a cura di Valeria Arnaldi |
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AQUILA |
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NUOVO MUSEO PER LAQUILA Sorgerà nellex convento di Santa Maria dei
Raccomandati il nuovo Museo Archeologico Aquilano. 7 anni di restauri
per 5.600.00,00 euro questo quanto si è reso necessario per
tradurre in realtà un progetto tanto ambizioso, che prevede la realizzazione
anche di ristoranti, bar, spazio eventi, book-shop e una grande biblioteca
specialistica. Si tratterà di un vero e proprio polo di incontro
culturale, in cui lArte non sarà semplice oggetto di fruizione
passiva, ma diventerà un soggetto con cui dialogare ed interagire.
La gestione del complesso sarà affidata ad una Fondazione per la
Cultura, affiancata dal Consorzio dei Beni Culturali della Provincia.
Gestione partecipata, quindi, tra Enti locali, privati, banche e Istituti
periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il
Ministero stesso. Valeria Arnaldi |
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BARI | fino al 30 novembre | |||||||||
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GAE AULENTI PER IL MUSEO ARCHEOLOGICO
Gae Aulenti curerà l’allestimento del Museo Archeologico situato nel Complesso di Santa Scolastica a Bari Vecchia.. Il progetto, che rientra nel Piano Triennale dei Lavori Pubblici approvato dalla provincia di Bari, prevede l’adeguamento normativo e funzionale , nonché l’ammodernamento dell’allestimento museale. V. Arnaldi |
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BASSANO DEL GRAPPA | Dal 22 novembre | |||||||||
L'ARTE DEL CANOVA Dal 22 novembre l'arte di Canova è in mostra a Bassano del Grappa
e Possagno. Una mostra decisamente interessante, arricchita dall'acquisto
da parte del Comune di Bassano del bozzetto in terracotta del gruppo delle
Tre Grazie e dal completato restauro della copia della Paolina Borghese,
che era stata danneggiata a Possano durante la prima guerra mondiale.
Due vere 'perle' per gli estimatori del Canova ma anche per gli appassionati
dell'Arte e dell'Arte del Bello. La mostra è stata possibile grazie
all'investimento di 12 imprenditori, che ne hanno coperto le spese, 'adottando'
ciascuno un'opera. Sempre più spesso il mondo dei privati entra in
manifestazione ed iniziative di manifesto interesse pubblico. D'altronde,
se così non fosse, molte esposizioni - e forse proprio le più
grandi - non potrebbero essere realizzate. Canova è l'uomo e l'artista
che con finezza e sensibilità riuscì a valorizzare il movimento
neoclassico, regalandogli però un alito di vita che anticipa il Romanticismo
e trasformando quindi ogni sua opera in un pezzo unico. La sua arte è
sempre stata apprezzata ma ad oggi se ne riscopre la modernità. Il
consiglio che dava lui stesso? Guardare i suoi marmi "a lume di candela
o di fiaccole, per cogliere la fragranza dell'epidermide come la si coglie
nei nudi di Tiziano". V. Arnaldi |
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BERGAMO | ||||||||||
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BOLOGNA | ||||||||||
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BRESCIA | ||||||||||
CAGLIARI | ||||||||||
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CREMONA | ||||||||||
DALLE PIRAMIDI AD ALESSANDRO MAGNO Alla storia dell’Egitto , il Museo Civico Ala Ponzone,
fino al 28 marzo dedica la mostra “Dalle Piramidi ad Alessandro
Magno”. L’intento è quello di valorizzare – attraverso
esempi del sud, del centro e del nord – le oltre 90 collezioni presenti
in Italia, spesso anche molto importanti, ma poco conosciute o inedite.
Collezioni che rappresentano anche una buona sintesi delle diverse modalità
di acquisizione dei reperti egizi: la collezione di Firenze (sconosciuta
al grande pubblico) si deve in parte alla spedizione scientifica di Jean
François Champollion e di Ippolito Rosellini e in parte all’impegno
dell’egittologo Ernesto Schiaparelli, mentre la collezione di Napoli
nasce dal confluire della raccolta dei Farnese, di quella del cardinale
Stefano Borgia e di quella dell’avventuriero Giuseppe Picchianti;
le collezioni del nord si sono per lo più formate grazie a donazioni
di privati. Il percorso è articolato in più sezioni secondo
un criterio cronologico: Predinastico e Antico Regno (3000-2134 a.C.);
Primo Periodo Intermedio (2134-2040 a.C.) e Medio Regno (2040-1640 a.C.);
Secondo Periodo Intermedio (1640-1532 a.C.); Nuovo Regno (1550-1070 a.C.);
Epoca Tarda (1070-332 a.C.). Nelle sale dedicate alle esposizioni temporanee
del Museo civico Ala Ponzone in Palazzo Affaitati sono esposti reperti
provenienti soprattutto da importanti raccolte lombarde, come il sarcofago
di Ankhekhonsu (Civico Museo Archeologico di Bergamo), ma anche opere
di collezione privata come la statua del vizir Khay, presentata al Congresso
di Egittologia del Cairo nel 2000. Affianca la sezione archeologica un
percorso letterario, che permette di affrontare da un lato la storia degli
studi sull’Egittologia, con i grandi volumi illustrati della fine
del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento e, dall’altro,
gli influssi dell’Egittomania sugli autori classici e moderni. I
volumi provengono dalla ricchissima Biblioteca di Egittologia dell’Università
degli Studi di Milano, che ha recentemente acquisito importanti fondi
librari e archivistici. Il percorso prosegue poi a Palazzo Stanga, dove
l’attenzione è per il Predinastico. A testimonianza dell’alto
livello tecnologico raggiunto dagli antichi Egizi nell’epoca della
formazione, sono in mostra raffinati manufatti in pietra. Per l’Antico
Regno le piramidi sono evocate da prestigiosi documenti e volumi illustrati
che testimoniano i primi passi nello studio di questi maestosi monumenti.
I cambiamenti politico-sociali del Medio Regno trovano la loro sintesi
in una bellissima testa regale, caratterizzata da un viso segnato dalle
occhiaie. Il Secondo Periodo Intermedio, nel quale si afferma la dominazione
degli Hyksos, è documentato dai famosi scarabei di questo periodo.
Il Nuovo Regno, epoca di grande ricchezza e di rinascita dell'antico Egitto
caratterizzata dalla monumentalità, è riassunto da reperti
che recano i cartigli di faraoni come Hatshepsut, il faraone donna, Akhenaton,
il faraone “eretico” Seti I, il padre di Ramesse II, oltre
che dai reperti che descrivono la concezione dell’Oltretomba, papiri
del Libro dei Morti, vasi canopi, ushabti. Oggetti da cosmetica che permettono
di instaurare uno stretto richiamo fra la vita quotidiana e la vita dopo
la morte. Infine, per l’Epoca Tarda e in particolare per le concezioni
religiose sempre più stratificate e complesse, in qualche modo
divenute “superstiziose” sono proposti anche nuovi oggetti:
bronzetti votivi, alcuni degli amuleti più tipici, mummie di animali.
I materiali selezionati appartengono a prestigiosi musei italiani fra
i quali: Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Museo Egizio di Firenze,
Sezione Archeologica del Museo civico Ala Ponzone di Cremona, Museo Civico
di Storia Naturale di Brescia, Museo Civico di Palazzo Te di Mantova,
Civico Museo Archeologico di Bergamo, Civiche Raccolte Archeologiche di
Milano, oltre che a collezioni private. |
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FERRARA | ||||||||||
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FIRENZE | ||||||||||
Nel
2006, si concluderanno i restauri di otto opere d'arte provenienti dalla
basilica di Santa Croce di Firenze – danneggiate nell'alluvione del 4
novembre 1966. Si tratta di tavole trecentesche e quattrocentesche dipinte
da Francesco Salviati, Bronzino, Domenico di Michelino e Lorenzo Monaco,
Nardo di Cione, Lorenzo di Niccolò e Giovanni del Biondo. I restauri
sono stati condotti dall'Opificio delle Pietre Dure. Sono ancora in fase
di studio la ricollocazione delle opere e la loro fruibilità da parte
del pubblico. Valeria Arnaldi |
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PICCOLI GRANDI DISEGN Forme tondeggianti, colori sgargianti
a volte addirittura fluo, potrebbero essere i mobili di una casa Disney,
perfetti per Paperopoli o Topolinia, ed, invece, sono oggetti disegnati
da grandi designer per i più piccoli. I genitori lo avevano già
capito da tempo: sono i bambini a dettare le regole in casa – ed ora,
finalmente, lo hanno capito anche architetti, arredatori e designers,
che nell'infanzia trovano un ottimo mercato. Comodi, funzionali e morbidi
ma anche divertenti, avveniristici e colorati: ecco i nuovi arredi delle
camere da bambino. Le dimensioni si riducono e dei materiali vengono attentamente
controllate sicurezza ed atossicità: tutto deve essere assaggiabile
con i cinque sensi. D'altronde, si sa, i bambini hanno un modo diverso
di rapportarsi al reale. È la plurisensorialità ‘in piccolo'
il mini-business del futuro? A dimostrarlo non solo in grandi marchi ma
la diffusione di oggetti di questo tipo anche in megastores e negozi più
tradizionali delle diverse città italiane, sancendo definitivamente
l'inizio di una moda. Valeria Arnaldi |
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GHIBERTI TORNA AL DUOMO Dopo otto mesi di restauro, nel mese di novembre, la
vetrata disegnata da Lorenzo Ghiberti torna al proprio posto nel tamburo
della cupola del Brunelleschi in Duomo. Il recupero de "La presentazione
al Tempio", che fu poi realizzata nel 1444 da Bernardo di Francesco,
rientra nel più ampio progetto di restauro delle sette vetrate istoriate
della Cattedrale fiorentina, iniziato nel 1995. Attualmente è in
corso di restauro la 'Natività' di Paolo Uccello. Seguirà poi
"Il compianto del Cristo morto" di Andrea del Castagno. L'ottava
vetrata è purtroppo andata distrutta nel 1821 in seguito ad un fulmine. Valeria Arnaldi |
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IL BEL-VEDERE
DELLARTE
A dargli un nome è stato Achille Bonito Oliva che
ha così definito il forte belvedere, da 5 anni chiuso per restauro
e finalmente riaperto e prossimo ad essere sede di un progetto ambizioso:
la realizzazione di unesposizione triennale che rilegga in maniera
trasversale la storia dellarte del novecento. Dal 7 luglio sarà
allestita presso il Forte la mostra "Orizzonti", visitabile
fino alla fine del mese di ottobre. Costruito tra il 1590 ed il 1595,
il Forte è stato il primo luogo in cui si è tentato di sperimentare
una commistione tra moderno ed antico. Valeria Arnaldi |
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LADORAZIONE
DEI PASTORI
Dieci anni fa una bomba a Palazzo degli Uffizi fece crollare
la torre dei Georgofili ed inflisse gravi danni al Museo. Si credeva che
lAdorazione dei Pastori di Gherardo delle Notti fosse andata distrutta,
ma in realtà era stata solo mutilata. Miracoli del restauro, oggi
lopera torna di nuovo in mostra, assurgendo a simbolo della rinascita
degli Uffizi. È andato perduto il 40/50% del colore ed il Bambino
che era la fonte di luce del dipinto è scomparso, così come
San Giuseppe ed i Pastori. Il coro degli Angeli è stato dimezzato
ed il volto della Madonna gravemente danneggiato. Dei pastori resta solo
un profilo. Sembrano graffi di dolore quelli sulla tela, eppure ora Firenze
è felice ed orgogliosa di mostrare questo suo dipinto rinato, che
quella mattina di dieci anni fa, sembrava perso per sempre. I fili della
tela sono stati riallineati ed accostati con laiuto del vapore e
attraverso uno scurimento si è provveduto a dare uniformità
allopera. Manca il tratto pittorico, ma per una qualche magia, è
locchio stesso a colmare i vuoti, restituendo, con laiuto
dellimmaginazione, alle figure la loro bellezza originaria. Valeria Arnaldi |
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I NUOVI
UFFIZI
Occuperanno una superficie di 30.000 metri quadri, di
cui 15.000 destinati alle esposizioni temporanee sono queste i
numeri dei Nuovi Uffizi, che saranno articolati su tre piani collegati
da ascensori e nuove scale. Recuperati anche i sotterranei della Firenze
Premedicea. La riapertura secondo lultima dichiarazione del
Ministro Urbani è fissata per il 2005, con due anni di ritardo
sulle iniziali previsioni. Nel 2004, intanto, sarà pronto lingresso
su piazza Castellani progettato da Arata Isozaki, cui sono state affidate
anche la ripavimentazione e lilluminazione della piazza. Valeria Arnaldi |
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LA SFERA
DORO DELLOLIVELLA
Appartenuta ai Padri Filippini di SantIgnazio Martire
a Palermo, la Sfera doro dellOlivella è un ostensorio
seicentesco, splendido esempio di oreficeria siciliana. Ridotto in trecento
frammenti di oro, argento dorato, smalti opachi, traslucidi e diamanti,
lostensorio è stato portato a nuova vita grazie allimpegno
dei restauratori che sono riusciti a ricomporre pezzi ormai deformati.
