di Elvira Lindo
L'attore e sex-symbol ha girato un film ambientato negli anni della sua infanzia a Malaga. Qui racconta segreti e passioni. E l'idea che si è fatto su Hollywood. Colloquio con Antonio Banderas
Antonio Banderas
La testa di Melanie Griffith risplende nella piacevole penombra della hall dell'Hotel Blakes, a Londra. È venuta da Los Angeles per stare con suo marito, Antonio Banderas, che sta ultimando il missaggio del suo nuovo film, 'El camino de los ingleses', il secondo che firma come regista. Ci accoglie con calore e ci accompagna da lui, parlando in un buffo spagnolo imparato chiacchierando con gli amici e pronunciato con la sua voce infantile e sexy. Banderas aspetta nel loro appartamento: ci accoglie a braccia aperte, con quella simpatia naturale che l'esperienza ha trasformato nel savoir faire di un uomo di mondo. Sullo sfondo si sente 'Modern Times', l'ultimo disco di Bob Dylan. "Mi piace", dice Banderas accendendosi una sigaretta americana: "È sempre uguale, ma mi piace per questo". La lavorazione di 'El camino de los ingleses' è alle battute finali (il film uscirà in Spagna l'1 dicembre), ma lui si accomoda per questa conversazione a ruota libera, senza limiti di tempo, che continuerà negli studi di registrazione e a cena in un ristorante giapponese.

Il suo nuovo film, basato su un romanzo di Antonio Soler, è una storia di sogni giovanili ambientata a Malaga, dove lei è nato. Ci ha trovato qualcosa di personale?
"Il romanzo è stato il pretesto. Me lo regalò Antonio Meliveo, un mio amico che è musicista e produttore, amico di Soler, che conoscevo anch'io. Ci conoscevamo tutti, avevamo interessi in comune, il teatro e una certa inquietudine culturale tipica di quegli anni. Già da tempo volevo raccontare qualcosa su questa generazione e leggendo il romanzo, che è ambientato nel 1978, l'ho capito. Quando il direttore della fotografia mi ha chiesto cosa volessi fare, gli ho detto: 'Voglio fotografare il ricordo'. Io ammiro molto il realismo puro e duro, lo apprezzo, ma non è il mio stile. A me piace guardare indietro come facevano Federico Fellini o Bob Fosse. Loro non raccontano esattamente i fatti, ma il modo in cui si assimila quello che è successo, come il ricordo viene modificato dalla memoria e dalla vita. Quello che uno ricorda ha sempre qualcosa del sogno. Volevo vedere sullo schermo i colori del ricordo, che per me erano così forti. Sì, vivevamo in una dittatura - quella di Franco - ma a essere sinceri, da giovani quello che più ti importa è avere una fidanzata, quello che vorresti fare con lei, gli amici, e quella forza che ha la vita quando ce l'hai tutta intera davanti a te".

Al centro del film ci sono i sogni per il futuro: lei cosa sognava quando ha deciso di fare l'attore?
"Molto meno di quello che ho avuto. A un certo punto vivevo in una pensione al centro di Madrid e certe sere non riuscivo a dormire perché la parete della pensione confinava con quella di un teatro dove davano 'Evita'. I bassi del musical mi sfondavano i timpani, tutte le notti li maledicevo. Chi avrebbe mai detto che avrei recitato nello stesso musical? Tutto questo potrebbe non essere accaduto e se non fosse accaduto non mi sarei sentito infelice, perché tante cose che ho, non me le aspettavo".

Lei viene da una famiglia tipicamente spagnola, mentre sua moglie, figlia di Tippi Hedren, ha vissuto un'infanzia hollywoodiana.
"All'inizio è stato un casino. Ricordiamo sempre il primo Natale passato insieme a Malaga. Provi a immaginare mio padre davanti a mia suocera. Come tutti gli spagnoli della sua generazione, lui pensa che se urli a uno straniero quello ti capirà meglio e passò la cena a urlare: 'Sai che mi è piaciuta molto nel film Gli uccelli!'. La cosa divertente è che dopo mio padre era con mia madre in cucina per aiutarla e continuava a urlare e mia madre gli urlava a sua volta: 'Con me non urlare, io ti capisco!'".

