a vedere il mondo in un altro modo.

 

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