Trafugata dal Real Museo di Palermo, nella notte di Natale del 1870, la
Sfera dOro venne recuperata circa tre mesi dopo smontata per vendere
le pietre preziose e fondere loro e largento. Alto circa 60
cm., loggetto non ha la forma di una sfera, ma è questo il
termine con cui comunemente in Sicilia si indica lostensorio. Nel
1999, lOpificio delle Pietre Dure si è impegnata nella catalogazione
e misurazione di tutti i frammenti, e soprattutto nella ricerca di un
disegno che fosse coerente con quanto si sapeva della Sfera. Una volta
definito il progetto, si è passati alla ricostruzione vera e propria
delloggetto. Chiaramente non si poteva procedere alla saldatura
a fuoco né allincollaggio. Lunica tecnica possibile era
la saldatura laser, che agisce tramite luce e colore. Scelta sofferta
perché il laser è una tecnica non reversibile, ma ha dato risultati
che non si potevano neanche immaginare. Le parti strutturali dellostensorio
sono state ridotte ad involucro di nuovi tubi. Una sola delle quattro
volute fitomorfe è sopravvissuta. Degli angeli che da queste erano
sorretti, ne sono rimasti tre. Le parti mancanti sono state integrate
in argento dorato, ma in una tonalità più bassa di quella originaria
e senza gli smalti originari. Valeria Arnaldi
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GENOVA | ||||||||||
ISCHIA |
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LATINA |
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NUOVI
REPERTI A MINTURNAE
È iniziata la scorsa primavera la nuova campagna
di scavi nel sito archeologico di Minturnae (Latina) e ha portato al rinvenimento
di unimpressionante quantità di elementi architettonici in
materiali lapidei pregiati. Su un lato dellantico lastricato, sono
comparsi i basamenti delle porte del tempio del Divo Cesare, sul lato
opposto, capitelli, colonne, conci di archi e cornici di un edificio ancora
sconosciuto. Molti anche i manufatti, che recano incise diverse iscrizioni.
Si tratta solo dei primi rinvenimenti. Lottimo stato in cui sono
stati rinvenuti, è motivo per ritenere che nellarea vi siano
ancora molti reperti da portare alla luce. Valeria Arnaldi |
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LIVORNO | ||||||||||
LUCCA | ||||||||||
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MANTOVA | ||||||||||
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MILANO |
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LE FOLLIE POP DI WARHOL Colore, fantasia, genio ed irriverenza. Andy Warhol conquista la Triennale di Milano, dove le sue opere ed il suo modus essendi sono in mostra fino al 9 gennaio. Molte le esposizioni che, nel corso degli anni, hanno avuto Warhol come protagonista, al punto di rendere difficile percepirne la novità, ma Milano punta l’attenzione più che sul Warhol artista, sul suo ruolo di comunicatore. Giocando con i sistemi che mass media e pubblicità, in particolare e società, in generale, gli mettono a disposizione, Warhol inventa un nuovo modo di fare arte, polemica, rivoluzione. Un modo di giocare con il serio, vestendo il nero di colore per evidenziarne le ombre ed i toni cupi. Un modo di vendere l’arte, facendo del suo prezzo il cuore dell’azione e finendo quasi per togliere valore allo scambio. Tutto è recita, spettacolo, finzione. Questo è “Anfy Warhol Show”, una raccolta di oltre duecento opere, disegni e foto del padre del pop, cui si aggiungono – inevitabili – copertine, riviste, oggettistica e perfino una delle sue celebri parrucche. Tutto quello che testimonia e consacra l’attualità di un mito che ha fatto scuola e ancora fa proseliti.
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MODENA | ||||||||||
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NAPOLI | ||||||||||
NAPOLI - VELÀZQUEZ A CAPODIMONTE (Napoli, 20-03-05) – “Cosa ne pensate?” chiese Re
Carlo a Luca Giordano. “Señor, questa è la teologia
della pittura”. Antonio Palomino, 1724 1.500.000 PER STABIE Progettazione sulla sistemazione degli accessi agli scavi
di Varano e progettazione definitiva del circuito archeologico stabiese
queste sono le voci per cui lAmministrazione Comunale di
Castellamare di Stabia ha insediato un gruppo di lavoro, dopo aver ricevuto
i finanziamenti nellambito del progetto integrato Pompei,
Ercolano e sistema archeologico Vesuviano". 280 mila euro verranno
impiegati per levento internazionale di progettazione che si svolgerà
lanno prossimo. 1.200 mila euro invece riguarderanno il circuito
archeologico stabiese. Valeria Arnaldi |
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PADOVA |
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PALERMO |
fino al 30 novembre | |||||||||
PARMA | ||||||||||
PESCARA | ||||||||||
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PRATO | ||||||||||
IL MEDIOEVO Il basamento in malta e sassi di una torre del XIII secolo ed un altro edificio: sono questi i frutti degli scavi condotti nelle ultime tre settimane dalla sezione di archeologia medievale del dipartimento di studi storici e geografici dell'Università di Firenze. È una Prato medievale quella che torna in vita nel giardino di Palazzo Banci-Buonamici. La torre voleva essere il simbolo del potere della famiglia che vi abitava, i Guazzatoti. Insieme all'altro edificio - probabilmente un castello - costituiva il nucleo originario di Borgo al Cornio e di tutta Prato medievale. Gli scavi hanno portato alla luce anche resti di altri edifici, costruiti e demoliti più volte fino ad arrivare al '500, anno in cui fu realizzato il giardino. Valeria Arnaldi |
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RAGUSA |
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RINVENUTA IMBARCAZIONE BIZANTINA Lunga circa 20 metri, limbarcazione è stata
rinvenuta dai carabinieri del comando provinciale di Ragusa, sul fondale
antistante la spiaggia di Ispica. Limbarcazione è in buono
stato, così come gli oggetti rinvenuti al suo interno. Valeria Arnaldi |
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REGGIO
CALABRIA |
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GEMELLAGGIO CON LA GRECIA La Regione Calabria ha deciso di avviare un programma
di promozione e rivalutazione dei Bronzi di Riace, per diffonderne l'immagine
anche a livello internazionale. Primo passo di questo progetto di valorizzazione
è il gemellaggio Atene- Reggio Calabria, che vedrà numerose
collaborazioni in occasione dei prossimi giochi olimpici. Valeria Arnaldi |
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RIMINI |
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BATTERI
PER LARTE È stata lingordigia di alcuni batteri a salvare
gli affreschi di Spinello Aretino, che sembravano irrimediabilmente danneggiati
da un cattivo restauro effettuato negli anni 50. La tecnica innovativa,
frutto della ricerca congiunta dei Dipartimenti di Scienze e Tecnologie
Alimentari e Microbiologiche della facoltà di Agraria di Milano e
del Molise, in collaborazione con lOpera Primaziale Pisana, è
stata utilizzata per la prima volta al mondo. Durante la seconda guerra
mondiale lo scoppio di una granata americana, dopo aver distrutto il tetto
aveva esteso uno strato di piombo fuso su tutti i dipinti. Negli anni
50, si procedette al restauro, ma si utilizzò la tecnica
a strappo e la collocazione provvisoria degli affreschi su supporti
di eternit. La ricopertura del colore sarebbe dovuta avvenire con una
tela imbevuta di colla animale. La colla oscurava laffresco rendendolo
quasi invisivile. Inoltre le fragili condizioni in cui versavano
le opere impediva lo strappo stavolta dalleternit. Al
problema che per anni è sembrato privo di soluzione, la scienza e
la biologia hanno dato una risposta. Grazie allo studio dei diversi tipi
di batteri, è stato possibile individuare un ceppo che si nutrisse
proprio di colla animale. La scelta è ricaduta sui Pseudomonas, Gram
negativi, che sono in grado di utilizzare oltre 100 composti organici,
senza produrre spore. Il metodo ha avuto unefficacia del 75/80%,
per completare il processo si fatto ricorso ad un enzima, la Proteasi
Type XIX, che diluito in acqua è stato manualmente applicato dove
occorreva, riportando gli affreschi alla luce. Valeria Arnaldi |
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ROMA | ||||||||||
ROMA - EMILIO GRECO SCULTORE (Palazzo Venezia, 10 marzo-25 maggio) (Roma, 12-03-05) – Ottanta sculture - terrecotte, cementi e grandi bronzi – illustrano l’opera del celebre scultore del secondo Novecento. Ottenuto il gran premio alla Biennale veneziana del 1956, Greco si assicurò fama internazionale e sue opere furono acquistate dai musei di tutto il mondo. Referenze storiche e suggestioni moderne danno all’artista una cifra particolarissima, che lo fa magistrale interprete dell’effimero e del costume. In mostra, sono esposti anche diversi bozzetti e lavori preparatori, mentre un’intera sala è dedicata alla sua opera, forse più nota, Bagnanti. Attratto dalla bellezza e dall’estetica femminile, Greco amò raffigurare la donna, sottolineando le potenzialità erotiche di una rappresentazione a tratti documentaria. Il percorso espositivo segue un iter cronologico a partire dalla fine degli anni ’40 ed è diviso in più nuclei tematici: dalla serie degli Omini e dei Lottatori, al periodo della grandi Bagnanti appunto degli anni ’50 e ’60, alle opere sacre, monumenti, ritratti e grandi statue degli ultimi anni.
