Pochi mesi fa l’ennesima morte di una giovane ragazza per abuso di stupefacenti, ha acceso nuovamente i riflettori sul tema “rave party”. Nonostante l’evento dopo il quale si è consumata la tragedia fosse stato autorizzato dal Comune (pertanto non possiamo parlare propriamente di rave), era catalogato come tale. È quindi necessario approfondire cosa si intenda per rave, e quale siano i suoi elementi, che lo contraddistinguono dal resto delle classiche serate in discoteca.
La nascita del fenomeno rave avviene a fine anni ottanta, quando negli Stati Uniti e Inghilterra la tensione sociale era altissima, cosi come era molto diffusa la contestazione politica anti capitalista. Questo tipo di “feste” erano fondamentalmente manifestazioni musicali organizzate all’interno di aree industriali decentrate e abbandonate. La parola rave significa letteralmente “delirio”, e sottolinea la volontà di chi partecipa all’evento di svincolarsi dalle convenzioni imposte a livello sociale per il raggiungimento di una certa libertà fisico-spirituale. Naturalmente, in un clima cosi politicamente aspro si simbolizzava attraverso questo tipo di party, il distacco dell’operaio dalla catena di lavoro. Il rave insomma, con il suo carico di musica sperimentale (house, techno ecc.) voleva essere un vero e proprio punto di rottura con la società. Quando però il rave “socialmente impegnato” incontra gli influssi della corrente psichedelica inglese, cambia aspetto, assumendo i tipici tratti per il quale lo distinguiamo oggi.
La corrente psichedelica infatti, sosteneva apertamente l’uso delle droghe come mezzo di aggregazione sociale e controllo della propria mente, cosi anche attraverso il genere musicale acid-house il fenomeno rave trovò la connessione con l’uso di sostanze stupefacenti. Se poi in America i raves trovarono la loro ultima collocazione nei clubs, in Inghilterra proprio per questo legame con le droghe si proseguì organizzandoli in luoghi nascosti o abbandonati, a causa della logica repressione governativa. Il rave quindi si staccò sensibilmente dalla tematica politico-operaia per rimanere più ancorato alle note antisociali e anticonvenzionali.
Come riportato nel “World Raver’s Manifesto”, chi si definisce raver, non si dichiara dipendente dalla droga, ma un “consapevole” amante della sua musica capace di non giudicare gli altri e sfuggire alle leggi dell’uomo. Sostanzialmente c’è un raver vero e proprio, con il suo carico dottrinale e valoriale. C’è qualcuno che vive il party illegale a trecentosessanta gradi e con una piena convinzione alle spalle. Ma è per tutti cosi? Cosa avviene oggi?
Partendo dal presupposto che anche chi vive con spirito di militanza il rave fa uso di droghe e ciò è assolutamente deprecabile, non tutti sono ravers convinti ed esperti. Intorno a questo fenomeno si è originato un filone modaiolo assolutamente preoccupante.
Il rave, non si sa dove esattamente abbia luogo e non è pubblicizzato, poiché illegale, perciò è necessario puntare sul passaparola o su qualche fantasiosa indicazione misteriosa per arrivarci. Ciò aggiunge un intrigante alone di mistero che affascinerebbe chiunque.
Ma chi frequenta il party oltre al navigato ed esperto raver? A lui si aggiungono tanti individui socialmente diversi. C’è chi ci va per moda, poiché anche se non interessato alle droghe o a tutto il contesto, spende li la sua serata per il solo fatto di poter dire di “esserci stato” e aver compiuto qualcosa di illegale. C’è chi ci va per curiosità, per capire quell’universo e finalmente toccare con mano una cosa della quale aveva solo fino a poco prima sentito parlare. C’è chi ci va per trasgredire, perché sia il fattore illegalità sia l’ambiente del rave, vanno oltre i limiti di una comune e noiosa discoteca. C’è chi invece va esclusivamente per drogarsi, consapevole di trovare un’arena fertile per il suo scopo e un’oasi di pace nella quale trovare lo sballo. E c’è chi ci va di nascosto, come tanti giovani, che si avvicinano a questo mondo per sentirsi un po’meno giovani e un po’più forti.