Come fa a mantenersi in forma?
"Faccio yoga. Non mi è mai piaciuta la gente troppo muscolosa, credo che il corpo debba rispondere a un'armonia e lo yoga aiuta. Lo faccio tutti i giorni e poi corro per un'ora. Mi piace sudare. Sono un tipo nervoso e correre mi fa sentire meglio. In questi giorni, per superare il jet-lag, mi alzo, faccio meditazione e i miei esercizi. In casa mia le pasticche non entrano, per ovvi motivi (gli 'ovvi motivi' si riferiscono a Melanie, la donna dal passato difficile che è appena uscita dalla stanza con un 'I love you, babe', ndr)"
Col passare degli anni però trovare buone parti diventa più difficile. Come vive un attore o ancora di più un'attrice della sua categoria il fatto di non lavorare?
"Melanie lo vive bene: può sembrare strano, ma è così. Si dedica molto ai nostri figli. Ma io ci starei malissimo. Per fortuna non mi è successo, ma anche per questo sto cominciando una carriera di regista".

Perché una donna dopo i 35 anni comincia a non trovare più lavoro nel cinema?
"È assurdo che un'attrice del talento di mia moglie stia senza lavoro".

Anche se nel pubblico è comprensibile che un'attrice giovane possa suscitare più desiderio.
"Questa è una conclusione a cui sono giunti i produttori, cercando di catturare il pubblico giovanile, che si presume sia la maggioranza. Non è il caso mio. A me piacciono le donne grandi, mature. Mi piace avere qualcuno nella vita con cui capirmi da pari a pari. I miei miti sono state donne come Anna Magnani o Simone Signoret e non necessariamente quando erano giovani. Voglio che una donna sia interessante. Certo, una bella donna mi piace, ma non è l'unica cosa che mi interessa. Ci vogliono altre qualità. Ci faccia caso: se in un film una donna giovane sta con un uomo maturo, sembra a tutti una cosa naturale; ma se una donna matura sta con un uomo giovane, quello diventa l'argomento della storia. Melanie ha solo tre anni più di me, eppure non si stancano mai di farcelo notare".

E a lei come la vedono adesso in America?
"Mi piace il momento in cui mi trovo, sto in una zona intermedia che mi va benissimo. Non sto su, al top, né sto giù. Faccio film commerciali per i quali posso chiedere cifre che poi mi permettono di fare altre cose. Ho detto di sì a Brian de Palma per un piccolo ruolo solo per capire come dirige un film. Gli ho chiesto se mi lasciava vedere come lavora e, anche se a volte è scomodo per un regista, lui me lo ha permesso".

Che cosa direbbe a chi rimpiange il Banderas di 'Légami'?
"Che non escludo l'idea di tornare a lavorare con Almodóvar".

È sempre costretto al ruolo dell'ispanico?
"No, gli americani hanno accettato il mio accento, l''accento Banderas' è stato ammesso".

E la critica, come la considera ultimamente?
"Beh, per me il musical 'Nine' a Broadway è stato decisivo. Hanno cominciato a guardarmi in un altro modo, come qualcosa di più che un attore commerciale. Era teatro, e per loro si scrive con le lettere maiuscole. Non tutti gli attori di Hollywood hanno il coraggio di provarci. Si trattava di cantare dal vivo una musica non facile, di sostenere un'opera intera".

Che cosa ha provato mentre si alzava il sipario?
"Panico. Ho pensato: che cavolo ci faccio qui? Ma avevo tante di quelle cose da fare in scena per due ore, che non potevo crogiolarmi troppo in questo pensiero. Negli stessi giorni, poi, Melanie girava 'Chicago', e sono stati tre mesi magici, perché i nostri teatri erano uno di fronte all'altro, sulla 49ma strada. Il mio spettacolo finiva dieci minuti dopo il suo. Lei arrivava al momento degli applausi, poi veniva a prendermi e ce ne andavamo a cena".

