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Il Parlamento
ha votato a sfavore della leva obbligatoria
L’Italia
dice addio alla "naja"
Entro sette anni gli
italiani avranno un esercito di volontari
di
Luana Silighini
Lo scorso ottobre è stata portata
a termine una delle più grandi riforme della storia italiana: il Parlamento
ha abolito la leva.
Ormai è legge: la “naja” scompare definitivamente
dal nostro paese e viene sostituita da Forze Armate interamente professionali.
L’Italia si avvicina così al resto d’Europa
- in Gran Bretagna ed in Francia il servizio militare professionale
è attivo già da tempo – e a quell’imprescindibile “diritto di scelta”
che costituisce il principio fondamentale di un paese democratico.
La nuova legge consente che la leva chiu-da
i suoi battenti, e lascia che l’ombra di tanti interrogativi irrisolti
ricopra l’ambien-te militare: a tutt’oggi infatti è difficile, se non
impossibile, dare un giudizio su di esso e sulla sua efficacia o meno.
Le caserme sono state ritenute da molti altamente
educative e formative per la rigidezza e l’essenzialità che le distin-gueva,
mentre un ambiente troppo chiuso e gerarchico da altri, che vi vedeva-no
proiettata la cultura dell’obbedienza, della sottomissione, dell’arroganza,
dell’umiliazione, dell’eroe e del patriottismo esasperato.
Oggettivamente nelle caserme non sono mancate
le violenze più crude e umi-liazioni troppo spesso coperte dall’omertà,
subite in disperato silenzio dalla vittima.
A tal proposito non possiamo far a meno di
ricordare i tanti drammatici casi di umiliazione, sopraffazione, abusi
-- che talvolta hanno avuto un tragico epilogo --riassunti nel termine
“nonnismo”.
Ci auguriamo che i futuri “nonni volontari”,
figli di un dovere abolito, aboliranno anche questa inammissibile usanza,
profonda violazione dei diritti inalienabili della persona, dei principi
della disciplina e dell’autorità militare.
Crediamo comunque che questa legge sia veramente
decisiva per l’Italia poiché permette ai giovani italiani -- siano essi
uomini o donne -- di scegliere, configurandosi così come una grande
conquista sociale ed una vera e propria “rivoluzione” da tanto tempo
attesa.
Angelo
Longoni, regista di “Naja”, esulta dopo la decisione del governo italiano
di abolire il servizio
militare obbligatorio
“Naja”, opera teatrale di
grande successo scritta e diretta da lei , e riportata sul grande schermo
nel 1998, è un viaggio nell’inferno delle caserme tra “nonnismi”, soprusi,
prevaricazioni e umiliazioni: era soltanto una denuncia dei fatti spiacevoli
e dei disagi giovanili propri degli ambienti militari, o era anche
un messaggio di speranza?
Quando l’ho scritto no, non c’era nessuna
speranza. C’era la volontà di fare chiarezza all’interno dell’istituzione
militare, ma la speranza di arrivare in così poco tempo poi all’abolizione
della leva non c’era. Sono molto contento che fi-nalmente questo paese
abbia preso questa decisione anche se ovviamente non sarà molto breve
l’attuazione dell’abolizione totale della leva, infatti ci vor-ranno
ancora sette anni. Mi domando se con l’abolizione del servizio di leva
verrà mantenuto in qualche modo il servizio civile che invece ritenevo
molto utile. Detto questo, il fatto che non ci sia più la naja
credo sia un bene sia per le Forze Armate che per i giovani. Chi vorrà
fare il militare lo farà in modo professionistico e chi invece ha altre
cose più importanti da fare non perderà inutilmente un anno della sua
vita. L’importante è che però qualche mese del-la propria vita per il
proprio paese lo si dia, questo secondo me è importante, per cui spero
che l’abolizione della naja non pregiudichi in qualche modo la possibilità
si svolgere il servizio civile.
Quali sono le motivazioni
che l’hanno spinta a scegliere l’argomento della leva per il suo film?
Prima di tutto una denuncia nei confronti
delle Forze Armate e di tutte quelle regole non scritte che governavano
la vita all’interno delle caserme: il nonnis-mo prima di tutto e tutte
le prevaricazioni tra soldato e soldato.
C’è in fondo anche una denuncia nei confronti
dei giovani che purtroppo in queste ultime generazioni soprattutto tendono
ad accettare regole sbagliate, si adeguano passivamente a regole ingiuste
violente e stupide senza avere la forza di ribellarsi a queste regole,
regole anche non scritte ma che vigono nel-la convivenza in questo caso
all’interno delle caserme.
Una sorta di denuncia nei confronti del conformismo
dei giovani che accetta-no senza ribellarsi delle situazioni sbagliate
e questo lo vediamo anche so-cialmente: questa indifferenza, questa
superficialità, questa mancanza di vo-glia di ribellarsi alle cose sbagliate,
lo vediamo tutti i giorni nella società, c’è una superficialità inquietante
soprattutto tra gli adolescenti .
