di Alberto Dentice
Obiettivi ambiziosi. Solo così si catturano gli sponsor. E si costruisce cultura. Parla l'organizzatore della Festa, Goffredo Bettini
Una macchina da guerra. Così lo definisce chi conosce Goffredo Bettini per descrivere la vulcanica capacità lavorativa di chi come lui, politico di rango, si è sempre occupato di cultura e spettacolo. E in particolare di organizzare grandi eventi. Prima come segretario della Fgci romana, poi come capogruppo dei Ds in Campidoglio. Oggi, 55 anni, stazza da lottatore di sumo, Bettini è senatore, presidente di Musica per Roma (Auditorium) e ideatore con Veltroni della Festa del cinema.

Prima di cominciare, il Roma film Fest ha già scatenato molte polemiche. Serviva davvero un'altra Festa del Cinema?
"La prima buona ragione è data dal ruolo esercitato da Roma nella storia del cinema e dal grande amore dei romani per i film: dalle statistiche risulta che i romani vanno al cinema almeno quattro volte l'anno contro le due della media nazionale. La seconda ragione a favore è l'Auditorium, una struttura culturale che in tre anni è diventata la prima in Europa per biglietti venduti. Questa, come sosteneva Luciano Berio, è una fabbrica di cultura, non solo un luogo della musica. La terza, più politica, è data dalla disponibilità nelle istituzioni locali".

Non era difficile visto che sia Regione, Provincia e Comune sono rette da giunte di sinistra.
"D'accordo, ma io mi riferisco al fatto che qui i presidenti delle istituzioni locali considerano la cultura non solo uno strumento per migliorare il livello di civiltà di una comunità, ma anche un grande propulsore di sviluppo economico e di turismo. E ora infatti cominciano a crederci anche gli imprenditori. La Camera di commercio con Andrea Mondello ha investito 2 milioni e mezzo di euro nell'evento e gli imprenditori messi tutti assieme hanno dato altri 4 milioni e mezzo in sponsorizzazioni. Con il contributo degli enti locali si arriva a circa 10 milioni".


Roma già più ricca di Venezia?
"Mi chiedo perché il Nord che ha fatto del federalismo la sua bandiera, debba criticare una regione che, con le sue risorse e senza prendere una lira dallo Stato, lancia una manifestazione in sintonia con la sua storia e la sua vocazione".

Eppure Roma e Venezia condividono lo stesso peccato originale. Due mostre nate più per accontentare albergatori e negozianti che gli amanti del cinema...
"Non sarà così. Principalmente per merito di un programma in sostanziale equilibrio tra il grande cinema popolare e il rigore della sezione Concorso ed Extra. Siamo andati a cercare quello che di più bello e innovativo era disponibile in tutto il mondo. Anche di registi non affermati".

Roma ha fatto della qualità dei servizi una sua bandiera. Qual è il vostro asso nella manica?
"Attorno all'Auditorium abbiamo costruito un villaggio, progetto di Renzo Piano, con bar, ristoranti, banche, stand di servizi vari, perché sia facile ed economico vivere la festa. Ovviamente, trattandosi della prima edizione, invitiamo il pubblico a essere generoso, una grande macchina come questa necessita di un po' di rodaggio".

Quali obiettivi pensate di raggiungere?
"Innanzitutto formare pubblico per il cinema. L'esperienza dell'Auditorium ci insegna che l'aumento dell'offerta culturale produce un aumento della domanda. Secondo obiettivo: scoprire almeno due o tre grandi film e lanciare qualche nuovo talento. Terzo obiettivo: la promozione del modello Roma".

