VetrinaCinema
a cura di Marzia Serra , Laura Nuti e Stefano Stanzione
   

 

The Interpreter

Regia: Sydney Pollack
Cast: Nicole Kidman,Sean Penn,Jesper Christensen,Dana Eskelson
Genere: Thriller
Distribuzione: Eagle Pictures
Giudizio: * * *

Nicole KidmanSilvia Broome lavora come interprete per le Nazioni Unite. Una sera viene a conoscenza di un complotto ai danni di un capo di stato africano in occasione dell’assemblea generale. La vita di Silvia, da questo momento, non sarà più la stessa. Deve convincere Tobias Keller, un agente della CIA, della veridicità delle sue rivelazioni e preservare la sua incolumità dalle minacce degli autori del complotto medesimo.

Sydney Pollack immerge lo spettatore in un luogo assai affascinante quanto insolito per un thriller: Il palazzo dell’ONU. In questo ambiente, inserisce due attori di un certo calibro come Sean Penn e Nicole Kidman che interpretano due personaggi malinconici, provati dalle sofferenze della vita, caratterialmente diversi ma umanamente simili. E la loro umanità emerge nell’ultimo atto, quando la narrazione rende ancor più chiaro il tema trattato, ossia quello della futilità della vendetta in contrasto con il difficile quesito: è davvero così semplice riuscire a perdonare coloro che ci hanno strappato dalle braccia i nostri cari?
Nel copione sembra emergere ancora una volta l’amarezza da parte dell’America a causa dell’attentato dell’undici settembre e durante lo svolgersi della vicenda, si ha come l’impressione che agli scrittori prema inviare un messaggio al pubblico: le ingiustizie e gli abusi da parte del potere, recano solo dolore e lasciano negli animi un’enorme amarezza che è difficile cancellare e che dà sfogo a reazioni negative; reazioni sanguinose che il più delle volte ricadono sugli innocenti.
Sean PennSydney Pollack sembra apprezzare i copioni che racchiudono un tema non solo morale ma anche politico e sociale. Nonostante in questi ultimi anni vi sia stata l’esplosione di lungometraggi come”Seven”, ”Il collezionista di ossa”, “The ring”, pellicole definite thriller ma con una matrice del tutto orrorifica, il regista statunitense non si è dislocato dal suo interesse per un giallo dai ritmi cadenzati e lenti, uniti a colpi di scena poco pretenziosi; il tutto per lasciar spazio alle difficoltà che attraversano i personaggi nel corso della vicenda e ad una trama dallo schema intrecciato. Schemi riscontrati in pellicole come”Il socio”e l’intramontabile”I tre giorni del condor”.
Pollack ama i movimenti di macchina fluidi e precisi, con pochi carrelli e numerosi campi lunghi. Una scelta che in questo caso appare sensata poiché lo scopo del regista è quello di far sì che la macchina da presa si appropri dello stato d’animo dei protagonisti e dei loro drammi per poi e renderlo palpabile e agibile al pubblico. Drammi che in un certo senso appartengono ad ognuno di noi e in particolare a tutti coloro che hanno perduto i propri familiari o amici.
Il lungometraggio di Pollack si pone come un apologo sul male e non fa altro che interpretare, appunto, l’amarezza e lo smarrimento che più hanno caratterizzato e ancora caratterizzano quest’ultimo secolo.

Stefano Stanzione

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