di Daniela Minerva

Livia Turco alza il dito minacciosa, s'infiamma: chiede rigore e giura rigore. Lei è in campo per combattere la partita politica della sua vita: qui o si cambia la sanità o si muore. Perché una sanità equa è possibile, l'esperienza di molte regioni lo dimostra, e lei dichiara guerra a chi vede nei conti in rosso il segno che un sistema sanitario uguale per tutti non è sostenibile. Se Padoa-Schioppa vuole spendere meno, toccherà a lei fare in modo che non si tocchino i più deboli. Come? All'indomani del Dpf è chiaro soltanto che ai cittadini si chiede di 'partecipare' ai costi. Ancora ticket, insomma: sui ricoveri sotto forma di contributo alberghiero definito sulla base del reddito, e sull'uso improprio del pronto soccorso. E all'opinione pubblica il New Deal sanitario annunciato dalla Turco alle Camere comincia a odorare un po' di vecchio.

Ministro, nel suo programma si parla di rinnovare la sanità di modo che sia 'finalmente orientata verso i bisogni e le esigenze dei cittadini'...
"Cominciamo, con un decreto previsto a giorni, a liberare i cittadini da oltre 6 milioni di certificati inutili che pesano sulle loro tasche per circa 40 milioni di euro l'anno".

Una buona notizia. Ma quando si parla di sanità si pensa agli ospedali, alle liste d'attesa. Poi arriva il Dpf che parla di ticket.
"La compartecipazione al costo dei servizi è una battaglia di equità. Se voglio avere un servizio sanitario pubblico di qualità e di eccellenza, che valga sia per l'operaio che per l'imprenditore, devo chiedermi in che modo chi ha redditi maggiori possa partecipare al costo dei servizi. Soltanto così si può debellare la nefasta politica dei ticket che colpisce i più deboli, i malati. La questione va discussa con le parti sociali, ma io vedo la compartecipazione in tre forme".

Il ticket alberghiero, quello sull'uso improprio del pronto soccorso, e cos'altro dovremo pagare?
"Serve un fondo per la non autosufficienza, che è un rischio della modernità dovuto all'allungamento della vita media. Oggi le famiglie si impoveriscono per sostenere gli anziani non autosufficienti, che saranno sempre di più nei prossimi anni. È necessario che, sulla base del reddito, i cittadini partecipino a un fondo che dia loro il diritto all'assistenza domiciliare, all'aiuto per le famiglie, alle case protette".

È una nuova tassa.
"Una tassa di scopo, un contributo di solidarietà sulla base del reddito. Io penso che i cittadini siano disponibili: i giovani lo sono perché vedono oggi la fatica dei loro genitori nella cura dei nonni; si vedono anziani, col rischio di essere soli e bisognosi di aiuto".

Per far fronte al problema dell'invecchiamento della popolazione molti economisti hanno indicato la strada dei fondi integrativi.
"L'assistenza agli anziani malati è un dovere costituzionale del Servizio sanitario nazionale. Sia chiaro: la discussione sui fondi integrativi è aperta, ma nessuno pensi a un ritorno delle mutue e a una scorciatoia per creare dei livelli differenziati di assistenza. Su alcune prestazioni i fondi integrativi sono un dovere: per l'odontoiatria ad esempio. Per tutte le prestazioni che non sono comprese nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) è giusto che il servizio pubblico organizzi dei fondi che coprano categorie più deboli, quelle che non se li sono fatti per conto loro come i dirigenti d'azienda o i chimici. Ma solo per ciò che è fuori dai Lea, altrimenti legittimiamo un Servizio sanitario nazionale a più velocità".