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ROMA-CAPOLAVORI DEL GUGGENHEIM
(Scuderie del Quirinale, 3 marzo-5 giugno) Le Scuderie del Quirinale ci hanno, ormai, abituato a mostre di grande respiro, che vogliono offrire uno scorcio di internazionalità, ponendosi come momento riassuntivo dell’Arte, e, nello stesso tempo, suggerendo un più consono approfondimento. “Capolavori del Guggenheim” , che porta a Roma importanti capolavori della celebre collezione, provenienti da New York, Bilbao e Venezia, è un “assaggio” di ciò che l’arte internazionale ha saputo produrre nel Novecento. Picasso, Mirò, Kandinsky, Monet, Pollock, Cezanne, Mondrian, Léger, Ernst e Klee sono solo alcuni dei 50 artisti che, in mostra, si incontrano e confrontano. Al di là della meraviglia di osservare tanti capolavori, nel giro di pochi passi, l’esposizione vuole porre l’attenzione sul collezionismo. Non a caso, il suo sottotitolo è “Il collezionismo da Renoir a Warhol”. Protagonista del percorso è la filosofia Guggenheim, da quando Solomon, erede di una fortuna che il padre e il nonno avevano costituito grazie all’industria mineraria, inizia ad acquistare le prime opere a quando sua moglie, Irene Rotschild approda al vero mecenatismo, commissionando un ritratto del marito alla giovane Hilla Rebay, che diventerà la sua consulente artistica, orientando la collezione verso una personalissima visione dell’arte astratta, ispirata alla teosofia di Steiner. Con lei i Guggenheim cominceranno a viaggiare per l’Europa, di atelier in atelier, aggiudicandosi lavori di Chagall, Kandinskij (splendidi quelli pseudo-figurativi in mostra), Rousseau e Cezanne. Dalla collezione al museo il passo è breve: nel ’39, la sua sede provvisoria è in Fifth-Avenue a New York, nel capolavoro architettonico di Frank Lloyd Wright. A continuare la tradizione di Solomon è la nipote Peggy, negli anni venti protagonista della vita culturale parigina, che presto inizierà una sua collezione sulle orme di Marcel Duchamp. A causa della guerra, costretta a trasferirsi in America, alla sua conclusione si recherà a Venezia, realizzando qui il sogno di un museo tutto suo, che diresse fino alla morte, nel 1979. La Guggenheim Foundation ha, comunque, continuato il lavoro del suo fondatore, Solomon. In mostra, si uniscono quindi due collezioni profondamente diverse tra loro, animate entrambe dall’amore per il Bello e da una profonda e sincera curiosità intellettuale, che unita ad un’inusuale generosità, ha prodotto, oggi, una delle più interessanti collezioni d’arte del mondo.
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ROMA - MUNCH 1863-1944 (Complesso del Vittoriano, 10 marzo-19 giugno) Arte
e malattia, un binomio frequentemente associato ai grandi maestri del
passato, che sembra non “risparmiare” alcuna forma di espressione,
è il filo conduttore della mostra dedicata al celebre pittore norvegese.
A porre l’attenzione sui perché della sua ispirazione è
lo stesso artista “la mia arte ha le sue radici nelle riflessioni
sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu
una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato
nel mondo senza poter scegliere”. Due gli eventi responsabili della
sua ricerca di “eternità”: la morte della madre, avvenuta
quando l’artista aveva solo cinque anni, e quella della sorella,
dopo lunga malattia, a quattordici anni. Sono spettri, ossessioni e fantasmi
quelli che popolano le sue tele. quei morti, con cui confessa di vivere.
Quei morti che popolano il suo diario di memorie. I suoi colori, quei
toni rossi accesi che degradano fino al violetto, sono indici del lutto
che aleggia sull’uomo, condannato alla mortalità ed a vivere
in un mondo senza regole, schiavo della Natura, del fato o del destino,
comunque di un’entità alla quale non ci si può opporre.
È dolore dichiarato, e “gridato” quello che Munch sente
nel profondo dell’anima, e che da personale, diventa paradigma della
sofferenza umana.
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ROMA - CANALETTO. IL TRIONFO DELLA
VEDUTA. (Palazzo Giustiniani, 12 marzo-19 giugno)
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ROMA - I TESORI DELLA STEPPA DI
ASTRAKHAN (Palazzo Venezia, 17 marzo-29 maggio) Una straordinaria collezione di oggetti d’oro, argento e bronzo, rinvenuti in oltre venti anni di scavi nella provincia di Astrakan, compresa fra il Mar Caspio e la massa continentale euro-ausiatica. Questo l’oggetto della mostra allestita a Palazzo Venezia, la prima esposizione mondiale di questi ritrovamenti archeologici. I reperti sono, ovviamente, il punto di partenza da cui prende le mosse il racconto della popolazione dei Sarmati, i Signori delle Steppe, che risiedevano nel territorio tra il VII secolo a.C. ed il IV secolo d.C. Quasi tutti di oro massiccio, sono oltre duecento i reperti provenienti dagli arredi dei tumuli funerari: foderi d’armi, gioielli, monili, bassorilievi, placche d’oro, vasi con manici zoomorfi e ornamenti per bardature ed abiti. L’esposizione procede in un’ideale successione di tumuli, ognuno con il proprio corredo. Una sezione speciale è dedicata all’oreficeria moderna, in una reinterpretazione dei motivi dei Sarnati, che mostra evidente la comune origine europea, e lo stretto rapporto passato-presente. L’analisi dei reperti permette di evidenziare la complessità della civiltà dei Sarmati. Ogni piccolo rinvenimento, 9infatti, esprime la ricerca di nuove tecniche e “tecnologie”. Le appliques per gli abiti, ad esempio, nella loro apparente semplicità sono frutto di una precisione matematica invidiabile. Nessuna, infatti, presenta segni di spianatura del bordo, il che dimostra che il diametro delle stesse veniva deciso prima di procedere alla loro realizzazione. Molto interessante anche lo “stampaggio manuale” a singola e doppia matrice. Questa tecnica utilizzava una superficie, probabilmente in bronzo, come stampo, sulla quale veniva pressata la lamina d’oro. Tracce dell’operazione sono evidenti nella scarsa definizione dei decori e testimoniano la scelta della quantità a favore della qualità, quindi, la grande richiesta di materiali. Lo stampaggio manuale a doppia matrice, invece, permetteva la migliore definizione dei dettagli, perché non prevedeva l’utilizzo di un controstampo in materiale cedevole, ma di due matrici realizzate con materiali di identica durezza. In entrambi i casi, lo spessore delle lamine d’oro era molto sottile, fra 0,01 e 0,03 centimetri. Più lenta la lavorazione a sbalzo e cesello, destinata alla produzione di oggetti unici per una committenza d’alto rango.
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ROMA - GERUSALEMME RIVELATA La mostra raccoglie gli scatti di Mendel John Diness,
primo fotografo di Gerusalemme. Fu Mustapha Surraya Pasha, governatore
di Gerusalemme, ad ordinare, tra il 1854 ed il 1859, al fotografo ebreo
una documentazione fotografica della città. In questo lavoro, Diness
fu affiancato dall’ingegnere italiano Ermete Pienotti, con l’incarico
di realizzare delle mappe catastali del territorio. Fu per questo motivo
che il fotografo ottenne il permesso di scattare fotografie in zone, di
norma, considerate off limits per motivi religiosi. Tema storico e studio
topografico sono il filo conduttore della mostra, ma non bisogna dimenticare
l’interpretazione politico-religiosa che, in effetti, sembra dominare
gli scatti. I panorami in bianco e nero hanno un che di metafisico. La
povertà degli orizzonti, infatti, viene ritratta non tanto come
povertà materiale ma come ricerca dell’essenziale, inevitabilmente,
ricondotta allo spirito. Nella Gerusalemme ottocentesca si respira l’atmosfera
di quella evangelica, o forse, sarebbe più corretto dire, di quella
idealizzata dall’occidente.
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SOGNI DIPINTI L’Accademia d’Ungheria, dal 18 gennaio al 18 febbraio ospita la mostra “sogni dipinti. Favola, visione e sogno nell’arte ungherese 1890-1920”, raccolta di circa 60 opere provenienti dalle maggiori collezioni pubbliche e private ungheresi e polacche, realizzate da un gruppo di intellettuali che all’alba del ventesimo secolo hanno rielaborato, attraverso il proprio personale modus artistico alcuni grandi movimenti del passato – dai pre-raffaelliti, al rococò passando per il rinascimento italiano. Non manca l’ispirazione contemporanea con richiami a secessionismo, simbolismo, espressionismo ed Art Nouveau. l’invisibile, la decostruzione dei corpi e delle forme, la scomposizione dello spazio e la rinuncia alla linearità del tempo sono alcuni dei soggetti attraverso cui l’arte ungherese ha tentato di dare corpo all’impalpabile, sospeso tra sogno ed immaginazione. Nella lingua ungherse la parola sonno condivide la radice con il vocabolo sogno, cui si richiama anche nei significati, comunque vari, che spaziano tra sogno comunemente inteso, ma anche desiderio e visione. L’arte espande ulteriormente questi significati , donando loro nuove sfumature e soprattutto nuova vitalità. lo scoppiare del primo conflitto mondiale chiude le porta per molti ungheresi ma non solo di quel “mondo dei sogni”. All’accademia d’Ungheria, fino al 18 febbraio.
