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a Vincenzo Cerami Vincenzo
Cerami: nel cinema o nella letteratura, sempre un grande narratore Vincenzo
Cerami è scrittore di successo e sceneggiatore da premio Oscar. È uno dei fiori all'occhiello del mondo culturale italiano
più aperto al panorama internazionale. Eppure la sua formazione originaria è stata "di borgata", con un insegnante d'eccezione,
però: Pier Paolo Pasolini. E la sua vocazione di narratore lo ha aiutato nel lavoro cinematografico, come lui stesso ci racconta in questa intervista. Lei ha scritto molto per il cinema. Ma ha scritto anche bellissimi
libri. Che differenza c'è tra la scrittura cinematografica e quella
tradizionale? La differenza, si intuisce, è enorme. Perché quando immagino
una storia per il cinema la immagino come una sequenza di scene visibili,
che si percepiscono tutte attraverso l'organo della vista: debbo riuscire
a raccontare i personaggi dal loro modo di muoversi, dal loro modo di
agire, dal loro modo di fare, più che dal loro pensiero, perché
il pensiero nel cinema non c'è. Mentre quando scrivo una storia
per la letteratura l'atteggiamento è tutt'altro. L'immagine non
c'è e va eventualmente evocata attraverso la parola, scritta in
silenzio per essere a sua volta letta in silenzio con una retorica molto
sua e particolare. La scrittura letteraria è più faticosa.
Devo riuscire a descrivere l'immagine del volto di un personaggio, far
intuire il suo pensiero, descrivere il decor intorno a questi personaggi,
far sentire gli odori, le profondità... Per questo è più
difficile. È tutto attraverso la scrittura, mentre in sceneggiatura
la scrittura non conta: si scrive solo alla fine; quando hai tutti gli
appunti, in una settimana scrivi. C'è una grande differenza. Eventualmente
qualche affinità potrebbe esserci solo nella concezione di una
storia, nell'idea originaria di voler scrivere una storia. Alla fine posso
fare cinema in quanto scrittore, ma soprattutto perché più
che scrittore mi sento un narratore. Sono uno scrittore-narratore non
faccio divagazioni sui temi ma racconto delle storie. Il narratore è
più vicino al cinema di uno scrittore. Per la letteratura lei scrive
spesso storie molto drammatiche (cito solo l'episodio del Canaro in Fattacci).
Nelle sceneggiature mi pare prevalga l'ironia, penso a Il Mostro di Benigni
che è molto "lieve"... Non farei questo esempio perché
Il Mostro è tutt'altro che lieve. È stato trasposto in maniera
lieve, ma in realtà è la tragedia di un uomo completamente
disadattato, succube del condominio. Inoltre in cinema non ho lavorato
solo con Benigni, perché ho fatto tre film con Gianni Amelio, due
con Bellocchio... insomma ho fatto molti film drammatici. Con Benigni
o Albanese ho un personaggio-maschera, quindi lavoro drammaturgicamente
su figure molto particolari e in quel caso si deve assumere uno stile particolare. Ma modifico lo stile in base al materiale
che ho a disposizione. D'altra parte bisogna tener presente che i film
comici quando si pensano, quando si concepiscono, non sono comici. Le
idee non sono comiche. Comico è il risultato di come hai raccontato
un fatto. Se io racconto le comiche di Chaplin posso anche far piangere,
perché è un povero barbone bistrattato da tutti, disoccupato
che per mangiare deve rubare le salsicce, ma che dopo deve pagare perché
lo inseguono i poliziotti e che non ha amicizie se non con un cane... E quindi sono cose spaventose, no? Ha riferimenti letterari particolari, libri letti nell'adolescenza
o nella prima giovinezza che l'hanno formata? E ssendo un narratore preferisco i narratori, quindi tutto il romanzo
russo, tutto il romanzo francese, il romanzo inglese. Non faccio "letteratura letteraria", cerco il racconto, quindi amo
soprattutto questi autori. Da un punto specifico della poetica, invece,
viaggio tra alcuni opposti, da Pinocchio a Kafka, oppure a Tozzi. Credo
che questa parte di secolo l'estetica sia tutta basata sull'attraversamento
in verticale degli stili e dei generi. Per cui nei testi c'è insieme
ironia, comicità, cattiveria, violenza e c'è il sublime
e lo sporco. Anche quando faccio il teatro musicale metto insieme Bach
e lo Zecchino d'Oro. Mi piace fare questi pastiche. Estremi che si toccano.
S i toccano perché sono il risultato del mondo nel quale viviamo. Viviamo nel flusso, adesso. Viviamo in un flusso, in cui oggi c'è
un'immagine violenta, domani un'immagine becera, dopodomani un'immagine
infantile. È come un grande carosello in cui noi siamo dentro e
non c'è più l'opera chiusa: è un andare, un andare continuo dentro
questo flusso. Come si colloca oggi l'Italia nel panorama culturale internazionale? V a un po' per settori. Per quanto riguarda il cinema la crisi è
enorme. A parte l'isola felice del film La vita è bella, è
in un momento molto, molto difficile. Mi viene ogni tanto lo sconforto fino
al punto di dire che forse il cinema italiano non esiste più. Noi
facciamo finta che ci sia ma forse non c'è più. Per quanto
riguarda la letteratura, c'è una maggiore vitalità rispetto
a prima per il semplice fatto che adesso gli scrittori italiani giovani
hanno a disposizione una "mezza" lingua nazionale con cui poter
lavorare narrativamente. Mentre prima quando c'erano solo i dialetti,
lo scrittore doveva far conto con questi, doveva creare prima una base
linguistica per poter raccontare una storia, adesso invece c'è
una mezza lingua, quella televisiva purtroppo, molto povera, ma sufficiente
per lavorare. E c'è qualche speranza in più.
Intervista
a cura di Giulia Mozzato |