VetrinaCinema |
a
cura di Alessio Sperati
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Il
trovarsi di fronte ad un maestro crea sempre una certa emozione, specialmente
dopo aver assistito alla sua ultima espressione artistica, Femme Fatale,
un thriller ambientato a Parigi con Antonio Banderas e la bellissima
Rebecca Romijn-Stamos.
Questo film è stato per lei lo spunto per una riflessione sul cinema, per la riscoperta del genere "noir" e per il gusto della citazione: da dove proviene questa magia cinematografica? Ho sempre voluto realizzare un "noir", trovo che sia una forma estremamente interessante. Tutti quei film con la Stanwyck o la Hayworth, sembrano tutti una specie di sogno; mi è venuta l'idea di narrare una favola "noir" immaginando di ampliare una sequenza di uno di quei film. L'idea di questa "femme fatale" coinvolta in un grosso colpo, che tradisce tutti i suoi soci sparendo con tutti i soldi Un' idea che ho nutrito per anni.
Come mai ha scelto la città di Parigi per ambientare la vicenda, quali suggestioni le ha dato la città francese? Il film è nato in un momento di serenità, non è stato pianificato moltissimo. Sono stato a Parigi per trascorrere un po' di tempo con dei miei amici di lì e mentre ero nella mia stanza d'albergo, alcune idee si sono assemblate per dar vita a qualcosa di più complesso. La prima stesura del soggetto prevedeva un'ambientazione americana ed il colpo doveva avere luogo nel Casinò di una nave da crociera, poi sono venuto a Parigi, sono stato al Festival di Cannes ed ho notato l'eccessiva attenzione per i gioielli di mia moglie, avevamo una guardia del corpo per ogni mezzo milione di dollari indossato da mia moglie. A quel punto ho pensato "non sarebbe meglio questa come ambientazione?"
Questo disseminare citazioni lungo la strada, fa parte di un suo piacere professionale? Voi critici avete la tendenza a farvi trascinare troppo da questo cliché. In Femme Fatale l'unico riferimento specifico è a La fiamma del peccato di Billy Wilder ed è posto volutamente all'inizio del film per avvisare subito lo spettatore di quello che sta per vedere. I riferimenti possono essere moltissimi, ma spesso sono nell'occhio di chi guarda, non in quello del realizzatore.
Vuol
dire che non c'è nulla del cinema di Kieslowski?
Parliamo un po' della differenza che intercorre tra il guardare e l'apparire. Da dove nasce questo tipo di "voyeurismo cinematografico" che la contraddistingue da sempre? Non voglio calarmi nei panni del professore di cinema, ma dovrò farlo un pochino. Io sono costantemente alla ricerca di nuovi modi visivi per raccontare le storie. Uno degli elementi fondamentali del cinema è l'inquadratura, il punto di vista. Il poter variare il punto di vista è caratteristico del cinema, non esiste in nessun' altra forma d'arte. Il pubblico deve avere lo stesso punto di vista del protagonista, ecco il motivo di tanti primi piani e soggettive.
Come ha scelto gli attori? Devo dire che siamo stati molto fortunati ad avere Banderas, ma credo ci sia stato lo zampino di Melanie. Considerato che Melanie ha trascorso delle ottime esperienze con me in Omicidio a luci rosse e ne Il falò delle vanità, credo che gli abbia detto: "vai e fidati di lui". E Banderas è divenuto una componente del film veramente favolosa. Per quanto riguarda il ruolo femminile, abbiamo cercato dappertutto, dalle stelle alle perfette sconosciute e ci stavamo concentrando su un'attrice inglese di fiction televisive, ma non siamo riusciti a portarla via. Poi il mio produttore Tarak Ben Ammar ha incontrato John McTiernan, il quale le ha presentato Rebecca, lui ne è rimasto incantato e l'ha portata da me. Io le ho fatto il provino ed ho detto: "è lei!".
Il suo rapporto con Martin Scorsese va avanti dai tempi della scuola di cinematografia, mi dice qualcosa di più sulla vostra amicizia? Noi due veniamo dalla generazione del cinema 'scolastico'. Io ho frequentato per due semestri e mi ricordo quando Martin era seduto accanto a me a montare il suo primo film; era il 1963. Poi siamo andati insieme alla Warner all'inizio degli anni '70, tutti con film parimenti disastrosi. Poi negli anni a seguire abbiamo creato una specie di alleanza rimanendo molto vicini.Proprio pochi giorni fa abbiamo festeggiato il suo compleanno. Queste ricorrenze sono un'ottima cosa per rivedere persone che non vedi molto spesso.
Lei che frequenta molto i Festival di tutto il mondo, cosa pensa delle nuove generazioni di cineasti? Ce ne sono alcuni molto bravi. Paul Anderson l'ho incontrato fuori da un cinema, e ci siamo messi a parlare riguardo l'aver ingaggiato lo stesso attore. Trovo inoltre i fratelli Cohen molto interessanti. Ci sono moltissime nuove voci interessanti e credo che l'Europa sia un'ampia riserva di talenti. Cosa ama di più dell'Italia? Mio
padre è pugliese, e mia madre, che fa Muti di cognome, è
Milanese.
Come vive le tensioni politiche del suo paese? Devo ammettere che è stato un sollievo per me uscire dall'America, perché i tamburi di guerra si fanno sentire molto forti laggiù.Quando si esce dai confini del proprio paese, si ha una visuale più equilibrata della situazione. Io oltretutto amo molto viaggiare, per conoscere diverse culture e per scoprire paesaggi che possono offrire ispirazione per nuove immagini.
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