In una Los Angeles avvolta dall’intolleranza e dall’apatia, vengono a collidere varie storie: quella di un detective nero e della sua collega nonché sua amante; quella di un procuratore distrettuale e della sua moglie irrequieta; quella di un fabbro ispanico e della sua bambina; quella di due rapinatori afroamericani; quella di un regista televisivo e di sua moglie vittima di un abuso da parte di un poliziotto…

Durante gli ultimi anni il mondo ha visto aumentare a macchia d’olio abusi e atti vandalici legati al razzismo e ad un’intolleranza di massa. L’America,in particolare, è da sempre un paese dilaniato da lotte intestine a causa della sua natura multirazziale. Ciò,ovviamente,ha costretto i cittadini a vivere in un perenne stato di confusione e disagio,scatenando il più delle volte reazione polemiche da parte dell’opinione pubblica.
Un tale fenomeno sociologico ha raggiunto il suo culmine dopo l’attentato dell’undici settembre.
Il cinema non è mai rimasto indifferente ad una simile problematica e per anni e anni ha sfornato pellicole il cui tema centrale era costituito dai contrasti razziali,privilegiando quelli fra bianchi e neri. Tutto sembrava essere già stato detto,
tutte le storie sembravano esaurite,tutti i copioni sfruttati al massimo delle loro potenzialità. Ma qualcuno non era d’accordo; e quel qualcuno è lo scrittore Paul Haggis, il quale, circa un anno fa ha curato lo script di”Million dollar Baby”diretto da Clint Eastwood.
Stavolta l’autore non si contenta della penna e della carta per affrontare un argomento tanto discusso; è convinto che anche la macchina da presa possa assumere un’importanza fondamentale all’interno del suo lavoro, così da rafforzare l’impatto emotivo che spinge il pubblico non solo alla riflessione ma anche alla commozione. Haggis crea dei personaggi fragili, tormentati, spesso ironici e contradditori, personaggi che divengono i portavoce delle paure e della delusione da parte di milioni di americani. Le loro vite e le loro emozioni s’intrecciano in un raffinato gioco di intrecci, di incontri e di altrettanti abbandoni ma sempre uniti sotto la bandiera di una sofferta ricerca di umanità in simbiosi con un ostinato bisogno di calore umano. Un calore che sfida ogni regola, ogni convenzione sociale, quel calore che spinge ognuno di noi ad un contatto fisico che il più delle volte ci porta a scontrarci con il prossimo in maniera violenta fino a distruggerci. Ma non possiamo farne a meno perché fa parte della nostra natura, di quel nostro bisogno interiore che ci indirizza verso la ricerca di un rifugio sicuro all’interno di un mondo dove
Il benessere e il consumismo dominano incontrastati avvelenando il mondo con l’intolleranza e la superficialità.
Haggis sembra contestare la filosofia del regista Jacques Demì, appartenente al filone artistico denominato “nouvelle vague”esploso in Francia negli anni sessanta, che sosteneva una tesi pessimistica nei confronti dell’umanità il cui destino era votato al dolore poichè le vite degli uomini stessi non si incontravano mai.
L’autore di”Crash-contatto fisico”invece, sembra sostenere che non è il destino che opera a sfavore dei rapporti interpersonali, ma gli uomini stessi, troppo ripiegati sulla loro esistenza e sull’appagamento dei propri desideri. I personaggi di Haggis si odiano ma poi si amano, si lasciano ma si ritrovano; e questo non è il caso a volerlo ma la loro anima.
La sceneggiatura risulta piacevole e ben scritta accompagnata da inquadrature di buon gusto. Un ruolo fondamentale assume la musica: delicata, semplice, in grado di coinvolgere lo spettatore nelle sequenze di forte pathos.

Stefano Stanzione

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