Ricavi per centinaia di milioni. Soci che si divisono guadagni stratosferici. Mentre la crisi sfoltisce i ranghi dei collaboratori. E il Parlamento si prepara ad azzerare le liberalizzazioni

Giulio Tremonti? Allo studio Vitale Romagnoli Piccardi e Associati di via Crocefisso, a Milano, iniziano probabilmente a pensare che sia meglio averlo come ministro che come socio.
Dopo un 2007 non brillante, con affari per 12,6 milioni di euro, nel 2008 l'uscita del fondatore e il suo ritorno al ministero dell'Economia sono stati accompagnati da un'impennata dei ricavi dello studio, da sempre attivo nella consulenza fiscale a imprese private e pubbliche. Il fatturato ha raggiunto i 20 milioni, metà dei quali guadagni da spartire fra i soci, permettendo al cofondatore storico Enrico Vitali e agli altri ex partner di Tremonti di entrare per la prima volta tra i primi 25 studi legali italiani per volume d'affari.

LA CLASSIFICA: I MAGNIFICI 100

La salute dello studio creato dal ministro, al quale l'anno scorso si sono rivolti fra gli altri il gruppo Benetton per l'emissione di bond e Carlo Toto per la vendita di AirOne, emerge da una delle rare analisi in grado di fare luce su uno dei business più riservati, quello della consulenza legale. Si tratta della classifica che la rivista specializzata 'TopLegal' compila annualmente, elaborando una serie di stime sul fatturato e sui guadagni dei primi cento studi legali che, in Italia, si occupano di affari. L'analisi, che verrà pubblicata in giugno, è interessante anche alla luce del blitz che in parlamento la lobby degli avvocati sta preparando per cancellare le innovazioni che, a partire dall'abolizione delle tariffe minime, erano state introdotte nel 2006 dall'allora ministro Pierluigi Bersani.
Gli avvocati d'affari? «Oggi li trovi in palestra alle cinque, mentre negli anni d'oro lavoravano tutta la notte». La battuta è di Federico Baccomo, alias Duchesne, l'insider autore del romanzo di culto 'Studio illegale', dove vengono raccontati trucchi e ipocrisie di un mestiere che negli ultimi anni ha creato immense ricchezze personali. Ora però c'è crisi e nelle 'law firm' più blasonate si contano contratti non rinnovati, bonus cancellati, aumenti congelati. «D'ora in poi sarà più difficile calcolare le parcelle secondo i dettagliati time-sheets (fogli-orario,
ndr) suddivisi in fasce di 6 minuti dove gli avvocati annotano a quale cliente attribuire il costo del proprio operato», dice Baccomo.
La classifica di TopLegal, tuttavia, mostra che la crisi la pagano soprattutto i collaboratori, meno i soci. Nonostante la mazzata che nella seconda metà del 2008 si è abbattuta sui mercati, cancellando operazioni che possono fruttare mandati milionari - quotazioni in Borsa, emissioni di obbligazioni, compravendite di aziende e pacchetti immobiliari - i partner di molti studi sono riusciti a chiudere l'anno con guadagni in crescita. In cima alla lista c'è un terzetto composto da Bonelli Erede Pappalardo (95 milioni di utile su 147 di fatturato), Chiomenti (87 su 130) e Gianni Origoni Grippo (45 su 90). Meno bene sembra essere andata alle filiali italiane dei marchi anglosassoni come Freshfields, Allen & Overy e Clifford Chance, tutti con profitti in calo.
In gergo il socio in grado di portare a casa i contratti più ricchi viene detto 'rainmaker', l'uomo della pioggia. Sulle qualità che servano per entrare nella cerchia, Baccomo tenta questa spiegazione: «Gli avvocati di maggior successo sono quelli che riescono a strutturare in modo inattaccabile operazioni che, a prima vista, si direbbero illegali. E che, in più, creano standard che paradossalmente vengono presi a modello dalle autorità».