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Sulle Tracce di Leonardo Il 13 gennaio inaugura anche la mostra “Le tracce di Leonardo
nel territorio, i luoghi, gli studi, le macchine”, al museo della
civiltà romana fino al 10 aprile. sono esposte 16 macchine realizzate
sulla base dei codici leonardeschi con materiali dell’epoca: legno,
cotone, ottone, ferro e corda. Il format didattico-scientifico è
fatto di chiare didascalie, pannelli e iconografie di Leonardo anche
nel territorio romano, fogli che riproducono il disegno della macchina
e dai quali trarre le spiegazioni ad essa inerenti, nell’intento
di dare risposta a tre interrogativi: come la macchina si presenta,
a cosa serve, come funziona. la mostra si sposterà poi fino al
10 giugno al museo archeologico di Spoleto. |
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Omaggio a Matteotti
Dal 13 gennaio al 13 febbraio, il museo di Roma in Trastevere, dedica alla figura di Giacomo Matteotti una mostra ed un convegno. attraverso trenta pannelli didattici, il percorso illustra il ruolo di Matteotti come organizzatore di leghe contadine, amministratore comunale e provinciale, combattente. Un Matteotti inedito raccontato attraverso documenti per lo più anch’essi inediti. alla mostra si accompagna, in sede di convegno,la proiezione di un video-documentario con immagini d’epoca, prodotto dall’archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
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“MOLA E IL SUO TEMPO”
ad Ariccia Fino al 23 aprile, Palazzo Chigi
ad Ariccia ospita la mostra “Mola e il suo tempo. Pittura di figura
a Roma dalla collezione Koelliker”, raccolta di oltre sessanta opere
che, oltre a mettere a fuoco la figura dell’artista, lo inquadrano
nell’ambiente romano dei maestri da cui fu influenzato - Guercino,
Cavalier d’Arpino e Gian Lorenzo Bernini. Peculiarità della
sua pittura è il tratto impressionista, giocato sul colore “neoveneziano”
e guercinesco, con cui sembra anticipare a suo modo la pittura ottocentesca
“a macchia”. Emblematico il fatto che Delacroix, innamorato
della potenza del colore, della materia pittorica densa e luminosa, consigliasse
agli allievi di copiare proprio le opere del Mola. In lui si fondono la
matrice carraccesca, l’ attenzione verso l’ esperienza del
primo Cortona fino alla volta barberiniana, l’ interesse latente
verso il Bernini pittore pieno di curiosi fermenti e l’ influsso
travolgente del Tiziano conosciuto parte a Roma nella collezione Aldobrandini
parte a Venezia stessa. LA componente venezianeggiante si sposa alla spinta
innovativa del Guercino, da cui deriva l’uso di sovraccaricare l’opera
di materia pittorica. La visione del quadro esalta le capacità
percettive di chi guarda e scruta l’opera come fosse un tesoro,
ma anche un mistero da svelare. Mola si lascia ispirare dall’austerità
veneta, che, però, “ammorbidisce” con una concezione
laica dell’arte, secondo cui l’artista crea bellezza partendo
dal concreto, che sia oggetto e soggetto, dal sentimento reale, dalla
tensione morale e dalla dignità dell’arte stessa. Mola non
era il primo neoveneto attivo a Roma. Prima di lui, infatti, vi erano
stati i fratelli Carracci, Annibale ed Agostino, impegnati alla Galleria
Farnese. Ma anche artisti veneti veri, come Saraceni e Tassi affiancati
nell’impresa della Sala Regia al Quirinale. Mola è, comunque,
un iniziatore, perché crea un nuovo universo pittorico. Ed, infatti,
intorno a lui si riuniscono estimatori ma anche allievi. Dotato di grande
talento e passione, intransigente, mise al primo posto la qualità
assoluta del suo lavoro. Ma, forse proprio il suo carattere lo reso inviso
a molti, negandogli il riconoscimento che i posteri gli hanno, invece,
tributato. Molti suoi contemporanei tentarono di copiarne lo stile e la
tecnica, ma con scarsi risultati, finendo per mortificare alcuni suoi
tipi pittorici, trasformandoli in bozzetti e sfiorando il grottesco. L’ambiente
artistico romano dell’epoca, in mostra, è testimoniato da
opere del Lanfranco; salvator Rosa, Carlo Maratta, Baciccio, Schonfeld,
ed Andrea Pozzo; tutti accomunati dal filone “neoveneziano”
che caratterizza la pittura romana tra la metà degli anni ‘20
e l’ultimo quarto del Seicento, di cui Mola è grande caposcuola.
Si possono inoltre ammirare inediti ritratti di Ferdinand Voet, ritrattista
di vivo interesse naturalistico, e Alessandro Mattia, pittore classicista
ma di forte spirito introspettivo e di grande sensibilità al vero.
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ROMA Anne Leibovitz Dal 20 gennaio al 7 marzo, L’auditorium Arte ospita
la mostra “American Music, Ritratti di Annie Leibovitz”. Annie
Leibovitz iniziò a collaborare con la rivista Rolling Stone come
fotografa specializzata in ritratti di musicisti rock nel 1970, mentre
era ancora studentessa del San Francisco Art Institute. Tre anni dopo,
nel 1973, era diventata la fotografa principale della rivista e questa
sua collaborazione proseguì per diversi anni. La mostra presenta
70 fotografie dell’artista, di diversa grandezza, realizzate appositamente
per questa esposizione.
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Il Tempio di Giove Capitolino dal 6 ottobre 2005 al 9 gennaio 2006 Durante
le indagini effettuate nell’area del Tempio di Giove Capitolino,
avviate nell’ambito dei lavori di ristrutturazione dei Musei Capitolini,
sono emersi importanti risultati che hanno consentito di acquisire contributi
decisivi per la conoscenza sia delle fasi più antiche di vita sul
Colle Capitolino sia degli aspetti costruttivi del tempio stesso.
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L.B. Alberti e Roma. Architetti e umanisti alla scoperta dell’antico
nella città del Quattrocento
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FotoGrafia.
Festival Internazionale di Roma
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Imago Urbis Romae. L’immagine di Roma in età moderna
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UN ANNO AI MUSEI CAPITOLINI
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ITALIA GIARDINO D’EUROPA
Il 2005 segna un anno importante per il FAI
- Fondo per l’Ambiente Italiano che celebra i suoi trent’anni
di vita. La delegazione di Roma festeggia questo anniversario proponendo
il corso di Storia dell’Arte dedicato al Paesaggio: “Italia
Giardino d’Europa. Il Paesaggio: la sua storia e la nostra responsabilità”.
Il corso, iniziato il 27 gennaio, terminerà il 6 aprile 2006. Le
lezioni si terranno presso il teatro Quirino – Vittorio Gassman,
tutti i giovedì a partire dalle ore 18.00. Gennaio-Dicembre 2005 Giovedì 10 febbraio Mercoledì 16 febbraio Giovedì 24 febbraio
Giovedì 10 marzo
Mercoledì 6 aprile Giovedì 14 aprile Giovedì 21 aprile Mercoledì 4 maggio Giovedì 12 maggio Giovedì 13 ottobre Giovedì 20 ottobre Giovedì 27 ottobre Giovedì 10 novembre Giovedì 17 novembre Giovedì 24 novembre Giovedì 1 dicembre Giovedì 15 dicembre
Giovedì 26 gennaio Giovedì 9 febbraio Giovedì 16 febbraio Giovedì 23 febbraio Giovedì 2 marzo Giovedì 9 marzo Giovedì 16 marzo Giovedì 30 marzo Mercoledì 5 aprile Giovedì 6 aprile
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IL CENTENARIO DELL’ISTITUTO
OLANDESE L’istituto Olandese a Roma festeggia
i suoi primi cento anni e decide di aprire le porte al grande pubblico,
presentando un calendario di festeggiamenti ricco ed articolato: arte,
cinema, teatro, ma anche musica e convegni. Il primo appuntamento è
con il progetto, diviso in tre fasi, “DIVA DOLOROSA”. Prima
tappa, il convegno “Diva dolorosa. Il glamour del muto”. Oratori
olandesi, francesi, italiani e americani si confrontano sul fenomeno del
divismo nel cinema novecentesco. “La donna in maiuscolo”,
“La sfinge sposa. Franz von Stuck e la Diva casalinga”, “l’invenzione
del glamour. Le dive italiane del muto nella pittura, nelle fotografie
e nel cinema” , “La diva tra il melodramma e lo schermo: la
donna sconfitta” sono solo alcuni dei temi trattati. Attraverso
una seria di ritratti dipinti e fotografate ed immagine cinematografiche
di Lyda Borelli come attrice di teatro e di cinema, il professor Ivo Blom
approfondisce lo stretto legame tra arti visuali diverse che ha caratterizzato
l’inizio del secolo scorso. Michele Lagny, invece, affronta il dolore
della diva, presente tanto nel cinema che nell’opera lirica. Il
cinema toglie loro voce, affidando al canto, al copro ed alla luce il
compito di raccontare sofferenze e sconfitte. Ma il cinema muto del Novecento,
oltre alla diva, ha un’altra peculiarità: mostra come le
interconnessioni culturali avvicinino Occidente ed Oriente. Una vicinanza
culturale, che, spesso, è a sua volta causa di straniamento, dolore
e perdita del sé.
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GLI SCAVI DI ARSLANTEPE I mercati di Traiano ospitano una mostra archeologica ai quarant’anni scavi archeologici compiuti dalla Missione Archeologica Italiana nell’Anatolia orientale. Lo scavo di Arslantepe, questo il nome del sito, è uno dei sette grandi scavi d’ateneo, sostenuti direttamente dall’Università «La Sapienza», in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e con il MIUR: l’esposizione è parte integrante delle celebrazioni per i settecento anni dall’istituzione dell’Ateneo romano. L’evento propone un viaggio alle radici dell’organizzazione sociale complessa dell’uomo, lungo quei processi originari e irreversibili che dalle primissime forme di gerarchizzazione economica hanno condotto al costituirsi della civiltà urbana. Una storia del potere, del suo nascere, del suo formarsi, del suo legittimarsi ideologicamente, dal IX al I millennio a.C. In mostra, un ampio repertorio di oggetti (circa 200), testimonianze materiali di una civiltà antichissima, riemerse dal passato grazie al lungo e paziente lavoro degli archeologi, che hanno indagato con passione e rigore scientifico i 30 metri del tell posto a poca distanza dalle rive dell’Eufrate, a 5 km. dall’odierna città di Malatya, nella Turchia orientale. Si tratta di una collina artificiale formata dalla sovrapposizione di villaggi e città distrutti e ricostruiti uno sull’altro, che rivelano una storia millenaria, in una regione situata nel cuore del Vicino Oriente, all’incrocio tra le grandi civiltà che stanno alla base della nostra stessa storia. Tra i reperti visibili in occasione della mostra, numerosissime sono le cretulae, i grumi di argilla con le impressioni di centinaia di sigilli diversi, che furono usate come documenti-ricevuta, e poi ancora gruppi di armi e lunghe spade ageminate, le prime mai utilizzate al mondo; un ricco corredo funebre da una tomba reale, comprendente vasellame, gioielli, armi, nonché testimonianze tra le più antiche di sacrifici umani di giovani adolescenti sulla sepoltura del capo. Ciò che non era trasportabile dal sito - la tomba reale, un angolo di magazzino e i muri dipinti su parte degli elevati del grande edificio palaziale - viene reso visibile al pubblico grazie a ricostruzioni in scala reale. Ampio è l’uso in mostra di immagini ricostruttive ed elaborazioni grafiche al computer, nonché di video realizzati con filmati e foto sui temi trattati nell’esposizione: il tutto per creare un racconto a tappe, che con una narrazione semplice e divulgativa ma al tempo stesso rigorosa, accompagni il visitatore alla scoperta di una civiltà sconosciuta ai più e ricca di fascino.
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IL GRAND TOUR DI CRESWELL Grande festa a Palazzo Taverna per celebrare il calendario 2005 della casa vinicola Di Meo, che anche quest’anno ha scelto di affiancare alla sua raffinata produzione vinicola l’interesse per l’arte. Ospite d’onore della serata sarà Alexander Creswell - artista inglese di fama internazionale, amico e pittore prediletto del principe di Galles Carlo d’Inghilterra - che ha deciso di imprestare al calendario Di Meo 2005 dodici preziose vedute, parte di un ciclo dedicato ad alcune tra le più suggestive immagini del paesaggio architettonico italiano. Creswell, come un viaggiatore ottocentesco incantato dalla bellezza dell’Italia, compie una sorta di Grand Tour, ritraendo la decadenza, l’eleganza e la storia di alcuni dei luoghi più suggestivi del nostro paese, dalla Rotonda del Pantheon di Roma al Palazzo Biscari in Sicilia. La fama di Alexander Creswell è per lo più legata alle commissioni ricevute a partire dai primi anni novanta dai sovrani d’Inghilterra, ed è proprio nella loro collezione che si trova il più cospicuo numero di opere dell’artista. Nel 1993, la Royal Collection gli ha commissionato una serie di acquarelli per documentare le condizioni delle State Rooms all’indomani del grave incendio che aveva colpito Winsdor Castle. Le opere di Creswell sono entrate a far parte anche di significative collezioni quali la Parliamentary Art Collection di Westminster, la Forbes Collection di New York, la collezione della Library of Congress di Washington, la Frick Collection di New York e in Italia la collezione privata di Vittorio Sgarbi.