In un rave è facile trovare droghe, cosi come vedere scene di persone barcollanti in balia di chissà quale anfetamina. In mezzo a quello scenario cosi poco felice si agitano quindi tante anime, che sono ben distanti dalla figura (a mio modo di vedere sempre poco apprezzabile) del “raver perfetto” a cui fa riferimento il manifesto che poco fa ho citato. In mezzo ai ravers consapevoli, ballano persone che sono li solo per drogarsi o spacciare, cosi come persone che si trovano li solo per divertirsi un po’ fuori dagli schemi. È necessario distinguere quindi a mio modo di vedere ogni singolo partecipante, ed esaminare quelli che possono essere i pericoli.
Chi va ad un rave per drogarsi, come ho già detto, vuole solo trovare un posto sicuro, dove sicuramente non dare troppo nell’occhio.
Il rave conseguentemente, non è cosi ben frequentato e chi si trova la per semplice trasgressione, moda o voglia di divertirsi, passa la serata a guardarsi intorno preoccupato che possa accadere qualcosa, e magari tenendosi a debita distanza da chi ha esagerato con le dosi. Il rischio per queste persone è quello di avere qualche noia, più o meno pericolosa, e di entrare comunque in contatto con qualche sostanza. Chi si sentirebbe cosi sicuro dei drinks serviti?
Il pericolo a mio modo di vedere più grave, è per alcuni giovani, che sempre più spesso rimangono affascinati da questo universo cosi ribelle, e soprattutto dalla possibilità di poter provare qualche nuova esperienza. Infatti ai rave è ormai facile trovare ragazzi giovanissimi, che senza nessuna esitazione assumono qualcuna di quelle sostanze, per travalicare i limiti.
L’episodio di cui ho parlato all’inizio, si è verificato successivamente ad un rave legale, ossia autorizzato dal Comune. Autorizzare il party, seppure appaia un controsenso, può favorire il controllo da parte delle autorità e limitare determinati episodi. Ma come abbiamo visto, questo spesso serve a poco o a nulla, poiché chi vuole drogarsi o “sballare”, trova sempre un metodo. Nonostante ciò, questi sono tentativi apprezzabili che tentano di arginare un fenomeno dilagante, quello della diffusione di sostanze stupefacenti. Il problema quindi esula dal rave e avvolge temi più ampi, ma non è questa la sede per approfondirli.
La cosa più allarmante è che i rave sempre più spesso vengono sponsorizzati e trovano fonti sempre nuove di appoggio. Seppure sia proficuo distribuire preservativi o creare punti di aiuto, credo si debba operare parallelamente su un diffuso e ormai somatizzato problema culturale, quello per cui è sempre necessario andare oltre il limite.
Non prendendo in considerazione i ravers “militanti” di cui prima parlavo, l’aspetto più preoccupante della vicenda è quello per cui molto spesso si abbina il divertimento e la musica alla droga. Perciò è necessario fare i conti con una dura realtà di fatto: l’incremento della diffusione delle droghe nella società e l’aumento del numero di giovani che ne fanno uso. Nei raves le sostanze stupefacenti sembrano essere un “must”.
Secondo voi questo peggiora la situazione? Porterebbe a qualche risultato intervenire pesantemente sul fenomeno? Oppure è un problema culturale e sociale come dicevo poco prima?
È facile veder spacciare e persone drogarsi anche all’interno di una comune discoteca, anche se ottimamente sorvegliata, quindi certe sostanze si possono trovare ovunque. Il problema fondamentale però, è che il rave visto nel suo senso comune collega in modo inequivocabile la musica alla droga: questo è un messaggio pericoloso e soprattutto qualcosa di fortemente negativo che può essere percepito da chiunque. Ritengo perciò che il rave troppo spesso agisce con i suoi lati più dannosi, non aiutando assolutamente a eliminare una delle piaghe ormai più estese.
Non c’è bisogno di un accanimento contro questo fenomeno, proprio perché come ho detto, le sostanze pericolose possono essere reperite anche altrove e se anche i rave party non avessero luogo il problema esisterebbe comunque. Ma ripeto, è necessario considerare quanto possa giovare alla soluzione di un problema un punto catalizzatore del consumo di stupefacenti cosi forte.
Ivo Speziali
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