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Regia: Sydney
Pollack
Cast: Nicole Kidman,Sean Penn,Jesper Christensen,Dana
Eskelson
Genere: Thriller
Distribuzione: Eagle Pictures
Giudizio: * * *
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Silvia
Broome lavora come interprete per le Nazioni Unite. Una sera viene a conoscenza
di un complotto ai danni di un capo di stato africano in occasione dell’assemblea
generale. La vita di Silvia, da questo momento, non sarà più
la stessa. Deve convincere Tobias Keller, un agente della CIA, della veridicità
delle sue rivelazioni e preservare la sua incolumità dalle minacce
degli autori del complotto medesimo.
Sydney Pollack immerge lo spettatore in un luogo assai
affascinante quanto insolito per un thriller: Il palazzo dell’ONU.
In questo ambiente, inserisce due attori di un certo calibro come Sean
Penn e Nicole Kidman che interpretano due personaggi malinconici, provati
dalle sofferenze della vita, caratterialmente diversi ma umanamente simili.
E la loro umanità emerge nell’ultimo atto, quando la narrazione
rende ancor più chiaro il tema trattato, ossia quello della futilità
della vendetta in contrasto con il difficile quesito: è davvero
così semplice riuscire a perdonare coloro che ci hanno strappato
dalle braccia i nostri cari?
Nel copione sembra emergere ancora una volta l’amarezza da parte
dell’America a causa dell’attentato dell’undici settembre
e durante lo svolgersi della vicenda, si ha come l’impressione che
agli scrittori prema inviare un messaggio al pubblico: le ingiustizie
e gli abusi da parte del potere, recano solo dolore e lasciano negli animi
un’enorme amarezza che è difficile cancellare e che dà
sfogo a reazioni negative; reazioni sanguinose che il più delle
volte ricadono sugli innocenti.
Sydney Pollack
sembra apprezzare i copioni che racchiudono un tema non solo morale ma
anche politico e sociale. Nonostante in questi ultimi anni vi sia stata
l’esplosione di lungometraggi come”Seven”, ”Il
collezionista di ossa”, “The ring”, pellicole definite
thriller ma con una matrice del tutto orrorifica, il regista statunitense
non si è dislocato dal suo interesse per un giallo dai ritmi cadenzati
e lenti, uniti a colpi di scena poco pretenziosi; il tutto per lasciar
spazio alle difficoltà che attraversano i personaggi nel corso
della vicenda e ad una trama dallo schema intrecciato. Schemi riscontrati
in pellicole come”Il socio”e l’intramontabile”I
tre giorni del condor”.
Pollack ama i movimenti di macchina fluidi e precisi, con pochi carrelli
e numerosi campi lunghi. Una scelta che in questo caso appare sensata
poiché lo scopo del regista è quello di far sì che
la macchina da presa si appropri dello stato d’animo dei protagonisti
e dei loro drammi per poi e renderlo palpabile e agibile al pubblico.
Drammi che in un certo senso appartengono ad ognuno di noi e in particolare
a tutti coloro che hanno perduto i propri familiari o amici.
Il lungometraggio di Pollack si pone come un apologo sul male e non fa
altro che interpretare, appunto, l’amarezza e lo smarrimento che
più hanno caratterizzato e ancora caratterizzano quest’ultimo
secolo.
Stefano Stanzione
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