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DALLE LEGGIANTIEBRAICHE ALLA SHOAH
Fino al 30 gennaio la Gipsoteca del Complesso del Vittoriano ospita la mostra “Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945”. L'esposizione costituisce il frutto del cinquantennale impegno di ricerca della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC, l'Istituto storico della shoah in Italia che negli anni scorsi ha portato a termine ricerche fondamentali, quali la ricostruzione dell'elenco completo degli ebrei arrestati e deportati dall'Italia, la ricostruzione integrale della legislazione antiebraica fascista, la ricostruzione informatizzata delle strutture di sterminio del campo di Auschwitz. In gran parte d'Europa gli ebrei subirono, nello spazio di poco tempo, la revoca di pressoché tutti i diritti civili e, infine, quella dello stesso diritto alla vita: in una tortuosa ma incessante progressione cronologica e geografica, a milioni di ebrei venne negata la qualifica di cittadini e poi quella di semplici esseri umani. Antico antigiudaismo cristiano, nuovo razzismo scientifico, moderno nazionalismo, nuovissimo spirito tecnologico, profondo spirito reazionario, recente antisemitismo politico, tutto ciò e altro ancora compose una miscela che, nel contesto del nuovo sanguinoso conflitto, produsse la shoah. La Mostra "Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945" illustra cosa accadde nel nostro Paese, sotto il regime fascista e dal 1943 sotto la Repubblica sociale italiana e l'occupazione tedesca. Il percorso espositivo si sviluppa dalla campagna stampa antiebraica del 1938 alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau, luogo principale dello sterminio degli ebrei della penisola, si sofferma sugli atteggiamenti della società e sul contesto bellico, evidenzia la specificità di singoli episodi e contestualizza gli aspetti generali. Viene documentato, per la prima volta in modo scientifico e completo, ciò che avvenne in Italia in quei tragici anni: la legislazione antiebraica e le sue conseguenze sulle vittime (autunno 1938 - estate 1943); gli arresti, la deportazione, lo sterminio e la vita ebraica in clandestinità (settembre 1943 - aprile 1945). Il visitatore viene posto dinanzi ai fatti, ai testi, alle fotografie dell'epoca, affinché possa essere maggiormente coinvolto da quegli eventi, riconoscere il perseguitato che venne strappato alla scuola pubblica, alla vita lavorativa, alle amicizie, alla vita.
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SESSANTENNALE DELL’OLOCAUSTO
UNGHERESE “L’olocausto nell’arte
figurativa ungherese” è questo il titolo della mostra con
cui l’Accademia di Ungheria, in collaborazione con il Museo Ebraico
di Budapest e i familiari degli artisti, ha deciso di celebrare il sessantesimo
anniversario dell’olocausto ungherese. Nell’arte figurativa
ungherese dell’inizio del ‘900 hanno avuto un ruolo fondamentale
artisti di origini ebree, considerati cittadini ungheresi a tutti gli
effetti. Tra il 1938 e il 1939 a causare il primo trauma per molti di
loro fu “l’essere classificato ebreo”, nonostante fossero
inseriti nella vita culturale e pubblica del Paese; numerosi intellettuali
(Béla Bartók, Aurél Bernáth, Zsigmond Móricz)
protestarono in nome della cultura magiara contro questa discriminazione.
Scultori, pittori, artisti molto celebri furono chiamati ai lavori forzati
o al fronte. Ecco alcuni nomi dalla lista degli intellettuali scomparsi:
Dávid Jándi, István Örkényi Strasszer,
János Schnitzel, Pál Berger Juhász, György Weisz
Fehér, e Imre Ámos, il cosiddetto “Chagall magiaro”,
che sui fogli scritti e disegnati del suo diario documentò gli
orrori e le umiliazioni degli ultimi quattro anni della sua vita, trascorsi
ai lavori forzati. Nelle sue opere di quel periodo sopravvive il senso
etico, l’emotività, lo stile surrealista, malgrado l’ambiente
di disumanità e desolazione che lo circondava.
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ORO BIANCO GINORI L’esposizione Oro Bianco Ginori. Oggetti, design, tecniche e laboratori sull’Arte della Porcellana, al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia fino al 28 novembre 2004, intende illustrare i misteri dell’inestricabile intreccio esistente tra l’abilità manuale e la sensibilità artistica; ciò grazie ad un efficace percorso espositivo realizzato ricalcando la reale articolazione dello stabilimento di Sesto Fiorentino nel quale le porcellane Ginori prendono forma; il tutto nel rigoroso rispetto per la tradizione e al tempo stesso nella costante attenzione per l’innovazione tecnica, elementi che caratterizzano la storia di tutta la produzione della manifattura Richard-Ginori dalle sue origini risalenti al 1737 fino ai giorni nostri; il visitatore della Mostra di Palazzo Venezia potrà effettuare una vera e propria visita virtuale alla più antica fabbrica di porcellane in Italia, alla scoperta di quegli affascinanti “segreti” che già agli inizi del XVIII secolo, hanno portato alla realizzazione della porcellana, il mitico “oro bianco” che con la sua lucentezza, la sua trasparenza e la sua straordinaria compattezza materica, ha sedotto il gusto estetico di intere generazioni dei più importanti sovrani della Vecchia Europa. Il laboratorio della Ceramica attivo all’interno del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia ospita, durante tutto il periodo di svolgimento della Mostra, un laboratorio didattico dedicato specificatamente alla porcellana Ginori: in tale contesto e sotto la guida diretta di valenti maestri-decoratori della manifattura Richard-Ginori, è possibile sperimentare personalmente la pratica decorativa all’interno di un vero e proprio corso di pittura su porcellana ed apprendere la tecnica della decorazione a piccolo fuoco, così come era praticata nel XVIII secolo, agli inizi della storia della fabbrica toscana.
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TRENT’ANNI DI OVETTI
La Pasqua più democratica? È quella della Kinder. Nel 1974 – ormai trent’anni fa – la Kinder ha ‘regalato’ gli ovetti a tutti i bambini, ma non solo. Se una volta, infatti, per avere un uovo di cioccolata bisognava aspettare Pasqua, oggi basta entrare in un qualunque bar. Cioccolata a costo ridotto ma, soprattutto, sorprese. Una rivoluzione sociale da non sottovalutare, cui si è aggiunto, con il passare degli anni, il mito. E da questo, in un’ulteriore evoluzione, il collezionismo. Il ‘mercato nero’ delle sorprese uscite di produzione cresce con passi da gigante. Alla rivoluzione più buona del mondo, il Complesso del Vittoriano dedica, fino al 24 ottobre, la mostra “SorpresEmozioni”. L'attenta progettualità, il lavoro manuale, lo studio dei prototipi e il forte impegno artigianale, rappresentano le peculiarità che da sempre contraddistinguono il mondo Kinder Sorpresa. La Mostra per il Trentennale vuole analizzare questi aspetti ripercorrendo trent'anni di progetti, di collezioni e creazioni, di "mondi", veri e propri universi fatti di personaggi divertenti e curiosi, attraverso il confronto con i materiali e gli strumenti utilizzati dagli artigiani e dai disegnatori Kinder. La Mostra presenta la Kinder Sorpresa come un vero e proprio oggetto d'arte affrontando ora il suo processo creativo attraverso disegni, progetti, filmati, ora la storia del collezionismo con l'esposizione dei pezzi più noti e particolari, ora il mondo delle sorprese con l'analisi dei tanti personaggi creati in trent'anni e la scelta, anno per anno, delle creazioni più rappresentative.
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LA RICERCA NEL SEGNO Fino al 15 novembre, lo Studio San Giacomo ospita una mostra dedicata al disegno novecentesco. Segno e disegno sarebbe il caso di dire, dato che, in realtà, al disegno tradizionalmente inteso si aggiungono anche tecniche miste. Tra i vari disegni - tutti provenienti da collezioni private ed in vendita nella stessa galleria - anche un disegno di Giorgio de Chirico “Cavalli”, tema prediletto dall’artista, ripetuto nel corso del tempo in innumerevoli schizzi, fogli finiti e in più di 50 tele. I disegni degli artisti scelti nel percorso espositivo (Ambrogio Alciati, Franco Angeli, Baccio M. Bacci, Giacomo Balla, Balthus, Giuseppe Capogrossi, Felice Carena, Bruno Caruso, Gisberto Ceracchini, Corrado Cagli, Duilio Cambellotti, Charles Chaplin, Fabrizio Clerici, Primo Conti, Massimo De Carolis, Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Stefano Di Stasio, Pericle Fazzini, Franco Gentilini, Oscar Ghiglia, Renato Guttuso, Adolf Hiremy Hirschl, Guglielmo Innocenti, Leoncillo, Carlo Levi, Riccardo Licata, Mino Maccari, Antonio Marasco, Luigi Montanarini, Plinio Nomellini, Ubaldo Oppi, Luigi Pirandello, Enrico Prampolini, Mario Schifano, Gino Severini, Mario Sironi, Armando Spadini, Orfeo Tamburi) pur diversi tra loro per intenti e poetiche rappresentano una importante testimonianza del ruolo centrale del disegno nell’opera dei Maestri dell’arte del XX secolo e delineano una scelta di gusto da parte della curatrice che si occupa di disegni antichi da trent’anni.
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IL VITTORIANO DI DEGAS Dipinti, sculture, incisioni, disegni e fotografie. Con oltre 180 opere, “Degas. Classico e Moderno”, al Complesso del Vittoriano dal 1° ottobre al 1° febbraio, è la mostra più completa che sia mai stata organizzata in Italia sul celebre impressionista francese. L’esposizione, come sottolinea il titolo, punta l’attenzione sulla duplice anima di Degas: da un lato impegnato in un’ossessiva ricerca di nuove forme e nuovi materiali, dall’altro, invece, legato ai grandi modelli del passato. Donne e cavalli i temi a lui più cari. I corpi vengono spogliati ed analizzati nei dettagli, a farne dei soggetti da laboratorio. D’altronde, è lui stesso a dire che “l’arte è il vizio. Non la si sposa legittimamente, la si violenta”. Poco amato dagli altri impressionisti, Degas ne utilizza la tecnica per sezionare la vita nei suoi aspetti quotidiani, mostrandone piccolezze e dettagli con fredda lucidità. Una sezione speciale del percorso espositivo ospita la collezione completa di bronzi dell’artista, acquistati, nel 1951, dal Museu de Arte di San Paolo. La prova che, al contrario di quanto a lungo supposto, Degas si dedicò alla scultura tutta la vita e non solo negli ultimi anni, quando era ormai troppo cieco per dipingere.
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FRASCATI INCONTRA LILITH
“Lilith: L’aspetto femminile della creazione”
è il tema con cui Le Scuderie Aldobrandini aFrascati hanno deciso
di inaugurare la nuova stagione espositiva. Le opere di trentasei artiste
contemporanee provenienti da tutto il mondo illustrano l’archetipo
femminile. Lilith, preesistente ad Eva, e realizzata con la stessa materia
di Adamo, cui non accettò di sottomettersi, fu cacciata –
per questa ‘rivolta’ – dal paradiso terrestre. Nata
in un’eclissi di luna, diventò il simbolo culturale dell’eterna
lotta della donna per la sua emancipazione. Curata da Maria Luisa Trevisan,
la mostra presenta sculture, dipinti, istallazioni ambientali e video.
