| Vergognati,
Maurizio!
E' un grido
di dolore quello che si leva da qualche mese dal mondo della cultura,
dopo che la televisione ha catapultato nelle case degli italiani
il discusso programma denominato "Grande Fratello", creando un
prodotto inconsistente, che è stato immediatamente e incomprensibilmente
rapito dalle cronache dei media. E quando parlo di cultura naturalmente
mi riferisco a quella con la c maiuscola, quella dei grandi (purtroppo
pochi) uomini, quella nella sua accezione più ampia, quella che
ha da sempre rifiutato di nutrirsi di surrogati ideologici e di
imparare la lezione della buona ipocrisia, tanto amata dai più.
Eppure
la televisione, che ormai da anni affoga in una programmazione
demenziale, diseducativa, ripetitiva e scadente, ci aveva abituati
da tempo allo squallore delle telenovelas e della soap
opera, incollando ai teleschermi il popolo televisivo delle casalinghe,
col grembiule al ventre, che tra un bucato e l'altro, per innaffiare
l'arido giardino della solitudine giornaliera, si incantavano
e sognavano di fronte ai miti improbabili di "Beatiful" o di "Quando
si ama". Si trattava sempre e comunque di artisti che, costretti
da esigenze professionali e allettati da ingaggi stratosferici,
legavano il proprio nome a produzioni di scarso valore culturale.
Con il "Grande Fratello" si è valicato ogni limite di decenza,
i colossali interessi economici hanno relegato in soffitta qualsiasi
senso di moralità. Un manipolo di ragazzi comuni, messi per cento
giorni a colloquio con l'occhio freddo di una telecamera "guardona",
sbattuti davanti a pupille spalancate collegate a cervelli altrettanto
ristretti, e scaraventati verso una notorietà di cartone non supportata
da un'adeguata preparazione professionale. Un business ben congegnato,
che ha affondato facilmente le radici in un terreno intriso di
sottocultura e ignoranza, atto a spremere come limoni le illusioni
di un gruppo di giovani che forse avrebbero potuto intraprendere
carriere sicuramente più idonee alle loro attitudini, piuttosto
che essere magnificati dai "polli d'allevamento" dell'Italia provinciale
che si entusiasma di fronte a tutto ciò che passa sul piccolo
schermo, ma essere sottoposti giustamente al mortificante rito
dell'irrisione da parte delle vere teste pensanti nazionali. Ed
ecco invece i vari Pietro, Salvo, Marina, Cristina, Rocco, Lorenzo,
invasati da una droga che si chiama successo, correre con la naturalezza
dell'inevitabile, a suon di apparizioni varie, verso un futuro
incerto, segnato da suggestioni pseudo-professionali. Di fronte
ad una tale situazione non posso avvolgere le mie parole nella
carta zuccherata e rinunciare a dissotterrare l'ascia di guerra
della polemica. C'è una categoria in Italia fortemente rappresentata,
quella degli artisti veri, spinti dal comando imperioso di un'acrobatica
passione per lo spettacolo, che annaspa da sempre nell'oceano
della precarietà e vive costantemente in bilico sul baratro della
disoccupazione. Le scuole di preparazione artistica ne sfornano
a centinaia; basta girare i teatri, anche i più piccoli, per scoprire
veri talenti, di cui l'Italia non è mai stata avara. E invece
ecco apparire improvvisamente sulla scena Marina La Rosa, che
ubriacata dalla popolarità riesce ad offendere finanche quei fotografi
che da sempre hanno fatto la fortuna dei vip, definendoli "braccia
rubate all'agricoltura"; la Sofia nazionale ancora venera i professionisti
dei flash a raffica ( comunque c'è da dire che sulla Loren le
brume del mito si sono posate davvero). Ma il prodotto più scandaloso
si chiama Pietro Taricone, che calzando la sua normale faccia
da bullo di paese riesce incredibilmente a vendere la sua presenza
a fior di milioni nelle discoteche di provincia e nei suoi sogni
lascia ingenuamente galleggiare un futuro alla Kevin Costner:
l'importante è crederci, ma purtroppo il risveglio sarà doloroso
e disastroso. |
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E'
già criticabile l'operazione, che ha messo a nudo il livello di
sottocultura di gran parte degli italiani, ma purtroppo per i produttori
televisivi, non è facile sacrificare i propri interessi sull'altare
della cultura, della moralità e del buonsenso. Ma quando un giornalista
di grande spessore, con vocazione da imprenditore, marcia con i
cingoli sopra ogni principio etico-professionale, allora |
il caso diventa inquietante. Quanta popolarità in meno avrebbero
ottenuto i ragazzi "usa e getta" del "Grande Fratello" se non fossero
stati foraggiati dall'ala protettiva di Costanzo, che li ha aiutati
a continuare la semina dei germi di tutti gli aspetti deteriori
dell'odierna società? Probabilmente i valori del grafico di notorietà
sarebbero molto più modesti. Caro Maurizio, pesa su di te una forte
responsabilità morale, sia nei confronti di quelli che il successo
l'hanno cucito sulla propria pelle, strappando l'ago e il filo a
rinunce e sacrifici fatti nelle scuole, nei teatri, nelle piazze,
e sia nei confronti delle fasce più deboli dell'esercito dei telespettatori.
Ho visto un giorno in un mercato un bambino giocare con dei soldatini
e chiamarli con i nomi dei protagonisti del grande fratello. Hai
sostenuto una trasmissione che, anche se con un ipocrita "bip" celava
certe espressioni colorite, non dava comunque molto spazio all'immaginazione
per capire, risultando quindi altamente diseducativa, tenuto conto
anche della fascia oraria in cui veniva trasmessa. Sono tanti i
petali di simpatia persi da te in questa occasione. Infine, colpito
da un delirio di onnipotenza hai pensato bene di organizzare una
puntata chiamata "Pietro contro tutti" in prima serata, con un Taricone
versione re dei "coatti", con canotta strizzamuscoli senza maniche,
a troneggiare sul palco del teatro Parioli, ingaggiando un vittorioso
"braccio di ferro" a colpi di audience con "La Piovra", pellicola
a interesse sociale in onda su Raiuno, mettendo a nudo ancora una
volta, se qualcuno avesse avuto qualche ulteriore dubbio, il livello
culturale dei telespettatori del "Maurizio Costanzo Show". Un'ennesima
conferma di come un grande giornalista abbia potuto bruciare sulla
graticola dell'interesse economico, perché audience per te vuol
dire sponsor, non dimentichiamolo, la propria credibilità professionale.
Del resto in nome dell'audience avevi già rifiutato di ospitare
in trasmissione i rappresentanti del "Comitato Vittime del Portuense",
perché chiaramente ventisette morti per te non hanno importanza,
sono solo una lugubre contabilità di normale amministrazione giornaliera,
di fronte al sacro inchino al potere dello sporco Dio denaro, a
cui ti sei convertito e sottomesso. Vergogna! |
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