Storie
siciliane scorrono in pellicola
Nihil novi sub sole! Il cinema
italiano continua a barcamenarsi tra provincia-lismo o ritorni al passato.
“Malena”, il nuovo attesissimo film del regista Giuseppe Tornatore,
guarda caso, è ambientato in Sicilia. Racconta l’amore irrealizzabile,
se non nella fantasia, e per questo più struggente e profondo , di un
adolescente, Renato (Giuseppe Sulfaro) per la “bella del paese”, interpretata
da una Monica Bellucci come non l’avevamo vista.
Tornatore
non ha mai avuto dubbi sulla scelta della protagonista, ha costruito
tutto il film intorno a lei; non a caso già nel ’94 l’aveva voluta protagonista,
anche se ancora non molto nota, dello spot di un profumo di cui egli
era il regista.
Dall’amore impossibile di Renato, icona di
tutti gli adolescenti alle prese con la tempesta ormonale della pubertà
e vit-time del fascino della donna adulta, pro-messa di piaceri ancora
sconosciuti, scaturisce intensa e drammatica come una fotografia in
bianco e nero (Tornatore avrebbe voluto tutta la pellicola in bianco
e nero), la storia di Malena, donna bellissima, in una cittadina siciliana
del 1940.
Il marito è in guerra, rimasta sola diventa
oggetto dello squallido desiderio degli uomini del paese e dell’invidia
delle altre donne.
La sua situazione conosce momenti più difficili
quando giunge la notizia della morte del marito.
Gli anni passano, la guerra finisce e dopo
una “erosione” fisica e morale con-sumata nei suoi confronti, iconoclastia
di una collettività bigotta e repressa, il suo personaggio si evolve,
prima moglie, poi vedova, poi puttana fino alla sua distruzione – scomparsa
proprio quando imprevedibilmente il marito torna!
Ma sarà proprio l’amore discreto e mai realizzato
di Renato a sublimare la sua bellezza e a renderla immortale.
Il film che uscirà in molti paesi e a fine
novembre anche negli Stati Uniti, con-ferma ancora una volta la dimensione
internazionale del regista e ormai an-che della protagonista (basti
pensare al ruolo nel film “Under suspicion”).
Ma nonostante i pregi artistici della pellicola,
come la calda e raffinata foto-grafia di Lajos Koltai, e l’indiscussa
colonna sonora di Ennio Morricone, il film risulta rigido, impantanato
nel tecnicismo a volte esasperato, un po’ lento e ridondante, troppo
incentrato sulla fotogenia irresistibile di Monica Bellucci. Se l’erba
del vicino sembra sempre più verde, è forse perché la nostra familia-rità
ci impedisce di apprezzare adeguatamente il grande talento cinematografico
di Tornatore, regista dalle tante potenzialità artistiche ancora inespresse,
ma adesso non ci resta che aspettare il giudizio degli altri paesi
in cui il film uscirà.
Sempre attingendo dal passato, il regista
Marco Tullio Giordana con il suo film “I Centopassi” resuscita dall’oblio
il delitto di Giuseppe Impastato, liquidato troppo in fretta dalle cronache
con poche righe. Invece, quella di Impastato, detto Peppino, nato a
Cinisi (Sicilia) a cento passi dalla casa del boss Tano Badalamenti
è la storia vera e epica della ribellione di un giovane coraggioso e
intraprendente che non abdica ad un destino per molti inevitabile,
di collusione e omertà.
Così Peppino, egregiamente interpretato dal
bravissimo Luigi Lo Cascio, visceralmente antimafioso, fonda con alcuni
amici un giornale, un circolo cul-turale e “RADIO AUT”, attraverso cui
prende di mira la mafia e i suoi protago-nisti.
Ma non fa molta strada, e la notte
tra l’8 e il 9 maggio del ’78 viene ucciso.
Molte le ipotesi infondate, non ultima quella
di suicidio. Anni dopo la testimo-nianza di un pentito.
Il caso è ancora irrisolto, in attesa del
processo.
Il film-denuncia, premiato per la sceneggiatura
a Venezia e scelto come film italiano candidato agli oscar, è onesto,
forte e diretto, mai retorico.
Ritratto commovente e toccante di un Don
Chisciotte tutto italiano.
Un film per non dimenticare di ricordare,
un inno al valore irrinunciabile della libertà.
Nello stesso contesto si inserisce anche
“PLACIDO RIZZOTTO”, l’opera di Pasquale Scimeca che racconta la
storia del segretario della camera del lavoro di Corleone, scomparso
in circostanze misteriose nel marzo del ’48.
Il film che segna un passo avanti nella crescita
artistica del regista, è una ri-lettura utopistica e romanzata della
vicenda che inevitabilmente si risolve in un affresco (sì pregevole)
di una Sicilia “more solito” mostrata nel suo aspetto più tristemente
noto.
Ammirevole l’impegno del regista appassionato
e autentico a tal punto da peccare , in alcuni casi, di ingenuità e
di imprecisione nel centrare l’obiettivo.