Se competenze tecniche e ritmi forsennati sono dati per scontati, hanno certamente un peso anche l'abilità di schivare il colpo quando un cliente finisce nei guai e uscire indenni dalle indagini giudiziarie, la capacità di districarsi fra i conflitti d'interessi, le aderenze politiche, i buoni contatti. Forse per quest'ultimo motivo negli studi più in vista non mancano rampolli di personaggi eccellenti, come la figlia del numero uno dell'Eni, Paolo Scaroni, da Bonelli Erede o quella del presidente dell'Enel, Piero Gnudi, da Vitale Romagnoli.
E per la stessa ragione gli avvocati pescano spesso nelle istituzioni con le quali trattano tutti i giorni, dalla Banca d'Italia alla Consob. Il caso più noto è forse quello di un ex ufficiale della Guardia di Finanza come Dario Romagnoli, socio della prima ora di Tremonti .
Un esempio spesso citato per capire quanto conti tenere il passo con i mutevoli rapporti di forza della finanza è quello di Carlo d'Urso, classe 1943, uno dei giuristi che in passato monopolizzavano le operazioni targate Mediobanca. Un gruppo chiuso e iper riservato, la cui star era Guido Rossi, capace di ribattere a chi lo criticava su una parcella di 31 miliardi di lire per la privatizzazione del Sanpaolo: «Erano solo 23 miliardi, e la tariffa pagata è sotto i minimi».
A d'Urso, però, appartenere a una élite così aristocratica a un certo punto dev'essere sembrato insufficiente per tenere il ritmo con i tempi. E nel 2004 il suo studio si è fuso con quello di Francesco Gatti, ben inserito nell'impero di un nuovo potente come Silvio Berlusconi: cresciuto con Vittorio Dotti, uno degli storici legali della Fininvest, si mise in proprio quando scoppiò il caso Ariosto.
La classifica di 'TopLegal', comunque, sembra dire che nel business legale gli uomini della pioggia fanno piovere sul bagnato. E così tra i big del 2008 si sono confermati due pesi massimi come Sergio Erede e Francesco Gianni. Erede, 69 anni, ha dato la scalata al vertice della categoria dieci anni fa, quando decise di unire il suo studio a quelli di Franco Bonelli e Aurelio Pappalardo e, negli stessi mesi, divenne vice presidente in Telecom Italia dopo la scalata di Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti. Da allora è entrato in numerosi altri consigli di amministrazione, compreso quello dell'Editoriale L'Espresso. Nell'ultimo difficile anno la tenuta degli affari è stata garantita dalla partecipazione a diverse operazioni di ristrutturazione societaria: la cessione di AirOne alla Cai, e poi Zucchi, Gabetti, Aedes, Zunino. Un ruolo per il quale contano i buoni rapporti vantati con le banche, Intesa in testa. Il risultato ottenuto da Francesco Gianni, nato nel 1951, per certi versi colpisce ancor più. Due anni fa il suo studio ha subito una fuga di 78 avvocati, di cui 17 soci, che hanno dato vita a Legance, già oggi all'ottavo posto in classifica con ricavi per 40 milioni. Gianni, però, ha mostrato una notevole tenuta, migliorando i guadagni e perdendo solo 5 milioni di fatturato. Come gran parte dei colleghi, il suo studio vanta ottime capacità di galleggiamento, avendo superato senza grandi conseguenze momenti difficili. Oltre a essere stato il consulente legale per la scalata di Gianpiero Fiorani all'Antonveneta, si è ritrovato al centro di un piccolo terremoto anche in Parmalat: assoldato da Enrico Bondi per fare la guerra alle banche d'affari, si è ritrovato schierato contro chi, fino ad allora, aveva assicurato una buona fetta dei suoi onorari. Dopo un po' ha lasciato il campo a un altro studio rampante, quello di Lombardi Molinari (trentesima posizione in classifica, 18 milioni di ricavi), ma sembra conservare il vento nelle vele. L'anno scorso