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a cura di Taisia Venturi |
Diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, Giacomo Ciarrapico scrive inizialmente per il teatro e dirige Io non c'entro (1996), Tutto a posto (1997), Fammi parlare (1998), Piccole anime (1998) e L'ufficio (2001). Piccole anime diviene anche il suo primo lungometraggio per il cinema, prodotto, oltre al premiato Dentro e fuori (2001) da Gianluca Arcopinto. Per la televisione scrive 17 puntate della sit-com Baldini & Simoni, trasmessa dalle reti Rai nel 2001. Eccomi qua è la sua opera seconda. "Non c'è mai un motivo preciso per cui fai un film...comunque se c'era, alla fine, cioè a film finito, questa motivazione si trasforma..."
I trentenni e la loro ricerca di una dimensione sociale, un tema dolente e tanto trattato dalla cinematografia italiana degli ultimi anni. Cosa ti ha spinto a scrivere una storia sull'argomento? In realtà non mi riferivo ad una precisa fascia di età quando ho scritto il film, ho solo pensato "se succedesse una cosa del genere ad un personaggio che mi somiglia, come reagirebbe?" e iniziando a scrivere mi sono reso conto che avevo tante cose da dire. Spero solo di aver detto tali cose in un modo diverso da come hanno fatto, per altro molto bene, altri autori, spero di non mandare la gente a vedere qualcosa di già visto. Ma credo di aver trovato la giusta ricetta per far in modo che la gente si diverta pensando.
"La famiglia non esiste", è una frase forte dalla quale sei partito per la stesura di questo film. Qual'è questa tua idea di famiglia non comunemente concepita? Chiariamo. La famiglia è una delle istituzioni su cui poggia la società italiana, però è una famiglia che sta lentamente cambiando. Non possiamo barare: le coppie durano poco... L'amore non è un maratoneta che non si stanca mai... I padri si stufano... I mariti vedono invecchiare le proprie donne e ne cercano di più giovani... Succede. Ma ciò non vuol dire che la famiglia non esista più, anzi esistono nuove forme di famiglia, essa nasce in maniera diversa. Può nascere una famiglia dentro un orfanotrofio, o in un ospedale dove alcune persone stanno insieme per tanto tempo. La famiglia atipica sta superando per diffusione quella classica. Smettiamola di pensare all'uomo che torna a casa, mette le pantofole, accende la tv e di fare il padre non ne vuole sapere. Questo film cerca di spiegare che non tutto deve essere fatto come è sempre stato, le cose possono anche cambiare.
Colpisce l'immagine di Matteo (A.Sartoretti), lasciato solo al giardino zoologico con il palloncino giallo in mano, icona dell'eterno bambino e del suo rifiuto dell'età adulta. Ma si può rifiutare di diventare adulti? No, non si può. Alla fine c'è qualche entità invisibile che ti trascina per i capelli dentro la mischia. Si diventa grandi per forza, Matteo lo fa in modo diverso. Il suo dire no è il segno che anche per lui è arrivato il momento di compiere scelte di carattere e quella sarà la decisione più matura della sua vita. Ognuno di noi deve diventare grande ma ognuno deve essere libero di farlo come meglio crede.
Quindi il tuo messaggio è quello della ricerca di una libertà personale? L'essere padre è così importante che se lo si fa per forza si fanno solo danni. Se un uomo si rende conto che non vuole essere padre, è meglio che non lo faccia. Non è solo portando a casa uno stipendio che si ricopre il ruolo, è molto di più. È un appello anche ai futuri padri.
La tua collaborazione con Andrea Sartoretti va avanti da tempo, dal teatro al cinema. Da quanto vi conoscete? La nostra amicizia è nata sui banchi di scuola. Io poi ho iniziato a fare teatro, gli ho chiesto di fare il protagonista di una mia commedia e lui ha accettato. Ricordo che aveva una gran paura, poi ha recitato, per altro molto bene ed è diventato attore...disoccupato.
Guardando il tuo film si riflette ridendo, non è un connubio facile da realizzare. Sì, devo dire che il film fa ridere e anche parecchio. Ma questa cosa mi è stata fatta notare come una critica negativa al Festival di Torino dove il film era in concorso, come a dire che se parli di temi sociali importanti, non lo puoi fare facendo sorridere il tuo pubblico, per me è tutto il contrario. Ma siccome non è facile far ridere, sono molto contento di esserci riuscito, in fondo sono un regista di commedie e far ridere è la mia professione.
Da dove viene il titolo Eccomi qua? È una cosa che possono dire un po' tutti i personaggi del film, così come il bambino che viene al mondo: "eccomi qua", è una dichiarazione di esistenza, punto e basta.
Gli attori come sono stati scelti? Angelica di Majo, Maddalena Maggi, Valerio Aprea, Massimo de Lorenzo, Carlo de Ruggeri, sono tutti bravi attori ma poco conosciuti. Ritengo che i difetti di questo film sicuramente non sono dovuti al suo cast.
L'intervista ad Andrea Sartoretti
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