Nei protagonisti di Naja
si può ritrovare la proiezione di qualche sua esperienza personale?
Tutti i personaggi che ho descritto li ho
un po’ conosciuti, quindi sì, la mia esperienza militare è stata breve
ma intensa, tuttavia durante il servizio mili-tare ho girato molto e
ne ho viste di cose.
Ce ne può raccontare qualcuna?
La cosa più divertente – son passati tanti
anni - era l’ospedale militare di Napoli. Lei può immaginare come
sono gli ospedali a Napoli, quello militare era ancora peggio. Era gestito
dagli stessi ragazzi da ricoverare: quindi uno arrivava all’ospedale
e veniva ricevuto da ragazzi in pigiama fino a che al mat-tino arrivava
una suora, i letti erano tutti occupati, ci facevano bische, i giochi,
insomma uno doveva andare a cercare un letto in cantina dove poter dormire…vabbè
insomma era molto divertente!
Qual è la sua posizione
in merito alla decisione del governo di abolire la leva?
Tardiva ma…meno male che è arrivata. Credo
che non ci sia bisogno di un esercito di popolo, molto meglio di professionisti.
La
violenza “liberticida” del servizio di leva e le sue
ripercussioni psicologiche.
L’antica piaga del nonnismo
Ne parla a Italy la
scrittrice e psicologa Irene Bozzi
Spesso
si è sentito parlare dell’ambiente militare come di un luogo in
cui la personalità del singolo veniva sacrificata in nome di un
patriottismo e di un corporativismo esasperati.
Qual è il suo parere in merito all’inserimento
di un giovane in un ambiente siffatto?
Dobbiamo partire innanzitutto da una
cosa che secondo me è molto importante: fin da bambini noi elaboriamo
il pensiero morale, in base a quello che è il rapporto educativo
con la famiglia e con l’ambiente in cui si vive. Per quanto riguarda
la rigidità dell’ambiente militare e l’alta competitività questa
può portare o può creare delle situazioni anche di disagio del ragazzo
perché molto spesso coloro i quali sono disagiati sono giovani che
non sono abituati ad alcune situazioni di alta competitività e aggressività
e quindi di frustrazione che caratterizzano un ambiente di un certo
tipo e quindi può capitare che si creino delle situazioni di alta
tensione tra questi giovani.
D’altro canto il fatto che tutti gli
ambienti siano così descritti può essere vero, però oggi molto meno
di quanto non lo era ieri. Io ho vissuto nell’ambiente mi-litare
perché mio padre è un ex militare e quindi ho visto anche come può
in parte funzionare avendo vissuto, essendo nata in fin dei conti
nell’ambiente militare e si nota che da un lato in alcune situazioni
c’è un’eccessiva rigidità e un’eccessiva competitività e aggressività
e poi una poca possibilità di riuscire effettivamente ad esternare
se stessi.
D’altro canto ci sono degli ambienti
meno pesanti, molto più positivi, molto meno negativi. Lei prima
mi chiedeva dell’eccessivo patriottismo: è un mondo di valori a
volte che è diverso da quello che è fuori dalla caserma e quindi
a volte diventa eccessivo, troppo rigido con schemi che non sono
quelli che il ragazzo invece ha vissuto all’interno della propria
famiglia o all’interno dell’am-biente sociale all’interno del quale
vive e quindi si può trovare in una situazio-ne di profondo disagio.
Quali ripercussioni può
avere sulla formazione del giovane dal punto di vista psicologico?
Se è eccessivo il rapporto di potere e
il rapporto di aggressività allora questo può creare delle situazioni
di frustrazione molto forte e come abbiamo visto possono accadere
anche dei drammi.
Il “nonnismo”,
a suo parere, mieteva vittime deboli, ossia ragazzi psicologicamente
attaccabili, indifesi, o era lo specchio di un sistema “liberticida”
fondato sulla negazione del “diritto di scelta” e sull’obbligo di
assolvere il servizio militare?
Il nonnismo è il lato negativo di una situazione
che nasce molto probabilmente proprio da un forte sentimento di competitività
e di aggressività, dove l’aggressività non è positiva ma diventa un’aggressività
negativa e quindi violenza. Sicuramente è deplorevole, da condannare
una situazione del genere, cioè io non sono assolutamente concorde
nell’inserire forzatamente un ragazzo in una situazione come questa.
La causa del nonnismo può venir fuori sicuramente
dalla situazione di un am-biente dove la frustrazione è molto alta
e quindi si è considerati dei numeri e allora all’interno di un contesto
del genere dal punto di vista psicologico può venir fuori una sorta
di meccanismo di difesa da parte di alcuni che diventano quindi violenti,
e vogliono fare i leader, ma leader negativi. Il gruppo noi sap-piamo
che soprattutto nell’età dell’adolescenza e nell’immediata post –
adole-scenza (dove i giovani hanno bisogno di sentirsi per realizzare
se stessi) è formato da una struttura nella quale alcuni emergono
come dei leader ed altri sono dei sottomessi e in questo contesto
è abbastanza facile che si vengano a creare delle situazioni come
quelle del nonnismo. D’altronde può succedere che in certe situazioni
diventi esasperato questo discorso e il fatto del gruppo e del leader
negativo che viene seguito dal resto del gruppo che si sottomette
nasce da una situazione di estrema conflittualità di tutti quelli
che sono i componenti del gruppo stesso e quindi c’è chi sovrasta
l’altro c’è chi si allea con il leader negativo c’è chi mitizza e
imita lo stesso leader negativo e possono venir così fuori delle situazioni
veramente spiacevoli, terribili.