Molti i grandi nomi esposti: Carla Accardi, Karin Andersen, Cecily Brown,
Nan Golden e Kiki Smith solo per citarne alcune. Accanto a loro, anche
artiste – meno note . legate al territorio, che negli anni hanno
acquisito una loro maturità artistica.
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CARLA ACCARDI AL MACRO Fino al 9 gennaio, il Macro, nella sede di via Reggio Emilia, ospita una personale di Carla Accardi. Nata nel 1924 a Roma, la Accardi si trasferisce presto a Roma, dove entra in contatto con Consagra, Perilli, Turcato, Attardi e Sanfilippo, che diventerà poi suo marito. Con loro, nel 1947, firma un manifesto che sostiene l’arte non figurativa. All’iniziale adesione al post-cubismo, aggiunge una diversa e personalissima poetica del segno, abbandonando presto il bianco e nero per scegliere colori accesi e brillanti. Dopo il colore decise di operare dei cambiamenti nei materiali utilizzati, lasciando la tela in favore del sicofoil, una plastica trasparente; seguita poi dai “rotoli”, pitture sculture realizzate arrotolando un foglio di plastica dipinta con segni monocromi. da qui alla costruzione di strutture ambientali il passo è breve. Nascono così le Tende, in sicofoil e colore, ed i Lenzuoli. Negli ultimi anni torna alla pittura, dipingendo su tela grezza o su ceramica. La rassegna romana presenta una raccolta dei lavori che Carla Accardi ha realizzato dagli anni ’70 ad oggi. Articolato in 4 sezioni, il percorso si snoda attraverso le opere degli anni ’70, una casa-labirinto in perspex, una serie di alti coni in ceramica e 15 grandi disegni realizzati appositamente per il MACRO.
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IL CIELO DI ROMA Sono passati venti anni, e Roma finalmente ha di nuovo un planetario. Dopo la chiusura di quello storico che aveva sede presso la sala della Minerva all’interno delle terme di Diocleziano, il planetario si trasforma, ammodernandosi e diventando parte di un polo divulgativo della scienza, presso il palazzo della civiltà romana all’eur. Dotata di una superficie di 300 metri quadrati, una cupola schermo di 14 metri di diametro e la disponibilità di 100 sedute ergonomiche, la struttura si avvale di una moderna tecnologia ottica e digitale. Il nuovo polo della scienza è composto anche da un interessante museo astronomico basato sul concetto della teatralizzazione della didattica e di un centro di documentazione per le scienze astronomiche.
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LE RADICI DELLA NAZIONE
Le radici della nazione è il nome del progetto del ministero dei beni culturali – realizzato in collaborazione con il senato della repubblica – che fino al 2011 farà del vittoriano uno strumento di promozione della storia del nostro paese, portavoce di una cultura di diversità nell’unione. Otto le mostre previste – una per anno – che, raccontando l’evoluzione dell’italianità – intesa non come nazionalismo ma come nazione culturale – ci accompagneranno fino alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. L’evento è già stato preso a modello da alcuni paesi della Comunità europea, sposandosi perfettamente con la filosofia dell’unione che unisce paesi di tradizione e cultura differente, per fare delle loro diversità una fonte di ricchezza. L’inaugurazione dell’evento si terrà il 2 giugno presso il Vittoriano appunto, nella sala Zanardelli, con la mostra “Fonti per la storia d’Italia”, raccolta di documenti, statuti e testi miniati, dipinti, ma anche filmati storici dell’archivio dell’Istituto Luce.
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LA COLLEZIONE DEL PRINCIPE
“La collezione del principe da Leonardo a Goya”:
è questo il titolo della mostra ospitata a Palazzo Fontana di Trevi,
fino al 20 luglio e promossa dall’istituto Nazionale per la Grafica
in collaborazione con l’Accademia dei Lincei. L’esposizione
raccoglie i disegni e le stampe che i principi Corsini raccolsero per
oltre un secolo all’interno della biblioteca di famiglia. La collezione
– frutto del gusto del cardinal Neri Maria Corsini – faceva
parte delle raccolte manoscritte e a stampa della Biblioteca e continuò
ad essere ampliata anche nel corso dell’ottocento fino a Tommaso
Corsini, senatore del Regno e donatore, nel 1883, della ricca biblioteca
di famiglia all’accademia.
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VISITA ALLA CALCOTECA Con oltre 23.000 matrici , realizzate tra il ‘500
ed il ‘900., La calcoteca di Roma è la più grande
del mondo, seguita poi da quella spagnola e, solo al terzo posto, da quella
francese ospitata presso il Louvre. Con una maggioranza di pezzi in rame
ma anche più rari esemplari in zinco, piombo, ottone e legno, la
collezione romana racconta la storia del nostro paese e l’evoluzione
di un genere artistico. Piranesi, Rossini, Salvator rosa, Carrà,
Morandi sono solo alcuni dei tanti artisti le cui opere sono conservate
nei sotterranei dell’istituto nazionale della grafica, in una struttura
che poco nota ai romani, sembra invece essere ben conosciuta dagli stranieri
che ne sono i maggiori fruitori, considerandola uno dei grandi tesori
della capitale. Decisamente all’avanguardia nelle tecniche di restauro
e conservazione degli stampi, la calcolteca lo è altrettanto nel
modo di intenderne il valor. Insieme alla Spagna, l’Italia è
infatti l’unico paese europeo ad aver compreso e valutato le matrici
come veri e propri beni culturali e non più come semplici strumenti
per produrre oggetti d’arte. Di riproduzioni comunque se ne eseguono
ancora ma mai da calchi originali. Grazie alla galvanoplastica è
possibile ricostruire una copia metallica pressoché identica all’originale
d’epoca da un modello in gomma siliconica. All’alto costo
di questa tecnica fa da contraltare il basso costo delle stampe così
riprodotte, quasi perfette e senza che vengano alterati i calchi originali
con l’inchiostro e la pressione dei torchi.
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Libertà IN BIANCO E NERO
“4 giugno 1944. La liberazione di Roma nelle immagini
degli archivi alleati” è questo il titolo della mostra fotografica
ospitata al complesso del Vittoriano a Roma fino al 5 settembre. Il percorso
si snoda attraverso circa 400 foto, ed alcuni filmati d’epoca, che
raccontano una Roma diversa da quella storicamente nota, perché
vista dall’esterno, dallo straniero che improvvisamente si scopriva
eroe e salvatore. Una Roma povera ma felice, ed in cuor suo vittoriosa
perché finalmente libera. Un’esposizione interessante, commovente,
e bella. Semplicemente bella di quell’aggettivo che nella sua semplicità
a volte pare diventare banale, ma che in questo caso è il più
adatto a descrivere un viaggio di luci ed obiettivi nel cuore della nostra
storia. Forse l’unico ed il migliore commento possibile va rubato
alle parole incise da un prigioniero nelle carceri di via tasso:
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DOPPIE VISIONI Fino al 29 agosto, le scuderie del Quirinale a Roma aprono le porte alle fotografie dei maestri internazionalmente riconosciuti, ma non solo. Accanto ai grandi Salgado, Cartier Bresson, Giacomelli e Rossmeyer solo per citarne alcuni, hanno esposto i loro lavori anche fotografi più giovani e meno noti, tutti rigorosamente italiani. Obiettivo della mostra è quello di porre a confronto diverse sensibilità ed epoche, chiaramente supportate ed espresse da altrettanto diverse tecnologie sugli stessi temi. Tempi e modi differenti si incontrano in un unico spazio per dialogare tra di loro su un terreno comune, ma soprattutto per coinvolgere lo spettatore più o meno appassionato. L’esposizione ha infatti un chiaro intento didascalico che se non vuole raccontare la storia della fotografia, vuole comunque educare ad una concezione dello scatto come opera d’arte. E proprio per questa finalità magistralmente assolta, l’esposizione sembra scontentare un pubblico più ‘esperto’ e di addetti ai lavori, cui non possono sfuggire alcune piccole ma significative leggerezze: l’accostamento di cartier bresson a giacomelli, distanti nella loro attività di soli pochi anni a fronte del mezzo secolo che intercorre tra gli altri artisti, e ancora per proseguire il discorso su giacomelli la mancanza dei tanti scatti dedicati alla malattia ed all’esclusione, cui l’artista dedicò la parte più consistente del suo lavoro, ed ancora l’eccessiva enfasi posta su alcuni dei fotografi più giovani quasi a voler oscurare l’opera di indiscutibili maestri che delal fotografia hanno fatto la storia. Lodevole comunque l’intento della mostra, che infatti non manca di ottenere un riscontro di pubblico. Forse l’educazione allo scatto avrebbe dovuto si scegliere la via dell’estetica ma accompagnandola a quella della cultura.
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BENTORNATA VALADIER
Un ristorante ed una vineria, un posto d’incontro per aperitivi ed una sala per due chiacchiere riscaldate da un tè: è questo il nuovo aspetto della Casina Valadier, in passato cuore di villa borghese poi nel corso dei secoli, dimenticata o forse dovremmo dire oscurata. In realtà, il destino della casina progettata dall’architetto Valadier sembra non essere stato dei più felici sin dall’inizio. La Roma bene per cui era stata disegnata e realizzata sembrava non volerla accogliere nelle sue grazie. Fu solo nel novecento che cominciò ad andare di moda. Ma anche in questo caso la fortuna durò poco fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui pochi anni or sono, la casina diventò location di feste estive ancora una volta destinate alla Roma bene, che questa volta partecipò dimenticando quel presunto ‘bene’ che doveva contraddistinguerla e finendo quindi per portare alla casina più danni che lustro. Oggi, il comune di Roma nel desiderio di farla tornare a nuova vita, l’ha affidata in gestione a la grande cucina s.p.a., società di recente costituzione dietro cui si celano i nomi dei più noti imprenditori italiani. A loro si deve il restauro della villa e di una parte dei reperti archeologi che sotto di essa sono stati rinvenuti. È stata infatti riportata alla luce la cisterna romana, meno fortunati altri reperti che dopo un primo studio sono stati reinterrati per motivi di conservazione. A questi imprenditori l’onore del restauro compiuto faticosamente e gli oneri di un nuovo lancio della location, che questa volta si spera sia più fortunato e duraturo.
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Il Decò in Italia Mobili, gioielli, vasi e tappeti, affreschi ma anche cartelloni pubblicitari: il chiostro del bramante a Roma riscopre le arti applicate, nella mostra “il Decò in Italia”, visitabile fino al 13 giugno. Dalle origini fino agli sconfinamenti nel razionalismo, ed agli scontri/incontri con futurismo e neoclassicismo, il percorso espositivo racconta venti anni della nostra storia e della nostra produzione artistica, dal 1918 per essere precisi fino al 1939. Ma soprattutto punta l’attenzione su una ricerca artistica che voleva dare corpo e soprattutto immagine alla tensione del mondo intero verso la modernità, con la creazione di uno stile proteso verso il nuovo. Moderno è tutto ciò che evoca progresso, dinamismo, movimento ed invenzione: così la lampada che non serve più solo per illuminare ma anche per omaggiare il portento tecnologico della luce elettrica, così anche le automobili – evidente il collegamento con il movimento futurista. E proprio con Balla e Depero – non a caso – si apre la mostra, nella ricostruzione futurista dell’universo e nella proiezione tramite luce e colore del movimento su superfici statiche e, per loro natura, rivolte all’osservazione o dovremmo dire all’ammirazione di prodotti a metà tra l’arte ed il ludus da parte di un pubblico culturalmente elitario. Il Decò, inteso nella sua più ampia accezione che va a coinvolgere quindi tanto le arti cosiddette maggiori quanto le minori, è stato il padre del made in Italy, insegnando a fondere linguaggi differenti in un unico e nuovo concetto di stile.