Il suo richiamo all'universalità del Ssn è forte. Ma il panorama dell'assistenza in molte regioni mostra un degrado che pare inarrestabile.
"Il servizio sanitario oggi è in un passaggio cruciale: può davvero migliorare o può tornare indietro in modo pesante. Questo accadrà se il sistema non sarà adeguatamente finanziato e se tutti i protagonisti non saranno capaci di assumere atteggiamenti virtuosi, di assumersi le loro responsabilità. Il Ssn risponde della salute dei cittadini, non è semplicemente una cassa da prosciugare. Anche il cittadino deve prendere coscienza, a lei e lui mi rivolgo quando dico: 'Guarda che devi badare a te stesso, non devi abbandonarti a visite e indagini diagnostiche, a farmaci. Devi sapere cosa ti succede'. Poi, ho sentito medici dire: 'Dobbiamo recuperare la nostra capacità diagnostica'; e allora bisogna che lo facciano e che la smettano di essere soltanto prescrittori di prestazioni specialistiche e di farmaci. Ma innanzitutto il Ssn deve responsabilizzare se stesso e le regioni devono avviare tutte le politiche necessarie a migliorare la qualità dell'assistenza rispettando i bilanci".
È una scommessa che si fa da anni, ma che nessun ministro ha mai vinto.
"Adesso dobbiamo farlo. Basta con gli sprechi e con l'utilizzo della sanità per scopi personali o per conquistare consenso politico. Fino a che il meccanismo di finanziamento è in mano allo Stato, agiremo su questo. Faremo una valutazione condivisa del fabbisogno del fondo sanitario nazionale conforme ai livelli di assistenza, ma il trasferimento di risorse per le regioni sarà un vincolo di fronte al quale non si sfugge: chi sforerà sappia che non ci sarà nessuno che ripianerà a piè di lista e se la dovrà cavare da solo. Questo vincolo porterà a comportamenti virtuosi, e soprattutto migliorerà la qualità dei servizi offerti".

Fino a oggi non è che i vincoli finanziari abbiano incentivato comportamenti virtuosi, anzi: sono stati la foglia di fico dietro cui nascondere inefficienze e sprechi.
"Gli atteggiamenti virtuosi si ottengono da un lato con dei vincoli, dall'altro con gli esempi e con l'accompagnamento. Ora abbiamo capito quali sono le politiche che possono assicurare salute e rispettare i bilanci; e siamo pronti ad accompagnare verso questi obiettivi quelle regioni che, a ragione della loro storia o della loro composizione demografica o territoriale, sono in difficoltà. Occorre sostenerle nella progettazione. Incentivarle a ridurre il rapporto col privato, a liberare gli ospedali dai ricoveri inutili, a investire sul territorio. Lavorare ad accordi tra regioni che permettano un trasferimento di competenze. Faccio un esempio: la Sardegna ha un ritardo in materia di salute mentale, e allora abbiamo lavorato a un gemellaggio col Friuli, che invece è all'avanguardia e ha mandato i suoi esperti in Sardegna a insegnare come si fa una buona politica della salute mentale".

Basta il buon esempio a convincere i pugliesi a non spendere 300 euro a testa in farmaci o i laziali a non pagare prestazioni a piè di lista ai grandi ospedali? Che farà se non dovesse bastare?
"Il vero potere del ministro della Salute si chiama valutazione. Io avvierò delle ricognizioni per verificare come le regioni rispettano i Lea, che sono un diritto costituzionale su cui il ministero deve vigilare. Come adeguano i piani per ridurre le liste d'attesa. Questa azione di verifica dei risultati è il più grande potere che abbiamo: e poi, su singole questioni e inadempienze si possono attivare i commissari ad acta. Ci sono i Nas, gli ispettori... Io però continuo a credere che la politica sia più forte di qualsiasi atto amministrativo".

Un'altra spesa fuori controllo è la farmaceutica: lei ha detto a Farmindustria che è disponibile a rivedere il tetto della spesa pubblica, ma che non è più disposta a tollerare quel 'marketing aggressivo' che spesso scivola verso comportamenti illeciti. Si va verso la linea dura?
"Se dico che il farmaco è un grande investimento per il paese e l'industria è una risorsa. Che siamo pronti a misure di incentivazione della ricerca, di sgravi, allora, pretendo che loro non trucchino il mercato. Io credo nella concertazione. Ma niente imbrogli. Altrimenti, ci sono i Nas. Che sono a disposizione del ministro della Salute".