Cominciata male a Strasburgo, la giornata di Silvio Berlusconi statista internazionale finisce malissimo a Praga.


Al vertice Nato il capo del governo si presenta con il telefonino all'orecchio lasciando la cancelliera Merkel ad attenderlo sulle rive del Reno e disertando la cerimonia solenne di commemorazione per i caduti della Nato, tra cui parecchi soldati italiani. A Praga, dove domani si terrà l'incontro Ue-Usa, il presidente del Consiglio lascia esplodere la sua rabbia contro l'informazione.
Se la prende, lui che è maestro delle tecniche televisive, contro i video che ripropongono fedelmente su internet le sue gesta maldestre sulla scena mondiale. E minaccia, lui che è proprietario di televisioni e giornali, di lanciare campagne di boicottaggio contro la stampa, colpevole di non riproporre la realtà come piacerebbe a lui. Dopo aver ripetutamente violato la forma e la sostanza delle regole di politica internazionale, Berlusconi finisce così anche per violare la forma e la sostanza della libertà di informazione.
I due errori sono più strettamente connessi di quanto si possa credere. Sarebbe infatti ingenuo pensare che il presidente del Consiglio abbia accumulato in pochi giorni un così straordinario numero di gaffe e di figuracce internazionali solo per insipienza. Unico esponente del G8 a non aver potuto incontrare Obama, incapace di acquisire credibilità tra i propri pari, ha adottato la tecnica della rottura del protocollo, per poter vendere almeno qualche scampolo di visibilità sul fronte interno, che è poi l'unico che gli interessi veramente.
Per farlo, però, avrebbe bisogno di un controllo pressoché totale sull'informazione di casa propria. E poiché non riesce ad ottenerlo, poiché nell'era di internet e dell'informazione globale neppure il monopolio televisivo basta a garantirgli l'impunità, lascia libero corso alla propria ira pronunciando anatemi contro la stampa.

Bisogna riconoscere che Berlusconi ha motivo di essere deluso. Il suo nuovo corso di statista mondiale era stato messo in scena con straordinario senso di opportunismo. Il G20 sancisce una ritrovata unità tra i Grandi del Pianeta? Berlusconi è prontissimo ad inseguire il presidente americano al grido di "Mr. Obama!" e a costringerlo ad una foto-ricordo con il russo Medvedev che farà la prima pagina di tutti i giornali.
I leader della Nato decidono che devono superare il veto turco e uscire dal vertice di Strasburgo con un accordo sulla nomina di Rasmussen? Berlusconi viola tutti i protocolli e i più elementari criteri di buona educazione per farsi riprendere dalle televisioni di tutti il mondo mentre telefona, in diretta, al primo ministro turco Erdogan per perorare la causa di Rasmussen.
Poco importa che, nonostante i sorrisi di Obama e Medvedev nella foto-ricordo, la situazione dell'economia mondiale resti grave, o che il riavvicinamento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti non abbia certo bisogno dei buoni uffici di Berlusconi.
Poco importa che, per riconoscimento congiunto dei turchi e degli americani, l'accordo sul nome di Rasmussen sia arrivato dopo due colloqui, venerdì sera a Baden Baden e ieri mattina a Strasburgo, tra Obama e il presidente turco Gul, cui ha partecipato nella fase finale lo stesso Rasmussen.
Quello che interessa a Berlusconi, nella stessa implacabile logica televisiva con cui ha conquistato la politica italiana, è l'effetto annuncio. Lascia Londra rivendicando un suo ruolo nel riavvicinamento tra Usa e Russia. Lascia Strasburgo proponendosi come il vero deus ex machina dietro l'elezione di Rasmussen. Le foto, le sequenze televisive, sono la prova di quanto afferma.
Al teatrino della politica trasferito su scala internazionale non occorre altro. E peccato se, per ottenere l'effetto "mosca cocchiera", Berlusconi è disposto a sacrificare il contributo reale, certo più modesto, che magari ha effettivamente offerto, come il rafforzamento del nostro contingente in Afghanistan o l'opera di persuasione che può aver esercitato sul suo amico Erdogan.
Naturalmente il capo del governo non è contento quando la stampa riferisce la costernazione del resto del mondo di fronte alle sue imprese. "Con voi giornalisti non parlo più, perché io lavoro per l'Italia e voi lavorate contro l'Italia" aveva dichiarato già venerdì sera a chi lo attendeva al rientro in albergo. Ma questa logica televisiva dell'apparire a tutti costi, anche pagando il prezzo di brutte figure fa davvero bene al Paese? O fa bene solo al capo di governo e alla sua perenne ricerca di applausi domestici? Sarebbe bello se, almeno quando varca i confini nazionali, il presidente del Consiglio ricordasse che le due istanze, il suo interesse e quello dell'Italia, possono anche non coincidere.
La libertà di stampa, invece, coincide sicuramente con l'interesse di una democrazia. Perché la cronaca non è diffamazione e la critica non è calunnia.

 

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