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a cura di Alessio Sperati
  


La vera storia di C.F.Peters e dell'abate Stupendo

Il vero Christian Frederick Peters morì a Clinton (Stati Uniti) quarant'anni dopo tali eventi. In tutto questo tempo acquisì moti meriti astronomici di cui sarebbe potuto andar fiero agli occhi del suo amato/odiato Wittelsberg (che nel mio racconto solo in pochi dettagli ricalca la figura del barone Sartorius, insigne astronomo tedesco realmente vissuto). Il vero Peters scoprì infatti un paio di satelloidi, identificò quarantotto pianetini e prese parte alla storica spedizione in Nuova Zelanda per osservare il passaggio di Venere davanti al disco del Sole, appuntamento astrale che si verifica ogni 144 anni.
Non so quanto possa accettarsi invece l'ipotesi confusamente tramandata secondo cui negli anni dei moti risorgimentali, diversamente dal mio malinconico e turbato personaggio tornatosene per sempre a Flensburg, il vero Peters fu rivisto in Italia tra i rivoluzionari di Messina e di Catania, diresse le fortificazioni di quelle città ribelli con il grado di maggiore dell'armata siciliana. Tornati i Borboni fece appena in tempo - si dice - a fuggire in Francia, passando per Malta è un fatto che intorno agli Anni Cinquanta di quel secolo l'Accademia degli Zelanti di Acireale lo volle annoverare tra i suoi soci corrispondenti. Nel periodo in cui attendeva alla meridiana egli fu ospite di quando in quando del barone Calì Sardo, "che valeva da solo una biblioteca", immune da stupidità paysanne; di Peters comunque si conservò a lungo in Sicilia buona memoria: quando giunse nell'isola la notizia della sua morte la Gazzetta siciliana del 1883 gli dedicò un "breve e commosso necrologio".
Ebbi infine un'idea del porto di Catania come lo vide Peters il giorno in cui si separò da Wittelsberg imbattendomi in una calotipia - raro modo di fotografare successivo al dagherrotipo, preso abbandonato - dal reverendo George Bridges, ultimo viaggiatore inglese del Grand Tour in età romantica. E' probabilmente la prima fotografia dedicata alla Sicilia da un inglese. Il molo, il palazzo Biscari sullo sfondo e, a sinistra,. l'intrecciarsi disordinato del sartiame di maestra e di trinchetto su un veliero all'ormeggio compongono un'immagine di abbandono e confusione, di luogo remoto, un "autre" da tutto.
Il padre Stupendo non divenne mai vescovo. Gli jacitani dovettero aspettare sino al 1872 quando, trionfando sulle invidiose trame della diocesi catanese ( i vicini di mezzogiorno) in obbedienza tardiva di una bolla papale che cominciava con un rotondo "QUODCUMQUE UTILIS VIDERIMUS…", discese da un vagone riccamente addobbato alla stazione di Acireale - sulla linea ferroviaria Messina-Catania, da poco inaugurata - l'eccellentissimo Gerlando Maria Genuardi, primo sospirato pastore della novella diocesi. Fu "un tripudio di popolo commosso e riconoscente" Sino ad allora il buon popolo di Jaci-la-reale, oltre che dei piccoli vescovi di zucchero , fabbricati per buon auspicio dai suoi rinomati confettieri , aveva dovuto accontentarsi di un vescovo di tela, pietra e stucco, ossia del ritratto annerito dal fumo delle candele che sormonta nella Chiesa Matrice il sepolcro di un prelato secentesco di gran nome, nipote di un Grande di Spagna, don Ottavio Branciforte principe di Cammarata. Un vescovo autentico ma di Cefalù, sull'altra costa.
Fu costui vanitoso autore nel 1642 di un curioso trattatello sulla concupiscenza dal titolo che a me risulta vagamente presago: "Le perturbazioni di un vescovo siciliano " dove nella sezione Quarta della Prima Parte , dedicata alle perturbazioni provenienti dalle donne (de mulieribus perturbationis) citando l'autorità di vari autori, soprattutto del "lodato Tiraquellus", sostiene che di perturbazioni, compresi tutti i sette vizi capitali esse ne suscitano innumerevoli, un'armata diabolica (et ex hoc in illa exercitus perturbationum) e che per questo la donna è più cattiva di ciò che è cattivo (mulier malis rebus peior). Quattro anni dopo il vescovo Branciforte, deluso per non essere stato nominato cardinale dal suo amico e protettore Giambattista Pamphili diventato papa Innocenzo X, morì di apoplessia ad Acireale dove si era ritirato per dispetto. E per caso. Oppure per incarnare un segno del destino?
Poche notizie invece si hanno invece del padre Smeraldo, al secolo don Domenico Smeraldi, canonico. Risulta solamente che incaricò "per codicillo al piede del suo testa,mento eredi e confratelli di recitare per lo spazio di anni dieci al costumato modo, nel giorno anniversario di sua morte, tutto l'officio divino in coro, a suffragio dell'anima sua ed in onor di Dio". E' quindi ormai da molto tempo che egli è stato dimenticato dalla SacraComarca del capitolo canonico di Jaci-la-reale.
Nei registri di sacrestia e negli archivi del vecchio Decurione intanto, occhi amichevoli riconoscevano quei conteggi e quelle rapide misure stellate di note a margine con cui Peters teneva d'occhio il procedere dei lavori alla merdiana della Chiesa Matrice. Su altre pagine, nere di parole in fila come formiche, lo sfilare sussultante dei 'tarì' e delle 'onze' pagate a Paters, al 'mastro' che contribuì all'opera edificatoria, al marinaio don Mariano Grasso che trasportò sul suo barcone i preziosi marmi. E' questa la trasparente griglia numerica che consentì la traduzione dei fatti in romanzeria. Le griglie, come veli, sbarre carcerarie e grate di convento, nel giuoco dei pieni e dei vuoti lasciano invoglianti buchi da riempire. Oppure, quando il buio è più grande e pauroso, si fa come i ciechi che ottengono lo stesso risultato tastando avidamente le sinuosità, le rughe, le mollezze e gli improvvisi turgori ancora lancinanti della realtà che non vedono, ravvisandovi storie di ribellioni, di intrighi e passioni civili o ancora amori intolleranti, manie, razzismi mascherati, roghi. A ben vedere, del resto, nessun libro nasce dal nulla.


Vanni Ronsisvalle
dalla postfazione al romanzo

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