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Il mito di flora La primavera: il risveglio della natura tra arte e mito, questo il titolo della mostra allestita al complesso del Vittoriano fino al 2 maggio. Promossa dalla provincia di Roma ed inserita nell’ambito delle celebrazioni della festa di primavera appunto, l’esposizione vuole tracciare un breve percorso, attraverso i secoli, nella concezione e soprattutto rappresentazione che la sensibilità di artisti differenti ha offerto del mito della primavera, nella sua accezione naturalistica ed allegorica. 90 le opere esposte tra oli, acquerelli, stampe e reperti archeologici. Molti i grandi artisti: Brueghel, Guercino, Ludovico Carracci, Pietro e Gian Lorenzo Bernini. Il percorso si snoda attraverso 5 sezioni: feste di primavera e provincia – dal 1600 al 1800; il mito di flora, dea della fertilità e regina dei fiori nonché metafora di giovinezza e beltà; il ciclo della vita: le quattro stagioni, cerere e proserpina: il risveglio della natura ed infine “immagini di fiori”, intesi come massima espressione e teofania dell’energia divina creatrice, antesignani del genere che successivamente verrà dfinito “natura morta”. 90 opere per un percorso che vuole in realtà essere solo un principio di lavoro, un suggerimento in un certo senso, che rimandi l’osservatore alla ricerca della primavera attraverso i secoli secondo la propria sensibilità, privilegiando la raffigurazione più celebre – basti pensare al Botticelli – o quella meno nota. Una mostra quindi laboratorio, che si offre come strumento di un viaggio tematico attraverso la storia.
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I TESORI DEGLI AZTECHI
“Il popolo del cactus, dell’aquila e del serpente sul cuore palpitante” – questa l’immagine degli aztechi che viene tramandata nel corso dei secoli dai codici dipinti e che, oggi, è diventata il cuore della bandiera messicana. A quel cuore è dedicata la mostra “i tesori degli aztechi”, a palazzo ruspoli a roma fino al 18 luglio. Con oltre 350 reperti provenienti dal Messico, il percorso della mostra racconta la storia di un popolo, attraverso le sue gesta gloriose ma ricordando anche quegli oscuri e sanguinosi sacrifici umani che all’epoca fecero rabbrividire i conquistadores spagnoli guidati da cortès. dalle manifestazioni artistiche dei predecessori fino all’introduzione del cristianesimo ad opera degli spagnoli, l’esposizione offre uno spaccato sulla cultura di un popolo che seppe – almeno inizialmente – incutere rispetto agli invasori, suscitandone la curiosità. Religione, dei e calendario, oroscopo, natura ed essere umano come oggetti d’arte, il templo mayor – la maggiore piramide azteca che sorgeva al centro della capitale tenochtitlan – ed ancora l’impero, la vita del re ma anche il quotidiano della gente comune: sono questi i temi presi in esame da una mostra che si candida ad essere uno dei grandi appuntamenti culturali dell’anno, non solo per l’eccezionale monograficità tematico-cronologica, ma anche per la presenza di oltre 40 reperti provenienti dai recentissimi scavi del templo mayor. le opere presentate sono le più importanti di tutta la cultura azteca sopravvissuta alle distruzioni degli spagnoli. A loro il compito di essere testimoni di un mondo ricco e complesso che, nel confronto con un nuovo intransigente, finì per indebolirsi fino a scomparire.
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L’intermezzo di Barthes
Colori che si intrecciano, sovrappongono e compongono, colori che sono frammenti, forse, di un lungo discorso amoroso. A roland barthes, uno dei grandi intellettuali del secolo scorso, palazzo venezia a roma dedica una mostra personale, composta di fotografie, frammenti letterari, disegni ed opere pittoriche. Una mostra che vuole regalare al pubblico un nuovo e meno noto aspetto dell’iter creativo dell’artista. Scrittore, certo, ma anche filosofo, pensatore e disegnatore, barthes ha attraversato il secolo in maniera poliedrica e trasversale rimanendo incantato o forse dovremmo dire sedotto dalla parola e con essa seducendo a sua volta. Parola che è prima di tutto segno. E segni sono infatti quelli che campeggiano sulla carta: non pittura astratta almeno non solo, ma segni come origine di un discorso, di comunicazione, di contatto. Perché no? D’amore. “la parola mi travolge con l’idea che farò qualcosa con lei: è il fremito di un fare futuro, qualcosa come un appetito. Un desiderio che sconvolge tutto il quadro immobile del linguaggio.” A questo barthes, visionario o forse ritrattista della lingua è dedicata la mostra - un’immersione nel suo modo di intendere la cultura.
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Le Corti Del Barocco
Bizzarro come il termine che lo indica derivato dalla logica scolastica baroco: il barocco nacque ai primi del seicento a roma e si diffuse in breve in tutta europa, conquistando le corti di diverse nazioni con i suoi colori, i suoi giochi, le sue originalità e le sue ricchezze. A questo movimento che raggiunse il suo apice in coincidenza con il momento di massima espansione della società cortigiana le scuderie del quirinale a roma dedicano la mostra “le corti del barocco”, visitabile fino al 2 maggio. Dalla roma di innocenzo x ed alessandro vii alle corti asburgiche di madrid e vienna fino alla versailles di luigi xiv, l’esposizione racconta la nascita e la diffusione di uno stile e di un linguaggio comune tra le diverse corti, continuamente alimentato dai viaggi degli artisti, dal collezionismo e dalle donazioni a fini diplomatici, nonchè, prima di tutto, dalla comune passione per l’arte. Tappe di questo viaggio in un epoca, nella sua politica e nel modo di intendere la fine arte della diplomazia ma sarebbe forse meglio dire di vestirla e mascherarla, sono proprio quegli artisti che del barocco possono essere considerati i padri: gianlorenzo bernini, luca giordano e diego velazquez. Modi e sensibilità diverse che si prestano a compiacere i desideri dei committenti con uno stile però ed una poetica marcatamente indipendenti, unici, originali. Non si può dimenticare infatti che il barocco nella sua molteplicità di sfumature si nutre ed arricchisce proprio dei diversi modi di interpretarlo. Così accanto a putti e madonne, santi in turbinio di vesti fluttuanti e vaporose, o scene mitologiche trattate con vivida e teatrale durezza si possono trovare la possanza scultorea del bernini, capace di dar corpo ad una lacrima nel marmo, mantenendone la levità e – paradosso – la trasparenza, od il drammatico realismo di caravaggio, fatto di passi sporchi per il lungo camminare e malattie che consumano l’anima ed il corpo che le è casa.
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Anni ‘90 Quanto è cambiata l’arte dagli anni ’90 ad oggi? A rispondere è la quadriennale di roma nel convegno internazionale “arte e cultura negli anni ’90, dalla fine del muro all’11 settembre”, che ha visto partecipare storici e critici d’arte, artisti e curatori di mostre, galleristi o semplici appasionati. La caduta del muro e l’attentato alle twin towers sembrano essere le colonne d’ercole di un decennio che ha vissuto molti ed importanti cambiamenti e nello stesso tempo, più che semplici delimitazioni scelte per facilità di studio, di quei cambiamenti sono motori e sintomi. Sicuramente le arti si sono notevolmente sviluppate dal ’90 ad oggi, anche perché si sono dovute confrontare con una situazione politica internazionale che non permetteva e non permette il silenzio. Laddove la realtà diventa infatti tanto tragica e crudele da imporre anche ai media una buona dose di riserbo, spetta agli artisti il difficile compito di dar vita ad un nuovo linguaggio capace di testimoniare l’orrore della storia e della cronaca. Sensibile sviluppo dell’arte quindi cui ha fatto inevitabilmente seguito una massiccia proliferazione di musei, gallerie e spazi espositivi che non riescono però ancora a soddisfare la sempre crescente richiesta di artisti e di pubblico. Questo unito ad una concorrenza che finisce per schiacciare le realtà più piccole, togliendo di conseguenza spazio anche agli artisti che ospitano, è solo uno dei tanti problemi con cui oggi bisogna fare i conti. Problemi esistono a livello strutturale, ma non solo. A lamentarsi infatti sono anche quelli che dell’arte più che l’aspetto marcatamente promozionale, vedono l’ispirazione trascendente, il dinamismo ed il potere di comunicazione. Sono molte le questioni in sospeso – una tale crescita va infatti in un certo senso orientata o comunque gestita per sfruttarne al massimo le potenzialità – ma la parola finale resta comunque agli artisti, gli unici in grado di testimoniare l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori nei confronti del nuovo e di conseguenza di offrire uno spaccato dei cambiamenti che sta vivendo la nostra società nella sua ricerca del bello.
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Paesaggi del mondo È giunta al quinto appuntamento la rassegna pittorica
“strade d’europa’ che fino alla fine del 2004 trasformerà
gli spazi del centrale a roma in un vero e proprio museo della cultura.
Una rassegna che vanta tra gli artisti proposti molti interessanti nomi
della scena culturale che potremmo definire occidentale, definizione questa
che, pur nella sua vaghezza, assume valore per il suo essere prima fase
di un più ampio progetto che, nel 2005, con una nuova rassegna
intitolata belvedere si aprirà anche all’oriente. Due gli
scopi dell’iniziativa: da un lato quella di offrire la possibilità
di esporre ad artisti di valore non sempre adeguatamente conosciuti dal
grande pubblico, dall’altre quella di restituire un ruolo di primo
piano nel panorama culturale della capitale al centrale che fu uno dei
più rinomati palchi di cabaret del ‘900.
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L’arte in movimento
Please touch: perfavore toccate. Potrebbe essere questo il sottotitolo della mostra ‘l’arte in movimento’del pittore e scultore,isvan harastzty, ospitata all’accademia d’ungheria a roma fino al 22 maggio. Una mostra che raccoglie opere pittoriche, sculture, ma soprattutto meccanismi interattivi realizzati sin dai primi anni ’60 per cercare di coinvolgere lo spettatore, facendolodiventare da fruitore passivo parte integrante dell’opera. Metallo, plexiglass e plastica sono i materiali utilizzati per costruire pendoli, cerchi e carrucole ma soprattutto per dare corpo alla visione nichilista della realtà e ad una filosofia estetica che prima ancora però è filosofia di vita. Le opere di haraszty sembrano infatti sintetizzare il percorso evolutivo dell’uomo parlando dell’homo faber, che lavora i materiali, dell’homo ludens che sa giocarci e dell’homo moralis che fa della sua attività sintomo e simbolo di un messaggio più alto. Gioco innanzitutto quindi, ma solo in apparenza, dietro le quinte della fantasia si nasconde infatti un messaggio a volte anche duro e polemico, il messaggio di chi vuole scuotere il mondo perché prenda coscienza di sé.
