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cura di Alessio Sperati
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Dieci scene girate all'interno di un'auto che raccolgono i colloqui tra una donna iraniana e suo figlio, un' amica, ed altre persone conosciute per caso. Dieci momenti di pura quotidianità.
Un film contro i canoni, contro le aspettative comuni, contro il cinema. Girato in maniera quasi amatoriale, Dieci è stato presentato al Festival di Cannes di quest'anno destando un certo stupore per la sua particolarità. Kiarostami, dopo Close Up (1990), Il sapore della ciliegia (1997) ed Il vento ci porterà via (1999), si proclama ancora una volta come un autore schierato contro l'eccessiva commercializzazione della settima arte. La sinteticità della sua espressione richiama l'invito al minimalismo di Milan Kundera, mettendo in pratica un lavoro di cesello su dieci sequenze distinte ma contestuali, in una sorta di docu/film sulle esperienze quotidiane di una donna iraniana e del suo rapportarsi con il mondo che la circonda. Una dichiarazione d'indipendenza totale. La scomparsa della regia, l'abbandono di tutti gli elementi del cinema attuale rendono Dieci un film di puro artificio scenico, dove gli attori vengono lasciati liberi di esprimersi senza una sceneggiatura precisa, dove un bambino diviene l'espressione di tutti gli uomini ed una donna quella di tutte le donne del mondo.
Leggi l' intervista con Abbas Kiarostami
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