Renzo Rubino  Arisa

 

E’ calato il sipario sulla sessantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana, condotta per il secondo anno consecutivo dalla coppia Fabio Fazio-Luciana Littizzetto. A mente fredda possiamo tracciare un primo bilancio. Il risultato, senza tanti giri di parole, è fallimentare sotto tutti i punti di vista.

Cominciamo dai dati di ascolto: disastrosi. Un crollo verticale rispetto alle ultime edizioni, tutte in trend positivo dal 2009 in poi. Neppure le sciagurate edizioni della Ventura, di Panariello e di Baudo-Chiambretti erano riuscite a fare di peggio. Un bel danno per la Rai che dovrà risarcire gli inserzionisti pubblicitari a causa dello share assai al di sotto di quello previsto.

E veniamo alla conduzione: ripetitiva. Fazio e Littizzetto hanno stancamente riproposto il clichè del 2013, risultando noiosamente prevedibili. Lui “moscio” e flemmatico, lei sempre fastidiosamente sopra le righe, sconfinando spesso nella volgarità gratuita. Entrambi con la presunzione di voler impartire “lezioni” a chi guarda, dimenticando che il Festival è lo spettacolo-evasione per eccellenza.

Gli ospiti: quasi tutti cadaveri riesumati, sia pur eccellenti. Fabio ama riempirsi la bocca col termine “contemporaneità”. Ci deve spiegare se, tanto per citarne alcuni, personaggi come la Carrà, Arbore, Claudia Cardinale, Franca Valeri, il mago Silvan e le gemelle Kessler (addirittura!) rientrino nello specifico. Intendiamoci, stiamo parlando di mostri sacri, davanti ai quali tante presunte star di oggi dovrebbero inginocchiarsi. Purtroppo però l’idea infelice è stata quella di metterli tutti insieme nello stesso calderone, col patetico risultato da “effetto Villa Arzilla”.

La formula della doppia canzone per ogni singolo big: già superata. Quasi nessuno ne ha presentate due valide, quindi molte di esse erano scarti in partenza. Il paradossale è che in alcuni casi la votazione ha premiato proprio la più brutta.

Il cast dei campioni: deprimente. Fazio, da buon “radical-chic” ha optato per artisti pseudo-intellettuali con vocazione al presunto “impegno”, quasi tutti sconosciuti al grosso pubblico, tranne i superbolliti Ron e Antonella Ruggiero, non a caso classificatisi agli ultimi posti. Forse valeva la pena fare un girone unico con le giovani promesse. Tanto che differenza c’è, per la gente a casa, tra Riccardo Sinigallia e Veronica De Simone oppure tra i Perturbazione (peraltro molto bravi) e Zibba? Delle due l’una: o Fazio riusciva a portare in gara Tiziano Ferro, la Pausini o Antonacci (quelli che vendono realmente al giorno d’oggi) oppure avrebbe dovuto per lo meno inserire alcune personalità storiche dal carisma indiscusso e in grado di attrarre telespettatori, come Oxa, Pravo, Bertè, Al Bano, Morandi, Ranieri, eccetera. L’impressione d’insieme è quella di una parata di “emarginati” all’ultima occasione della loro vita artistica.

E vogliamo soffermarci sui motivi presentati? Di una noia mortale, roba da far rimpiangere “Le colline sono in fiore” e “Quando mi innamoro”, che per lo meno, nella loro orecchiabile semplicità, erano pezzi rappresentativi di un’epoca e che hanno fatto il giro del mondo. Si salvano la vincitrice Arisa, i già citati Perturbazione e la rivelazione Renzo Rubino, terzo classificato, grazie anche all’ottima performance, nella serata dedicata ai cantautori, in duetto con la magnifica Simona Molinari, nell’esecuzione di “Non arrossire” di Gaber. Bravissimo Renga, una voce davvero superlativa, ma con canzoni non all’altezza. Il resto è notte fonda: dagli inutili Frankie Hi-NRG MC, Francesco Sarcina e Giuliano Palma, alla già “spremuta” Giusy Ferreri. Ma chi ha maggiormente indignato sono Ron e la Ruggiero. Il brano del pur bravissimo cantautore di Garlasco, intitolato “Sing in the rain”, è un insulto a una intera carriera: Lucio Dalla che di Ron è stato “padrino artistico” per molti anni, se è vero che ci sta guardando da lassù, sarà rimasto sicuramente sconcertato. Per non parlare dell’ex voce solista dei Matia Bazar, i cui splendidi virtuosismi vocali sono stati messi al servizio di due litanie davvero orribili, interpretate con una immagine funerea e trasandata che la faceva apparire la sosia della “santona” Mamma Ebe.

A proposito di look, c’è stata una vera e propria gara nella gara, tra le cantanti donne, per apparire la più sgraziata ed inelegante: vincono questa speciale classifica Noemi e la Ferreri, a pari demerito. Ah, che nostalgia per le mitiche discese dalle scale dell’Ariston di Patty Pravo, vestita con abiti Versace nel 1984, per il mantello nero con ombelico scoperto di Anna Oxa nel 1986 o per i sobri tailleur con i quali Marcella intonava “Senza un briciolo di testa”! Altri tempi, altra classe, ma soprattutto altra caratura di dive!

Sistema di votazione: confuso, logorroico e farraginoso, con un televoto manipolabile e una giuria di qualità a dir poco discutibile. Meglio tornare alle tanto vituperate giurie demoscopiche.

Infine, ciliegina sulla già indigesta torta di Sanremo 2014, come potrei esimermi dal ricordare la squallida pantomima degli “aspiranti suicidi”: secondo molti una sceneggiata organizzata per dare un “aiutino” all’audience. La verità forse non la sapremo mai. In ogni caso si tratta della “replica” di un lontano Festival condotto da Baudo negli anni novanta. Neanche nel cattivo gusto quest’anno si è stati in grado di elaborare una trovata un minimo originale!