VetrinaCinema
a cura di Marzia Serra e Marco Molle
   


BIG FISH
 

di Marco Molle

Big FishSarà pur vero che l’ultimo visionario film del regista Tim Burton allude al potere edulcorante e quasi taumaturgico del narrare, ma lo fa evitando qualunque atteggiamento cattedratico, di ostentata distanza dall’oggetto trattato. Per lui, l’artista è un demiurgo intriso e travolto dalla stessa materia che crea, e la sua opera, immune da quella ragione che “indaga, accorda, disunisce”, è apodittica e circolare: il signor Edward Bloom (Albert Finney) si trasforma nel finale, nel più grande pesce del fiume che, nelle prime scene della pellicola, gli ruba la fede d’oro per poi restituirgliela successivamente. Quel metallo prezioso è potenza stessa del nostro vivere, condensata in un anello di fiducia verso un mondo, che se anche fosse perfetto come Spectre, ci vedrebbe diretti l’indomani ad un’altra meta da visitare e reinventare;
William Bloom (Billy Crudup), giornalista residente a Parigi, torna in America dal padre malato di tumore, assistito amorevolmente dalla moglie Sandra (Jessica Lange), per incrociarne finalmente lo sguardo vero sotto la coltre degli effetti mirabolanti, oltre le millanterie di un vissuto straordinario dagli immaginifici aneddoti; ritrova invece l’eterno cantastorie, l’affabulatore impertinente che tutti seduce, tranne, da un po’ di tempo a questa parte, proprio il figlio, ormai restio e addirittura infastidito dall’ingombrante e mendace logorrea paterna. Il vecchio Edward non desiste e si produce in una serie di ricordi passati, dal pesce più grande della palude che, rubandogli per un po’ la fede nuziale, gli impedì di presenziare alla nascita di William, passando via via per storie di streghe, giganti, surreali comunità circensi, gemelle cinesi, visite di città surreali collocate dentro fitte foreste e, soprattutto, il tribolato incontro con la giovane futura moglie (Alison Lohman). Quest’ultimo episodio ci regala una lezione sul sentimento d’amore, inteso forse anacronisticamente, come lenta scoperta Big Fishe costruzione dell’idea dell’amato, oltre che sulla possibilità di una continuità del legame, che passi attraverso viali di fantasia e di trasfigurazione giocosa del quotidiano.
Un filo conduttore di tali storie è sicuramente la capacità e il coraggio dell’Edward ricordato e raccontato (Ewan McGregor), di aprirsi agli altri, anche ai temutissimi “diversi e cattivi”, riuscendo ad evitare con loro un approccio prevenuto, proprio quello che li condanna a perpetuare se stessi nel ruolo che la società ha ormai imposto loro; il suo donarsi li spiazza cambiandoli, anche solo per un istante, come avviene al lupo mannaro contro di cui il Nostro scaglia un bastone che, da apparente arma di difesa, si rivela un affettuoso trastullo per cani che riportano al padrone, festosi, l’oggetto stretto in bocca: il lupo perderà stavolta anche il vizio?
In un circo di caratteri variopinti la diversità è un valore e il male una risposta all’isolamento e all’incomprensione.
Da segnalare la presenza nel cast del sempre convincente Steve Buscemi, nei panni dell’insicuro scrittore Winslow, e del “mannaro” Danny DeVito.


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