Nel 2007 l'uomo vincente, oggi quello impaurito

Il premier subito dopo l'aggressione
Il tanto atteso «predellino due» c’è stato, ma quanto diverso da quello di due anni fa e quanto diverso anche da tutte le ipotesi circolate in questi giorni.

Silvio Berlusconi è salito anche ieri sera sul predellino, ma non più per parlare al suo popolo, non più per farci annunci: solo per mostrare la maschera di sangue, gli occhi ancora sbarrati dal terrore e, sembrava di vedere, anche dallo stupore: com’è stato possibile? Com’è possibile che l’odio contro di me arrivi a tanto? Queste domande pareva di leggere ieri sera, dietro al Duomo di Milano, su un volto che siamo abituati a vedere a volte sorridente e a volte iracondo, ma mai spaventato, mai alle corde. Il terrore no, non era mai stato nelle categorie di Silvio Berlusconi.

Mai avevamo visto così quest’uomo, e mai così lo avevano immaginato tutti gli italiani, ormai divisi forse irrevocabilmente in due partiti, uno della venerazione incondizionata e uno dell’ostilità senza se e senza ma. Mai lo avevamo visto con lo sguardo impaurito come quando è caduto a terra, colpito da uno psicopatico che ha raccolto quel che la sua mente ha potuto raccogliere del clima politico che avvelena il Paese. Uno psicopatico solo meno abile e organizzato, per fortuna, del De Niro di «Taxi driver».

Colpito da un souvenir del Duomo, forse comprato in una delle tante edicole lì a fianco, Berlusconi è caduto e lo abbiamo veduto con il viso sfigurato dal sangue ma più ancora dallo smarrimento. Lo hanno caricato in auto e anche lì dentro era, più che confuso, atterrito. E atterrito, più che dal timore delle conseguenze del colpo ricevuto, dall’incredulità. Lo hanno fatto sdraiare sul sedile posteriore e anche lì abbiamo visto un’immagine mai immaginata, quella del Potente che in quel momento è solo un uomo colpito: un uomo che non dovrebbe astenere alcuno, neanche i nemici, dalla solidarietà. Fuori dalla portiera, a pochi metri, era in corso un altro dramma umano: il povero squilibrato che rischia il linciaggio, e gli uomini della scorta impegnati a proteggerlo, affinché non accadesse a questo Massimo Tartaglia quel che accadde il 31 ottobre del 1926 a Bologna ad Anteo Zamboni.

È stato in quel momento che Berlusconi ha deciso di dar vita a un «predellino due» che altrimenti non ci sarebbe stato. Ha chiamato a raccolta le sue forze e il suo orgoglio, ha aperto la portiera ed è salito sul predellino per mostrarsi al suo popolo, come due anni fa. Ma quanti anni luce, fra le due immagini. Nel 2007 Berlusconi salì sul predellino sorridente per un improvvisato comizio, per annunciare la nascita di un nuovo partito, il Popolo della Libertà, e l’imminente rivincita, l’immancabile ritorno al governo. Fu al tempo stesso un momento di potenza e di festa.

Ieri sera invece Berlusconi sul predellino c’è salito a fatica, barcollante, sorretto da mani impegnate a evitare una nuova caduta. Un uomo della scorta al suo fianco l’ha coperto con un paltò, un altro è salito sul tetto dell’auto per tenergli le spalle, e tutte e due queste iniziative sono apparse - più che azioni di servizio - gesti di misericordia. Dal predellino il presidente non ha parlato, e non ha neppure alzato un braccio in segno di saluto come è solito fare. Non è sembrato che egli volesse rassicurare il suo popolo con un berlusconiano «sto bene»: solo, ha mostrato il volto sanguinante come un’icona.

Quanto diverso è stato, questo Berlusconi, non soltanto dal Berlusconi del «predellino uno», ma anche da quello visto fino a pochi minuti prima. Che era il Berlusconi di sempre: quello che quando parla alla sua gente dispensa ottimismo, serenità, forza. Tanta forza da andare sul palco a parlare con la sola giacca sopra la camicia, e ieri a Milano faceva un freddo bestiale, tutti gli altri colonnelli del Pdl erano intabarrati e muovevano le gambe per scaldarsi. Quando alla fine è salito sul palco Formigoni, che ha undici anni meno di Berlusconi, il premier ha voluto far sapere al popolo: «Roberto è più vecchio di me, perché lui ha su la canottiera, io no».

Reduce da mesi orribili, pieni di grane politiche e giudiziarie e di un divorzio che lo ha segnato molto più di quel che la gente possa immaginare, Berlusconi s’era voluto mostrare più vivo e pugnace che mai. «Serenità, serenità, serenità», aveva gridato al popolo della libertà venuto a sentirlo e al popolo della festività che passava di lì per caso, per entrare alla Rinascente a far compere natalizie. Ma Berlusconi aveva gridato anche «vergogna, vergogna, vergogna» ai suoi nemici, che sono sempre di più: quelli storici - la sinistra, i giudici, i giornali - e quelli nuovi: la Tv di Stato e gli ex alleati «che non sanno se stare di qua o di là».

Una festa, doveva essere. E una festa era stata fin dall’inizio, con quello stile un po’ così: il presidente della Provincia Podestà che annuncia «Berlusconi sta già arrivando» nonostante la gente fosse lì ad aspettare da più di un’ora; l’onorevole Lupi che parla mentre mastica il chewing gum; il ministro Rotondi che dice «siamo qui nella nostra Milano» con l’accento di Avellino; La Russa che parla al cellulare sul palco mentre al suo fianco Tremonti sta tenendo il suo breve comizio. Una festa un po’ naïf forse, ma così in sintonia con un pubblico che apprezza proprio le cose informali. Doveva essere una festa, è finita con il terrore e il sangue sul volto del Capo. Una brutta storia che forse riuscirà almeno a far smorzare a tutti i toni; o che forse finirà presto nel tritacarne della politica, restando un’immagine che ricorderemo appena.

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