|
|
Modigliani - I Colori dell'Anima |
Regia: Omar
Naim
Cast: Robin Williams, Mira Sorvino, Jim Caviezel
Genere: Dramma Storico
Distribuzione: Istituto Luce
Giudizio: * *
|
Parigi
anno 1919.
Al “Caffè Rotonde” artisti come Cocteau, River, Utrillo,
trascorrono le serate discorrendo e scherzando fra loro in compagnia di
donne, amici intimi e bicchieri di vino.
Tra di essi si distinguono Pablo Ricasso ed il livornese Amedeo Modigliani.
Giovani, talentuosi, ribelli ed ambiziosi, i due pittori sono in continuo
contrasto tra loro, sempre pronti a sbeffeggiarsi l’un l’altro
sia sul piano artistico che a livello umano.
Ma la vita del pittore italiano è sconvolta da tragici eventi:
la malattia polmonare che lo affligge fin dall’età puerile
e la sua tormentata relazione con la bella e fragile Jeanne con la quale
ha generato una figlia, strappatagli dal padre della stessa Jeanne che
appare restio a consentire l’unione tra la figlia e l’ebreo
Modì.
Il regista Mick Davis riporta sullo schermo uno degli artisti che maggiormente
hanno influenzato l’arte pittorica del XX° secolo, ponendosi
come uno dei precursori dell’espressionismo. L’attore scelto
per il ruolo del pittore livornese è Andy Garcia (“Gli occhi
del delitto” “Amarsi” “Prove apparenti”)
dall’indiscutibile talento ma che appare inadatto nei panni dell’artista
buffone e presuntuoso. Garcia adotta la sua solita espressione malinconica
e apatica, caratteristica peculiare che ha dato sempre ottimi risultati
per quanto concerne l’accostamento e l’immedesimazione nei
personaggi che si è trovato ad interpretare nel corso degli anni;
ma in questa sua ultima interpretazione risulta inefficace.
La gestualità esagerata, i dialoghi fin troppo forbiti, intrisi
di uno stampo recitativo proteso ad un’enfatizzazione che ricorda
le battute di copioni come “Il Signore degli anelli” e “La
passione di Cristo” , rimangono imprigionati nella loro cornice
filmica, risultando grotteschi e poco coinvolgenti.
Per quanto concerne il linguaggio cinematografico sono presenti elementi
alquanto discutibili come i flash-back che riportano il pittore livornese
alla sua triste infanzia, ottenuti tramite un effetto di montaggio che
ricorda thriller/horror come “Seven” e “Nameless”.
A questo si aggiunge una musica spesso invadente che non lascia spazio
a momenti di silenzio e riflessione. Del tutto stravagante la scelta del
regista di alternare “le vie en rose” con brani etnici e rap.
Davis, in un’intervista rilasciata qualche tempo fa, ha giustificato
tale scelta affermando che Ricasso, Rivera, Soutin “rappresentavano
il rock dell’epoca”. Una visione artistica fortemente personale
e che durante la proiezione appare curiosa e, perché no, anche
innovativa.
C’è da dire, però, che l’artista vero e proprio,
non si limita a ripiegarsi su se stesso ed a rappresentare il mondo in
un contesto puramente soggettivo ma, al contrario, ciò che vede,
ciò che sente lo rende oggettivo, quindi agibile a coloro che lo
circondano.
Nella colonna sonora di Modigliani, come del resto in tutto il film, ciò
non accade. Dopo un’ora e trenta di violini e violoncelli che alternano
note malinconiche ed energiche, ecco che all’approssimarsi della
gara, mentre tutti i pittori sono intenti alla lavorazione dei loro dipinti,
piomba l’ ”Ave Maria” cantata in latino, supportata
da una ritmica rap.
Altre considerazioni vertono ancora sull’aspetto visivo e su altre
scelte linguistiche e stilistiche come la fotografia.Vi è un utilizzo
delle luci e dei colori che rimanda a film come “21 grammi”
o “se mi lasci ti cancello” in simbiosi ad una regia che si
alterna tra macchina a spalla, panoramiche a schiaffo e qualche carrello
di troppo.
Guardando il girato di Mick Davis, infatti, sembra che il regista sia
rimasto affascinato dalle pellicole di cui sopra ed abbia tentato di riproporre
quelle stesse scelte linguistiche nel suo lungometraggio. Tentativo che
lascia alquanto perplessi .
Ben poco da dire sulla sceneggiatura che ha lasciato troppo spazio alla
finzione. Davis (che ha anche curato lo script) ha eliminato l’esperienza
che il pittore livornese ebbe con la scultura nel 1909. Inoltre, durante
la proiezione, Davis insiste sulla mala sorte di Modigliani che non riesce
ad esporre i suoi quadri in alcuna mostra. Ciò non appare vero
poiché nel 1912 sette sculture dell’artista (teste di donna
e alcuni nudi definiti “cariatidi”) vengono presentati al
Salon d’Autumne. Da non dimenticare il 1917, anno in cui presso
la Galleria Berte Weill viene presentato il ciclo dei nudi femminili distesi
che suscita molto scandalo.
Ma
l’ obiettivo del regista sembra un altro: non mostrare ma esasperare
il lato oscuro di Modigliani che lo porta all’eccesso di alcool
e droghe.
Se come al solito vengono poco sfruttati spunti interessanti come la figura
del Modigliani bambino che nella narrazione appare come mentore del protagonista,
la nostalgia della madre e della propria città, il vivo interesse
del pittore di dipingere ciò che sente e non ciò che vede,
grande spazio ottengono invece le sequenze in cui il pittore devasta il
proprio organismo con litri e litri di vino rosso e droghe.
Così il Modigliani di Davis diviene una sorta di “Jim Morrison
versione ottocentesca” che riporta in auge il mito ormai divenuto
banale e stancante dell’artista squattrinato, esuberante, schiavo
dell’alcool e di stupefacenti. Un vero e proprio inno al celebre
movimento letterario degli “scapigliati”, affascinante all’epoca
ma che al giorno d’oggi ha perso la sua attrattiva poiché
per divenire grandi artisti non occorre a tutti i costi essere ricordati
per problemi di alcolismo e incapacità di gestire il patrimonio
economico.
In conclusione il plot appare poco appassionante, piuttosto prevedibile
nonché contornato da sequenze a volte patetiche come il monologo
iniziale della bella Jeanne e la sua passeggiata in compagnia del proprio
uomo in una stradina buia fuori del caffè Rotonde, ottenuta tramite
il rallenty, in cui Andy Garcia intrattiene il pubblico con un balletto
alquanto strambo con il risultato di ottenere una sequenza priva di significato.
Ad ogni modo è da apprezzare l’intento del regista di proporre
al pubblico una pellicola con la pittura come tema centrale ma soprattutto
il suo interesse per l’artista nostrano a testimonianza che a distanza
di molti anni, l’Italia è ancora in grado di affascinare
le popolazione europee con la sua ricchezza culturale ed artistica.
Stefano Stanzione
Per gli indirizzi e i recapiti dei cinema visita
LOCALITALIA - Cinema --> Clicca
qui!
Vuoi visitare i siti degli attori e del regista
di questo film? SITI V.I.P. --> Clicca
qui!
|