Qual è il modello Roma?
"Fino al 1993, prima della giunta Rutelli, Roma è stata una città fondata sulla burocrazia e sull'edilizia. Una metropoli che giocava i suoi asset verso il turismo attraverso il massimo utilizzo delle sue antichità. Ancora internazionale riguardo alla sua arte e al suo passato, ma assolutamete provinciale rispetto al suo sviluppo nella contemporaneità. Noi abbiamo scelto di mettere in sintonia il cuore antico della città con una modernità che rendesse Roma competitiva con le altre metropoli sul piano dei servizi avanzati: congressualità, ambiente, turismo, fiere. La Festa del Cinema è altro grande tassello di questo progetto".

Non esistono solo i grandi eventi. A Parigi ci sono almeno cinque case del cinema e un museo sempre pieni che programmano tutto l'anno retrospettive e monografie.
"Il mercato non l'ho inventato io e 5 milioni di euro in sponsorizzazioni private per le case del cinema non li troverei mai. Posso trovarli per un evento cinematografico che al suo interno abbia anche un'attrattiva per gli sponsor che coprono il 70 per cento del budget e sono decisivi nella costruzione della festa".

Insomma, dalla cultura dei cineclub si è passati alla cultura della festa. Un bel salto.
"Per quanto ne so il Comune continua ad aiutare le realtà dei cineclub. Detto ciò è evidente che il clima è cambiato radicalmente. Quando avevo 14 anni per vedere i film del grande realismo sovietico dovevo girare per sezioni e cineforum. Oggi con le cassette e i dvd ognuno si vede quello che gli pare a casa propria".

Meglio il grande evento?
"Attenzione: se per grande evento intendiamo esclusivamente il tappeto rosso, direi di no. Ma noi abbiamo ideato una formula innovativa. Con i grandi artisti che incontrano il pubblico e tanti appuntamenti per promuovere una visione meno passiva del cinema".

Resta il fatto che con Roma si aggiunge un altro grande festival. Cosa risponde a chi avverte il rischio di cannibalizzazione?
"Mi chiederei come mai nel corso degli anni, noi che eravamo una delle prime cinematografie mondiali e avevamo il festival più prestigioso, siamo via via decresciuti come paese produttore di film e Venezia è stata insidiata da Toronto, Berlino, Cannes... Questo per spiegare che il duello Venezia-Roma è un falso problema. Semmai c'è il problema di rafforzare il ruolo dell'Italia in questo panorama e le sinergie positive che si possono sviluppare per fare sistema, come peraltro sostiene da sempre il presidente della Biennale Davide Croff".

D'accordo, ma in pratica il numero di pellicole a disposizione ogni anno è limitato.
"Nel mondo si producono circa 6 mila film l'anno, in Italia ne arrivano circa 800. I nostri festival ne ospitano tra i cento e i 150. Quindi c'è un grandissimo spazio di ricerca. Quest'anno tutti hanno detto che Venezia ha avuto un programma eccellente. Il programma di Roma, che io ritengo altrettanto buono, dimostrerà che non c'è nessuna competizione distruttiva".

Sembra difficile credere che non ci sia stata contesa nemmeno per un film.
"Una vera competizione c'è stata solo su un titolo, 'Black Dahlia'. È stato più svelto Muller. Ma dopo averlo visto sono contento di non averlo preso".

I festival in genere si identificano con il loro direttore. Il festival di Roma si identifica con il sindaco: è la Festa di Veltroni. Questo non crea qualche problema?
"Un sindaco che ama profondamente la cultura ed è anche grande appassionato di cinema è una fortuna. Vivaddio: un politico anomalo che scrive libri, recensisce film. Certo, nell'immaginario mediatico lui è uno dei protagonisti della festa. Ma al tempo stesso è un sindaco che non ha mai debordato rispetto al suo ruolo".

Si dice che alla Festa di Roma non si muove foglia che Veltroni non voglia e che sia lui il direttore ombra della manifestazione.
"Assolutamente falso, il programma della festa e in particolare quello del concorso Walter lo ha saputo solo pochi giorni fa. Semmai sono stato io a chiedergli di darci una mano per convincere alcuni importanti registi italiani che la Festa di Roma valeva la pena. Siamo noi, dunque, ad averlo utilizzato".