Riuscite a mantenere una normalità nella vostra vita?
"Passiamo tanto tempo in giro che ci piace, quando possiamo, stare a casa. Non facciamo quasi vita sociale, invitiamo degli amici: Sharon Stone, Salmita Hayek, Penelope Cruz. Gli preparo la paella. Arnold Schwarzenegger è un fan della mia paella. Ma prima di tutto ci dedichiamo ai figli. Mi piace che stiano a Malaga circondati da tanta gente, come sono cresciuto io, dai figli dei miei amici, dalla mia famiglia. A Hollywood i bambini hanno sempre vissuto molto abbandonati; dietro a ogni figlio di una star che è cresciuto lì, c'è una storia disgraziata. Per i figli di mia moglie io sono un punto di riferimento. Gli americani tendono a disinteressarsi dei figli. Noi vogliamo stargli accanto, vogliamo che conoscano il mondo vero. Quando ho lavorato in America Latina li portavamo a spasso e gli dicevamo: vedete, in questi paesi i bambini vivono così. Questa è la normalità, voi siete un'eccezione".
 I suoi genitori vi aiutino a far crescere i vostri figli nella normalità?
"Sicuramente, loro hanno sempre saputo come comportarsi. Per fare un esempio, alla prima di 'Evita', qui a Londra, in una sala c'erano i vip, gli ospiti degli artisti. Lasciai lì i miei genitori. Quando tornai mia madre chiacchierava ridendo con l'ex primo ministro John Major, che parla lo spagnolo perché va in vacanza in Spagna, e Sarah Ferguson mi disse: 'Ma quant'è divertente tua madre'".

Ricorda la prima volta che ha visto sua moglie?
"Perfettamente. Ero alla notte degli Oscar con Almodóvar per 'Donne sull'orlo di una crisi di nervi'. E lei per 'Una donna in carriera'. Perdemmo tutti e due. La vidi mentre entrava, con un vestito lungo, grigio perla, con le perle che le pendevano sulla scollatura. Era spettacolare. Chiesi a Pedro: 'Chi è quella bonazza?'. E lui mi rispose: 'Chi vuoi che sia, è Melanie Griffith'".

Quando girava il film a Malaga ci saranno state centinaia di persone a seguire le riprese.
"Sì, era divertente, sembrava di stare a teatro. L'aiuto registra ordinava silenzio e la gente si azzittiva. E quando io dicevo 'taglia!', si mettevano tutti ad applaudire".

Però di certo non può più girare per Malaga come quando era giovane...
"Questo è un altro dei motivi per cui volevo fare questo film, per vivere attraverso questi personaggi la libertà con cui vissi la Malaga di allora e che non mi potrò più godere. Ho avuto un'infanzia piuttosto felice. Normale, senza lussi, da classe media. Madre maestra e padre poliziotto. Penso che passai dal vantarmi a scuola del fatto che mio padre era un poliziotto al nasconderlo, proprio negli anni in cui si svolge il film. Anche se mio padre non era nella polizia politica e quello per me fu un sollievo".

C'è qualche posto nel mondo dove puo avere di nuovo la sua libertà giovanile?
"Non a Los Angeles, perché Los Angeles non è niente. Ci stai perché ci devi stare. La mia prossima città sarà New York, credo che lì ci troveremo meglio, i nostri figli potranno crescere senza essere assediati. Io non voglio che mia figlia Stella debba scontare il fatto che suo padre e sua madre sono famosi. Non lo ha scelto lei".

Che cosa spera che dica la critica, il pubblico?
"Sono tranquillo. Ho imparato a non avere aspettative. Lo yoga, gli anni, mi hanno aiutato. E comunque ho già un nuovo progetto in mente, una cosa a cui sto pensando da tempo. Le racconto tutto, ma non ne scriva niente, è un progetto delicato e non voglio rovinarlo. D'accordo?".

'El Pais' - 'L'espresso'
traduzione di Luis E. Moriones