L'attore George Clooney si confessa |
Un americano a Como |
«Comprarmi casa sul lago di Como e adottare il vostro stile di vita sono state le cose migliori che ho fatto» afferma il divo hollywoodiano «Qui sono diventato me stesso. Riesco a lavorare meglio: gli ultimi due film li ho scritti proprio nel vostro paese». Intanto esce nelle sale il suo ultimo film, «Michael Clayton», dove veste i panni di un avvocato |
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George Clooney non si smentisce mai. Gli basterebbe sfruttare fascino e bravura, di cui è provvisto in abbondanza, per essere un divo. Ma lui non si accontenta. Vuole anche cambiare il mondo. E così ci regala un altro film (dopo «Syriana» e «Good Night, and Good Luck») che non è solo un ottimo legal thriller, ma una salutare lezione morale. In «Michael Clayton», presentato a Venezia, George lotta come un leone contro le multinazionali che, pur di gonfiare i profitti, non esitano a diffondere il cancro con i loro prodotti chimici per l'agricoltura. Sullo schermo è sempre impeccabile e piacente. Magari un po' stropicciato e non proprio irreprensibile (nel film gioca e beve), ma sempre dalla parte dei «buoni». E pazienza se poi, nella vita quotidiana, è anche lui vittima di incidenti come tutti noi: alcuni giorni fa è stato investito da un’auto mentre era in moto con la sua fidanzata, Sarah Larson, che si è rotta un piede. Ma questo non ha neppure scalfito il sorriso di Clooney. Per abbatterlo ci vuol ben altro. Perché lui, come ci dice in questa intervista, è un uomo fortunato. E lo sa.
Mr. Clooney, qual è la prima grande lezione di vita che ha imparato e da chi?
«L’ho imparata da mio padre, quando ero un teenager. Non ero rivoluzionario, ma mi piaceva andare controcorrente. Se mi dicevano che il cielo era blu, mi piaceva pensare che forse non lo era. Mio padre mi fece capire che era sano contestare, mettere in dubbio qualsiasi cosa e affermare i propri diritti».
È vero che, quando aveva sei anni, suo padre le ha chiesto cosa voleva fare da grande e lei avrebbe risposto: «Voglio essere famoso»?
«Sì, è vero. È spaventoso, non crede? In realtà volevo essere come lui, che lavorava in tv. Leggeva il telegiornale e tutti lo conoscevano. Da bravo bambino volevo essere come il mio papà».
E lo è diventato. Come riesce a barcamenarsi con la fama, il denaro e il successo?
«Sono tre cose ben distinte e diverse tra loro. La fama è bella quando la usi bene, ma spesso viene usata male e puoi facilmente diventare antipatico. I soldi a volte ti si rivoltano contro. Sono stato povero e sono stato ricco e sono stato felice e infelice in entrambe le situazioni. Penso che l’elemento più importante fra i tre sia il successo, perché significa che hai raggiunto le cose che volevi fare, e puoi essere orgoglioso di te stesso».
Quale considera allora il suo più grande successo?
«L’amicizia che mi lega a otto scapestrati da 25 anni. A Hollywood ci siamo sempre aiutati. Grant Heslow, per esempio, con il quale ho scritto e prodotto “Good Night, and Good Luck”, mi prestò i 100 dollari che mi servivano per pagare le mie foto da mostrare alle selezioni, quando stavo iniziando a fare l’attore ed ero al verde».
Cosa fa di bello con la sua banda di amici?
«Ogni domenica mattina scorrazziamo tutti insieme in moto, poi giochiamo a pallacanestro. Nel pomeriggio arrivano mogli, fidanzate e bambini e facciamo un bel barbecue».
Quante motociclette ha?
«Due a Los Angeles e tre sul lago di Como. Non sono un collezionista, le presto agli amici quando andiamo a fare un giro. In Italia adoro viaggiare sulle Alpi, specialmente le Dolomiti. Anche da Como a St. Moritz è stupendo».
Qual è la cosa che le sta più a cuore?
«Quest’anno mi è stato permesso di parlare alle Nazioni Unite sul genocidio in atto nella regione del Darfur, in Sudan. So che lo posso fare solo perché sono George Clooney e ciò mi responsabilizza, mi esorta a fare di più in campo umanitario. Lo faccio sperando di sollevare la coscienza del mondo per questa gente abbandonata a se stessa. Ho visto pozzi che, invece di acqua, erano pieni di corpi massacrati».
Lei è cresciuto cattolico?
«Sì, ho fatto il chierichetto e sapevo anche la messa in latino. A dieci anni andavo a confessarmi tutte le settimane. Il parroco riconosceva la voce e perciò non gli dicevo proprio tutto. Poi, per penitenza, mi mettevo dei sassi dentro le scarpe, come avevo letto che faceva qualche santo, e cosi mi ripulivo dei peccati per intero».
Sentiamo sempre parlare di suo padre, ma mai di sua mamma, Nina. Cosa fa?
«Scrive per un quotidiano locale, ma le piace star fuori dalla celebrità, perché è una persona molto riservata».
Qual è la cosa più azzeccata che ha fatto nella vita?
«Comprarmi casa sul lago di Como e adottare il vostro stile di vita, che è eccellente. Lontano da Hollywood sono diventato me stesso. Riesco a lavorare meglio. Gli ultimi due film li ho scritti proprio a Como. Spero di fare lì anche la postproduzione dei miei prossimi film».
Nel film «Leatherheads» tornerà alla regia. Di che si tratta?
«È una commedia romantica sul football americano ambientata negli anni Venti, quando lo sport passò al professionismo. Fare il regista mi piace sempre di più. Quando fai l’attore in realtà hai un ruolo marginale, mentre da regista sprizzi creatività da tutti i pori. Anche di notte, mentre dormi».
Cosa sta cambiando in lei, a 46 anni?
«Diciamo che, invecchiando, mi sento meglio nella mia pelle. Una volta ho chiesto a mia zia Rosemary come mai cantasse meglio quando aveva 70 anni che quando ne aveva 28. “Perché non devo più dimostrare a nessuno che so cantare” mi ha detto, ed è stata una grande lezione per il mio lavoro di attore e di regista. Solo adesso riesco a fare le cose che volevo con fermezza e sincerità».
Quanto è importante, per lei, essere scapolo?
«Non è importante per me essere scapolo. Ma è molto importante non essere infelicemente sposato (ride)».
Si ritiene un uomo fortunato?
«Assolutamente. Non c’è modo di vivere come vivo e di fare quello che faccio senza essere fortunati».
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