ha seguito, fra l'altro, la cessione ai russi della Erg Raffinerie Mediterranee e ai francesi della Romana Gas. Se la crisi non ha azzoppato i grandi avvocati, i numeri di 'TopLegal' confermano che per i loro collaboratori le cose non vanno però troppo bene. Se si dividono i ricavi dei primi cento studi per il numero totale degli avvocati che ci lavorano (6.589), emerge un fatturato pro capite di 270 mila euro, 30 mila meno del 2007. Il dato si presta a due argomentazioni. La prima è che dopo gli anni più grassi l'era dei tagli al personale, seppur silenziosi, è arrivata davvero. La seconda è che il fatturato pro capite degli avvocati d'affari, pur in discesa, resta enormemente più alto rispetto alle stime disponibili per la totalità degli avvocati, che vanno da 61 a 75 mila euro l'anno. «Se si guarda all'intera categoria, redditi medi dichiarati così bassi riflettono due problemi diversi», dice Giuseppe La Scala, fondatore di uno studio (numero 60 in classifica, con ricavi per 8,4 milioni) che conta uffici in sette città. Il primo problema è quello «dell'enorme quantità di nero che negli studi personali si continua a fare, permettendo a strutture inefficienti di restare in piedi: noi paghiamo i praticanti da mille a 1.300 euro lordi al mese e in Veneto, dove abbiamo tre uffici, veniamo guardati come rovinafamiglie da chi li fa lavorare gratis», spiega La Scala. La seconda questione è invece quella che chiama «la proletarizzazione della categoria». Può far ridere, considerando che, quando sono emerse le dichiarazioni dei redditi dei grandi nomi, da Franzo Grande Stevens a Erede, da Bonelli a Gianni a Rossi, si è parlato sempre di cifre che partivano dai 10 milioni di euro. La Scala però è serio: «Oggi», dice, «si è persa una connotazione sociale unitaria della professione di avvocato: è impossibile trovare qualcosa in comune fra chi guadagna milioni l'anno e chi non arriva a 2 mila euro al mese». Il paradosso è che sono proprio i grandi studi, più strutturati e meno legati al nero, a guardare con minori timori alle liberalizzazioni avviate da Bersani. Anzi. Se gli avvocati d'affari vorrebbero spingersi ancora più in là, ottenendo ad esempio la possibilità di attrarre azionisti finanziatori, che ci mettono i soldi ma non praticano l'attività legale, gli ordini professionali hanno alzato il muro, rispondendo alle pressioni della base dei piccoli studi. E, così, in un Parlamento che conta oltre 40 avvocati al Senato e una novantina alla Camera, gran parte nella maggioranza, la controriforma è in arrivo. La Commissione Giustizia del Senato, infatti, nelle prossime settimane discuterà una proposta di legge, alla quale ha lavorato Franco Mugnai del Pdl, che accoglie gran parte delle richieste avanzate dal Consiglio nazionale forense, a cominciare dalla reintroduzione delle tariffe minime abolite da Bersani. A ruota rischia di cadere anche un'altra innovazione: la possibilità di incassare un onorario legato a quanto si incassa con la causa.
 Dice Paolo Giuggioli, presidente dell'Ordine di Milano, uno dei protagonisti dei lavori del Consiglio nazionale: «Le liberalizzazioni di Bersani hanno mortificato la nostra professione. L'idea di concedere un primo parere gratuito, come oggi accade, è una follia: il nostro mestiere si fonda sulla competenza giuridica, non possiamo essere scambiati per venditori di limoni». Le novità in arrivo potrebbero essere anche altre, come ad esempio i due anni di tirocinio con 400 ore di scuola forense obbligatoria per accedere all'esame finale. Giuggioli chiude invece la porta a norme più trasparenti per la stesura delle parcelle. «Che cosa proponiamo per la trasparenza? Niente. Le tariffe minime bastano e avanzano».