VetrinaCinema
a cura di Marzia Serra , Laura Nuti e Stefano Stanzione
   

 

Modigliani - I Colori dell'Anima

Regia: Omar Naim
Cast: Robin Williams, Mira Sorvino, Jim Caviezel
Genere: Dramma Storico
Distribuzione: Istituto Luce
Giudizio: * *

 

modigliani i colori dell'animaParigi anno 1919.
Al “Caffè Rotonde” artisti come Cocteau, River, Utrillo, trascorrono le serate discorrendo e scherzando fra loro in compagnia di donne, amici intimi e bicchieri di vino.
Tra di essi si distinguono Pablo Ricasso ed il livornese Amedeo Modigliani. Giovani, talentuosi, ribelli ed ambiziosi, i due pittori sono in continuo contrasto tra loro, sempre pronti a sbeffeggiarsi l’un l’altro sia sul piano artistico che a livello umano.
Ma la vita del pittore italiano è sconvolta da tragici eventi: la malattia polmonare che lo affligge fin dall’età puerile e la sua tormentata relazione con la bella e fragile Jeanne con la quale ha generato una figlia, strappatagli dal padre della stessa Jeanne che appare restio a consentire l’unione tra la figlia e l’ebreo Modì.
Il regista Mick Davis riporta sullo schermo uno degli artisti che maggiormente hanno influenzato l’arte pittorica del XX° secolo, ponendosi come uno dei precursori dell’espressionismo. L’attore scelto per il ruolo del pittore livornese è Andy Garcia (“Gli occhi del delitto” “Amarsi” “Prove apparenti”) dall’indiscutibile talento ma che appare inadatto nei panni dell’artista buffone e presuntuoso. Garcia adotta la sua solita espressione malinconica e apatica, caratteristica peculiare che ha dato sempre ottimi risultati per quanto concerne l’accostamento e l’immedesimazione nei personaggi che si è trovato ad interpretare nel corso degli anni; ma in questa sua ultima interpretazione risulta inefficace.
La gestualità esagerata, i dialoghi fin troppo forbiti, intrisi di uno stampo recitativo proteso ad un’enfatizzazione che ricorda le battute di copioni come “Il Signore degli anelli” e “La passione di Cristo” , rimangono imprigionati nella loro cornice filmica, risultando grotteschi e poco coinvolgenti.
Per quanto concerne il linguaggio cinematografico sono presenti elementi alquanto discutibili come i flash-back che riportano il pittore livornese alla sua triste infanzia, ottenuti tramite un effetto di montaggio che ricorda thriller/horror come “Seven” e “Nameless”.
A questo si aggiunge una musica spesso invadente che non lascia spazio a momenti di silenzio e riflessione. Del tutto stravagante la scelta del regista di alternare “le vie en rose” con brani etnici e rap.
Davis, in un’intervista rilasciata qualche tempo fa, ha giustificato tale scelta affermando che Ricasso, Rivera, Soutin “rappresentavano il rock dell’epoca”. Una visione artistica fortemente personale e che durante la proiezione appare curiosa e, perché no, anche innovativa.
C’è da dire, però, che l’artista vero e proprio, non si limita a ripiegarsi su se stesso ed a rappresentare il mondo in un contesto puramente soggettivo ma, al contrario, ciò che vede, ciò che sente lo rende oggettivo, quindi agibile a coloro che lo circondano.
Nella colonna sonora di Modigliani, come del resto in tutto il film, ciò non accade. Dopo un’ora e trenta di violini e violoncelli che alternano note malinconiche ed energiche, ecco che all’approssimarsi della gara, mentre tutti i pittori sono intenti alla lavorazione dei loro dipinti, piomba l’ ”Ave Maria” cantata in latino, supportata da una ritmica rap.
Altre considerazioni vertono ancora sull’aspetto visivo e su altre scelte linguistiche e stilistiche come la fotografia.Vi è un utilizzo delle luci e dei colori che rimanda a film come “21 grammi” o “se mi lasci ti cancello” in simbiosi ad una regia che si alterna tra macchina a spalla, panoramiche a schiaffo e qualche carrello di troppo.
Guardando il girato di Mick Davis, infatti, sembra che il regista sia rimasto affascinato dalle pellicole di cui sopra ed abbia tentato di riproporre quelle stesse scelte linguistiche nel suo lungometraggio. Tentativo che lascia alquanto perplessi .
Ben poco da dire sulla sceneggiatura che ha lasciato troppo spazio alla finzione. Davis (che ha anche curato lo script) ha eliminato l’esperienza che il pittore livornese ebbe con la scultura nel 1909. Inoltre, durante la proiezione, Davis insiste sulla mala sorte di Modigliani che non riesce ad esporre i suoi quadri in alcuna mostra. Ciò non appare vero poiché nel 1912 sette sculture dell’artista (teste di donna e alcuni nudi definiti “cariatidi”) vengono presentati al Salon d’Autumne. Da non dimenticare il 1917, anno in cui presso la Galleria Berte Weill viene presentato il ciclo dei nudi femminili distesi che suscita molto scandalo.
modigliani i colori dell'animaMa l’ obiettivo del regista sembra un altro: non mostrare ma esasperare il lato oscuro di Modigliani che lo porta all’eccesso di alcool e droghe.
Se come al solito vengono poco sfruttati spunti interessanti come la figura del Modigliani bambino che nella narrazione appare come mentore del protagonista, la nostalgia della madre e della propria città, il vivo interesse del pittore di dipingere ciò che sente e non ciò che vede, grande spazio ottengono invece le sequenze in cui il pittore devasta il proprio organismo con litri e litri di vino rosso e droghe.
Così il Modigliani di Davis diviene una sorta di “Jim Morrison versione ottocentesca” che riporta in auge il mito ormai divenuto banale e stancante dell’artista squattrinato, esuberante, schiavo dell’alcool e di stupefacenti. Un vero e proprio inno al celebre movimento letterario degli “scapigliati”, affascinante all’epoca ma che al giorno d’oggi ha perso la sua attrattiva poiché per divenire grandi artisti non occorre a tutti i costi essere ricordati per problemi di alcolismo e incapacità di gestire il patrimonio economico.
In conclusione il plot appare poco appassionante, piuttosto prevedibile nonché contornato da sequenze a volte patetiche come il monologo iniziale della bella Jeanne e la sua passeggiata in compagnia del proprio uomo in una stradina buia fuori del caffè Rotonde, ottenuta tramite il rallenty, in cui Andy Garcia intrattiene il pubblico con un balletto alquanto strambo con il risultato di ottenere una sequenza priva di significato.
Ad ogni modo è da apprezzare l’intento del regista di proporre al pubblico una pellicola con la pittura come tema centrale ma soprattutto il suo interesse per l’artista nostrano a testimonianza che a distanza di molti anni, l’Italia è ancora in grado di affascinare le popolazione europee con la sua ricchezza culturale ed artistica.


Stefano Stanzione

 


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