Invece cercando di educare a comprendere
i sentimenti, ad avere un campo di valori diverso da quello che invece
viene a crearsi in una leadership negativa allora a quel punto si
riesce forse a superare il problema. Certo è che molto spesso questo
cose nascono anche dall’ignoranza e nascono anche in situa-zioni diverse
da quelle del servizio militare perché situazioni analoghe le possiamo
trovare anche in altri gruppi, nelle famose bande per esempio, perché
i giovani nel gruppo arrivano ad imitare il leader negativo per affermare
la propria identità, perché ognuno la afferma a suo modo: il leader
negativo afferma la propria, e chi è sottomesso, chi subisce situazioni
tragiche, imita il leader negativo mitizzandolo. Gli uni e gli altri
quindi diventano carnefici e allo stesso tempo coloro i quali soccombono
ai carnefici.
Qual è la sua opinione
in merito all’abolizione della leva?
Lo sono d’accordo nell’abolire la leva
perché in fin dei conti è una situazione costrittiva per un giovane
perché un giovane viene tolto dal proprio ambiente, inserito in un
ambiente che è completamente diverso dal suo, dove purtroppo possono
succedere anche prevaricazioni e soprusi e soprattutto perché pro-prio
in quella che dovrebbe essere l’evoluzione dei ragazzi. Prima erano
due anni poi è stato ridotto il periodo, però comunque è un’interruzione
che non sempre giova alla vita dell’adulto. Certo è che ci sono persone
che si sono trovate bene a fare il servizio militare, ci sono persone
che hanno imparato delle cose. Però secondo me deve essere una scelta,
per alcuni poi diventa anche una scelta di vita, di voglia di aiutare
gli altri di fare qualcosa. Oggi non è più una situazione dove lo
scopo è l’offesa ma anche la difesa, non solo la difesa di patria
ma anche per portare aiuto agli altri come è successo e come succede
spesso tra coloro i quali fanno il militare.
C’è un’apertura diversa: mentre prima era
una cosa che si faceva perché biso-gnava farla era obbligatorio farla
e se non la facevi passavi i guai, venivi perse-guito dalla legge
perché non lo facevi. Spero che d’ora in poi non ci saranno più grandi
problemi come quello del nonnismo.
L’astensione
dei verdi
L’on. Angelo Bonelli
ci spiega le ragioni di questa scelta Perché
i Verdi si sono astenuti?
Perché nell’esercito
professionale mancano gli obiettivi di pace, ed un eserci-to di professionisti
deve averli, cioè non deve essere finalizzato soltanto alla difesa
dell’Italia ma del territorio, delle popolazioni e siccome nel disegno
di legge non comparivano questi aspetti, in particolar modo gli aspetti
legati al-l’obiezione e quant’altro, abbiamo cercato di astenerci
pur apprezzando la razionalizzazione del sistema rispetto a quello
vecchio.
Secondo lei l’astensione dei verdi è dovuta principalmente a motivi
politici o “di coscienza”?
Entrambi gli aspetti,
gli aspetti di coscienza che legano la nostra cultura ad una visione
pacifista, e quindi al non uso delle armi, e l’aspetto politico per-ché
pensiamo che gli obiettivi dovevano essere raggiunti in maniera diver-sa,
più pacifista. Il Governo, tra le altre cose, ha anche deciso
la costruzione di una nuova portaerei che costa circa sei mila miliardi.
Qual è la sua visione personale in merito all’abolizione della leva?
E’ una legge positiva
perché quei dodici mesi che prima erano diciotto erano diventati uno
spreco, anche motivo di violenze, tra cui il “nonnismo” e quant’altro
di negativo l’opinione pubblica ha denunciato. Si è sempre più an-data
consolidando la necessità di trasformare il servizio militare obbligatorio
in qualcosa che fosse utile alla società. Questo è il punto: non soltanto
una struttura militare, ma qualcosa che possa essere veramente utile
alla società. Ecco perché noi ci siamo posti contro l’eventualità
di ritardi, di boicottaggi nell’applicazione del servizio di leva
all’obiezione di coscienza. I tanti problemi che in molti obiettori
hanno dovuto subire per poter svolgere il servizio civile. Quindi
dal mio punto di vista è un aspetto positivo, però mi pare che ci
sia una concezione eccessivamente militaristica che lascia poco spazio
al dialo-go, alla diplomazia e alla costruzione di una struttura che
può essere sia mili-tare che professionale che di aiuto alle popolazioni
anche in caso di situazio-ni di grave calamità.
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