Il pentito depone in aula a Torino: «Il boss Graviano mi parlò di lui e disse: "Ci ha consegnato il Paese"»



TORINO - Sono le 12.35 quando Gaspare Spatuzza, il boss affiliato al clan dei fratelli Graviano, cita per la prima volta il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, «quello di Canale 5». È nell’aula bunker del tribunale di Torino e sta ricostruendo davanti alla Corte d’Appello di Palermo di un incontro a Roma con Giuseppe Graviano prima dell’attentato allo stadio Olimpico: «Con espressione gioiosa - dice il boss - Giuseppe Graviano mi riferisce che abbiamo chiuso tutto e ottenuto quello che volevamo grazie alla serietà delle persone che ci hanno messo il Paese nelle mani».

È il momento-clou dell’udienza d’appello contro Marcello Dell’Utri, celebrata a Torino tra stringenti misure di sicurezza e il divieto assoluto per telecamere e fotografi di riprendere il boss. Si va aventi per tutto il giorno: prima il respingimento della Corte dell’inammissibilità di Spatuzza a testimoniare chiesta dalla difesa di Dell’Utri. Poi il procuratore generale, Antonino Gatto, inizia l’interrogatorio. Una pausa di un’oretta a metà giornata e tocca ai legali della difesa, Nino Mormino e Alessandro Sammarco. La corte a quel punto si ritira in camera di consiglio e decide che occorre ascoltare Filippo e Giuseppe Graviano, per avere un riscontro sulle dichiarazioni del pentito. Lo farà l’undici dicembre a Palermo nell’aula della prima sezione penale della Corte d’appello.

In aula a Torino questa mattina c’era anche Dell’Utri, che è già stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Spatuzza parla nascosto da un paravento, e ricostruisce il colloquio al bar Doney di via Veneto a Roma con Giuseppe Graviano: «Con espressione gioiosa come se avesse vinto alla Lotteria o avesse avuto un figlio - dice - Giuseppe Graviano mi riferisce che hanno chiuso tutto e ottenuto quello che volevamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro crasti socialisti che avevano preso i voti nel 1988 e 1989 e poi ci avevano fatto la guerra». Dietro i «quattro crasti» di cui parla Spatuzza ci sono i socialisti che il clan Graviano ha sostenuto nelle elezioni alla fine degli anni Ottanta. «Nel 1988 o 1989 Giuseppe Graviano mi disse portare avanti le candidature socialiste - racconta - All’epoca Claudio Martelli era capolista, c’era Fiorino e altri che non ricordo. A Brancaccio facemmo di tutto per farli eleggere e i risultati si videro: facemmo bingo».

Il killer affiliato al clan di Giuseppe Graviano, che considera «una padre», parla di una serie «anomalie» che ha individuato negli anni in cui ancora agiva per Cosa Nostra. Racconta di cinque lettere affidategli prima delle stragi del 1993 da parte di Giuseppe Graviano: due, secondo le sue ricostruzioni, sono state inviate ai giornali Il Messaggero e Corriere della Sera le altre non ricorda a chi fossero destinate. Poi spunta quella che per lui è un’altra anomalia: quella dei «morti che non ci appartengono» nelle stragi di Firenze e Milano. Si era permesso di chiedere spiegazioni a Giuseppe Graviano che invece gli aveva spiegato essere un «bene» perché con quei morti «chi si deve muovere si dà una mossa». E arriva l’altra anomalia: l’unico supermercato Standa aperto al quartiere Brancaccio a Palermo: «La parola Standa mi dice tutto oggi - dice - È l’unica a Palermo e visto che il signor Berlusconi ha la proprietà della Standa mi sembra un’anomalia».

Ma nelle deposizioni di Spatuzza c’è anche spazio per le ragioni del suo pentimento e della decisione di collaborare con la giustizia. Ammette di aver «vigliaccatamente gioito» delle stragi di Capaci e di via D’Amelio in cui vengono ammazzati i giudici Falcone e Borsellino. È il 2000 quando comincia la sua dissociazione verso Cosa Nostra e i fratelli Graviano. «Avevo iniziato un percorso di ravvedimento personale: è stato un bellissimo cammino - racconta - Un cappellano mi ha accompagnato in questo bellissimo percorso e mi ha fatto conoscere le sacre scritture. È padre Pietro Capoccia di Ascoli Piceno. Io in quel momento ho deciso di amare Dio e ripudiare mammona dove mammona è Cosa Nostra». Ora ritiene che la sua «missione» sia quella di «restituire la verità alla storia». «Non mi fermerò di fronte a niente - dichiara - È una mia missione per dare onore a tutti quei morti, a tutta quella tragedia. È un mio dovere». E quando la difesa di Dell’Utri gli chiede perchè abbia fatto i nomi di Berlusconi e Dell’Utri dopo un anno dall’inizio della colaborazione lui dice: «I timori di parlare del presidente del Consiglio Berlusconi erano e sono tanti. Quando cominciano i primi colloqui c’era come primo ministro Berlusconi».


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