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        e Musica: Dagli anni '20 ad oggi
 Il 
        28 dicembre 1895 portò una radicale svolta nel mondo delle invenzioni 
        o meglio segnò l’inizio di una vera e propria rivoluzione. 
        In quella stessa giornata, infatti, i fratelli Lumière stupirono 
        la popolazione parigina grazie ad alcune immagini in movimento proiettate 
        su di uno schermo; immagini che fino al allora erano state racchiuse all’interno 
        dei dipinti e che ora prendevano vita, libere dalle catene che per troppi 
        anni le avevano imprigionate.Grazie ad “Uscita dalla fabbrica” il pubblico dell’epoca 
        ebbe il privilegio di assistere alla nascita del cinema, in seguito definito 
        “settima arte” dallo studioso Ricciotto Canuto. Le proiezioni 
        dei Lumière proseguirono per molto tempo garantendo al cineasta 
        Louis il titolo di “cineasta documentarista”. In quegli anni 
        purtroppo la scienza non si era ancora spinta così avanti da garantire 
        l’invenzione del sonoro; per questo molti cortometraggi venivano 
        proiettati senza l’ausilio dei dialoghi, privati oltretutto, durante 
        la lavorazione di microfoni che oggi ci consentono di percepire i suoni 
        tipici degli ambienti interni (ed esterni) nei quali si svolge la scena.
 Negli anni ’20 la situazione resta immutata: gli spettatori continuano 
        ad assistere alla proiezione di film in bianco e nero con al loro interno 
        attori impegnati ad interpretare ruoli di ogni genere, in particolare 
        brevi narrazioni intrise di una delicata e genuina comicità. Nonostante 
        il pubblico offrisse volentieri il proprio denaro per assistere allo spettacolo 
        fornito da quella strabiliante invenzione, il cinema appariva povero o 
        meglio incompleto. Ogni vicenda rappresentata sullo schermo, per quanto 
        ben congegnata, risentiva della mancanza di un elemento che ancor oggi 
        viene considerato fondamentale per la riuscita di un film dal punto di 
        vista espressivo nonché emotivo: la musica.
 Negli anni ’20 lo strumento che ebbe il monopolio in molti lungometraggi 
        fu il pianoforte. Basti pensare ai capolavori di Murnau come “Nosferatu” 
        in cui le note provenienti dal medesimo strumento si alternavano in melodie 
        dai toni prima grotteschi poi frenetici, tese a seguire l’inquietante 
        attore tedesco Max Shrek nella sua interpretazione del celebre vampiro 
        che assicurò il successo allo scrittore Bram Stoker.
 Il pianoforte insomma resta uno strumento di grande impatto emotivo che 
        permise agli amanti del cinematografo di seguire le vicende dei propri 
        personaggi accompagnati da un tappeto musicale che scandiva i ritmi della 
        narrazione.
 Con l’invenzione del “chronophone” di Alice Guy, un 
        disco che finalmente permise la simbiosi fra movimenti e parlato, i lungometraggi 
        divennero completi ed ancor più affascinanti. La musica ovviamente 
        dovette stare al passo con la tecnologia. Dagli anni ’30 in poi 
        in pianoforte venne accompagnato, se non sostituito, da violini, archi, 
        oboe, piatti ecc. Basti pensare ai grandi capolavori come “Scarface” 
        di Howard Hawks in cui gli strumenti fanno da sfondo all’atmosfera 
        di sangue ed intrighi che caratterizzava il “gangster movie” 
        o ancora melodie colme di ilarità presenti in commedie come “A 
        qualcuno piace caldo” di Billy Wilder.
 Non passano certo inosservate le maestose melodie che colmavano la narrazione 
        ben strutturata di opere come “Quarto potere” di Orson Wellws 
        passando poi al colpo cadenzato sul tamburo di “Otello” dello 
        stesso cineasta che riempì la vicenda di un’atmosfera tribale 
        ed a tratti soprannaturale.
 Negli anni ’40 e ’50 gli strumenti di cui sopra giocarono 
        un ruolo fondamentale anche nei lungometraggi di produzione italiana come 
        “Roma città aperta” di Rossellini, “Ossessione” 
        di Luchino Visconti, senza eccezione per le commedie del grande Totò.
 Gli anni ’60 e ’70 rappresentarono l’ “era del 
        rock “, il periodo in cui un genere musicale così amato influenzò 
        profondamente gli stili di vita dei giovani nonché il loro modo 
        di porsi nei confronti della società. Da parte delle case di produzione 
        (e da parte degli stessi registi) divenne un’usanza l’utilizzo 
        di alcuni brani di celebri star della musica. Ben presto chitarre elettriche 
        semidistorte presero il posto di violini e violoncelli e ciò in 
        particolare avvenne negli anni ’80, periodo di maggior successo 
        per i film di azione e fantascienza (questi ultimi prodotti dalla Universal 
        Pictures) che utilizzarono più di una volta i successi di gruppi 
        heavy-metal o sintetizzatori e batterie elettroniche. Un esempio calzante 
        è “Beverly Hills Cop” la trilogia poliziesca che ha 
        reso celebre il comico Eddy Murphy grazie anche alla simpatica melodia 
        (da tutti conosciuta) ottenuta tramite un sintetizzatore.
 Dagli anni ‘90 invece, abbiamo assistito all’ “ascesa 
        al potere” della tecnologia in digitale che ha condizionato profondamente 
        sia il cinema che la musica stessa. Non più pellicola che riproduceva 
        la realtà circostante affrescandone i toni con sfumature nuove 
        ed incantevoli, ma cineprese che catturano, distruggono e ricreano un’immagine 
        fin troppo definita vicina ad una perfezione estetica mai ottenuta sino 
        ad ora.
 Non più il sound tipico di chitarre, batterie, tastiere, ma suoni 
        creati il più delle volte con l’utilizzo del computer. “Matrix” 
        ha rappresentato una svolta in questo senso: la colonna sonora è 
        costituita da suoni di chitarra elaborati così da creare un vero 
        e proprio “muro” sonoro di una potenza devastante (un esempio 
        è “Rock is dead” di Marylin Manson). Ciò non 
        toglie che il digitale offre notevoli vantaggi; difatti i film realizzati 
        con tale tecnica consentono un notevole risparmio rispetto alla pellicola, 
        cos’ che quest’ultima, per le produzioni europee, sembra già 
        un lontano ricordo, mentre l’Italia non ha ancora rinunciato alla 
        tradizione del lungometraggio girato in 35 mm.
 La tecnologia ha sicuramente fornito una marcia in più al cinema 
        ed alla musica ma ancora oggi esistono alcuni “gruppi” di 
        conservatori i quali sostengono che le nuove invenzioni abbiano inglobato 
        le arti di stereotipi e modelli lontani dalla realtà, privandole 
        della loro naturalezza e genuinità che possedevano una volta, mentre 
        ora appaiono prigioniere dell’artificio e privi di sostanza.
 Stefano 
        Stanzione 
 leggi 
        anche  
        http://www.offscreen.it/sight/sonoro.htm 
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