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Tra Poesia e Sentimento
Una propensione alla pittura partecipata affettivamente, che muoveva l’anima prima ancora di essere espressa su tela, una pittura emozionata, che non si faceva cantrice del gesto eroico inteso nella sua accezione epica ed in un certo senso istituzionalmente tradizionale, ma che di quell’epicità percepiva il familiare, l’intimo, il personale ed il vissuto. Una pittura che, conosciuta la bellezza classica della città eterna, da quella bellezza si lasciò contaminare, andando alla ricerca di una ratio che fosse in grado di sintetizzare sentimento e favola, immaginario e meraviglioso. È questa l’arte del guercino, che diventa metafora e simbolo della rivoluzione artistica secentesca nel modo di intendere e rappresentare la poetica del sentimento nell’ambito della mostra “poesia e sentimento nella pittura del ‘600”, organizzata da romartificio in collaborazione con grandi stazioni e de agostini e visitabile fino al 30 giugno nell’ala mazzoniana della stazione termini. Oltre cento opere costituscono il corpus di un percorso che prendendo le mosse dai predecessori del pittore, ne analizza l’opera, studiandone le influenze su contemporanei e successori, ma soprattutto studiando la particolarità di un tratto delicato ed intenso che, nella rappresnetazione del privato, riuscì a diventare cantore di un sentimento puro,liberamente espresso e scevro da ogni sentimentalismo. Curata da sir denis mahon, massimo pulini e vittorio sgarbi, l’esposizione sceglie proprio poesia e sentimento come linee guida per un diverso modo di rapportarsi con uno dei maestri della storia dell’arte italiana. Articolata in sei sezioni, la mostra, prendendo le mosse dai precendenti appunto, passa attraverso gli affetti domestici, il sentimento del luogo, il patetismo eloquente di mezze figure o singole teste, scelte come massime espressioni di spiritualità, dolore ed eroismo, per raccontare un’arte che lontana dalle commissioni pubbliche sceglie di raccontare sentimenti, sensi ed affetti, per commuovere lo spettatore, proponendo una più profonda contemplazione.
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Foto-sequenza Il sole che sorge, si alza, poi cala fino a scomparire. Il mare coi suoi riflessi, superficie di specchio rigata dalle onde che trasformano le luci in suggestioni lontane rimandando al gange ed alle sue candele di vita oltre la morte, candele di memorie, ma anche le luci gialle dei lampioni che si specchiano su fiumi, torrenti ed acque di ogni città: questi i soggetti prediletti da janos dobra, le cui opere, foto in sequenza, sono ospitate fino al 22 maggio all’accademia d’ungheria. Foto di movimento che vincolano il dinamismo alla staticità di un supporto da muro per raccontare l’istante e fissarlo nell’eterno. Foto che sono immagini ma prima ancora, forse, sensazioni e poesia. Con i suoi scatti infatti janos dobra racconta l’orizzonte descrivendolo ed illustrandolo nei suoi cambiamenti a volte impercettibili per mostrare la meraviglia del dettaglio e ribadire quella che è la vera arte del fotografo: riuscire a far vedere ciò che agli occhi dei più è invisibile. Ma anche per mostrare come sia labile il confine tra arte e pittura, come l’una finisca per influenzare l’altra: non si può infatti non cogliere la somiglianza o se vogliamo il rimando a un impressionismo francese che sceglieva un unico soggetto da raccontare in diverse ore del giorno. Dobra riprende l’idea ma stavolta a fare da soggetto sono proprio le ore ed il tempo che passa.
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Paul Klee
Dipinti, fogli colorati, olii, tempere, acquerelli, tecniche
miste su tela, juta, cartoncino e carta, disegni, lavoro grafici, quadri
sottovetro, sculture e persino le marionette costruite per il figlio:
paul klee cercava ogni mezzo di espressione, ogni possibile tecnica e
materiale per raccontare il proprio orizzonte e più ancora lo sguardo
che lo incorniciava. Agli occhi di paul klee ed al suo sguardo è
dedicata la mostra allestita al complesso del vittoriano fino al 27 giugno.
Dopo un iniziale interesse per l’arte figurativa che a parer suo
deve prendere le mosse da un’idea poetica, avendo il limite però
di non riuscire mai ad illustrarla pienamente, klee si dedica totalmente
all’astratto. Nel 1914 scrive “adesso lascio il lavoro. Mi
inonda profondamente d dolcemente, lo percepisco e divento sicuro, senza
impegno. Il colore mi possiede. Non ho più bisogno di rincorrerlo.
Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno.
Io sono pittore”. È nell’abbandono della forma che klee
riesce a infondere il suo riflesso, dando corpo a visioni, idee e sogni,
trasfigurando la realtà per sentirne – paradosso – la
concretezza. L’ossessione del pittore di ricercare la perfezione
formale, il modo giusto e la giusta magia per incatenare il quotidiano,
imbrigliarle il fatto, l’accaduto, sulla tela è quindi paradosso
solo una prigione dell’artista. La perfezione non è in natura,
né nell’oggetto, tantomeno nel riflesso che può offrirne
l’arte. La perfezione è però possibile nell’emozione
che quell’oggetto e quel riflesso riescono a suscitare, ma l’emozione
è per sua natura dirompente e quindi frammenta il punto di vista
con il movimento, il pensiero, la fluttuazione del sé e del proprio
baricentro – fisico e filosofico. L’emozione pittorica è
colore, è informe, è impulso ed istinto, è l’abbandono
del calcolo di colori e gradazioni , condizioni spaziali ed in un certo
senso metrica, per lasciare libero sfogo all’anima nell’istante
della percezione, nel frammento del ricordo.
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L' “ACQUARIO” DELL'ARCHITETTURA Un destino confuso quello dell'Acquario Romano, che attraversa
le epoche, rinnovando ogni volta la sua veste. Inaugurato nel 1887, nacque
con la triplice funzione di acquario, stabilimento di piscicoltura e luogo
di ritrovo per la borghesia emergente del quartiere Esquilino. Un ameno
giardino – come ci raccontano le incisioni dell'epoca – che vantava anche
uno splendido laghetto attrezzato per la pesca sportiva circondava l'imponente
costruzione, i cui interni apparivano sfarzosi, ariosi e monumentali.
La sua edificazione si deve all'esperto di piscicoltura Pietro Garganico,
il cui progetto si sposò perfettamente con la linea politica di Quintino
Sella, che sognava per Roma il destino di capitale della Scienza. L'Esquilino
tuttavia non ebbe lo sviluppo sperato e si trasformò in una zona
residenziale popolare. Così, l'iniziale progetto venne trasformato
ad opera di interventi successivi e dotato di una sala teatrale che andò
a sostituirsi alla vasca per la piscicoltura. Pochi mesi dopo la sua apertura,
la struttura conobbe il primo degrado. Addirittura c'è chi teme che
“Piazza Fanti si trasformi in un pantano abitato da ranocchie”. Guasti
ed interventi di gestione rendevano difficile la manutenzione da parte
del Comune e, di conseguenza, la stessa vita della costruzione. Dal 1893
al 1900 fu utilizzato nelle maniere più disparate. La sala centrale
e le gallerie venivano infatti date in concessione temporanea per esposizioni
di vario tipo, riunioni di associazioni, mostre, concorsi pubblici e perfino
palestra per le scuole del quartiere. Malgrado diversi tentativi ed accordi
per restituire l'Acquario alla sua primigenia destinazione, fino al secondo
decennio del Novecento è utilizzato come sala di spettacolo. E più
precisamente per un teatro popolare, di secondo piano rispetto alle altre
sale della città. A volte viene utilizzato anche come cinema e circo
equestre. Ancora spettacolo nel 1930, ma dietro le quinte, diventando
magazzino del Governatorato, in cui tra le altre cose vengono conservati
gli scenari del Teatro dell'Opera. Molti i privati che vorrebbero gestire
l'edificio, salvandolo dal degrado e dall'abbandono in cui versa, ma l'Amministrazione
Comunale non ne tiene conto. Più preoccupata dall'assetto urbanistico
della Piazza, in seguito ai lavori per la stazione di via Giolitti, si
valuta addirittura il suo abbattimento considerandolo una ‘bruttura' antiquata.
Ma l'Acquario riesce a salvarsi ancora una volta in qualità di magazzino
polifunzionale, sede di uffici elettorali, sede dell'ufficio tesseramento
e archivio dell'Ente Assistenza Roma. Resta magazzino fino al 1984, quando
viene sgomberato per essere restaurato. A restauro concluso, lo spazio
è stato utilizzato come sede espositiva per esposizioni temporanee,
fino ad oggi. Si è trasformato infatti nella Casa dell'Architettura.
Attesa da circa trent'anni, la Casa sarà un punto di incontro e confronto
con la città e con le case dell'architettura delle altri capitali.
Non solo, sarà infatti anche sede di importanti convegni. Nell'autunno
2004 è previsto lo svolgimento della “Conferenza Mondiale delle Città”,
confronto sui temi dell'architettura e della qualità urbana. I giardini
saranno riaperti al pubblico tra un anno. E per quell'epoca ci saranno
anche una caffetteria ed una libreria. Valeria Arnaldi
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ADDIO ALLA STELE Ormai è una realtà. Oggetto di un lungo e difficile dibattito, la stele di Axum torna in Etiopia. Custodita in un hangar nei dintorni di Fiumicino per i prossimi mesi – in attesa dello smontaggio della parte rimanente – la stele dovrebbe fare ritorno in patria entro la fine del prossimo anno. Malgrado ormai l'obelisco sia stato ‘impacchettato', le polemiche e le battaglia proseguono – a colpi di denunce e di raccolta firme. Ma si tratta di una battaglia già persa in partenza, combattuta nella consapevolezza tragica di un destino già segnato. La stele è romana dal 1976,
da quando cioè Mussolini la fece collocare sulla Piazza di Porta
Capena, in occasione del quindicesimo anniversario della marcia su Roma.
Fu ritrovata nel '35 ad Axum, spezzata in tre tronconi, insieme a molte
altre steli della città santa. Fu portata a Massaua e qui imbarcata
per Napoli, dove arrivò dopo due mesi. A Roma all'obelisco fu donata
un'anima di ferro. Solo dopo il necessario restauro e la ricostruzione
di un angolo, fu possibile darle una nuova collocazione. La straordinarietà
dell'impresa, che diede problemi anche durante la sua posa in terra -
è uno dei tanti motivi addotti da chi vuole la stele in capitale.
Per l'Etiopia ha un alto valore simbolico, dato che è uno dei 66
monumenti utilizzati per indicare la presenza di una tomba reale. Non
solo. È considerata con i suoi 48 metri di altezza il secondo colosso
di Axum. Fin dalla fine della seconda guerra mondiale, l'Etiopia richiese
indietro il suo “tesoro”. Oggi lo ottiene. A Roma resta solo da pensare
ad un monumento che possa colmare l spazio rimasto vuoto, con la stessa
imponenza. È al vaglio la proposta per un monumento ai caduti per
la pace.
Valeria Arnaldi
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LA DEA CHE PIANGE Ha un grande viso di travertino e si riflette in uno specchio d'acqua - è così il volto che lo scultore tedesco Igor Mitoraj ha voluto dare alla Dea Roma, realizzando una scultura-fontana nel quartiere Prati. La scultura rientra in un progetto di abbellimento della città e di ammodernamento della sua parte monumentale, attraverso l'installazione di opere realizzate da grandi artisti del panorama internazionale. Valeria Arnaldi
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" DI MILLE SECOLI IL SILENZIO " Dopo 2100 anni, proprio in prossimità dell'avvio della nuova campagna di scavi, il teatro antico di Tusculum torna a vivere come spazio scenico. È rimasto in silenzio per oltre duemila anni ma
finalmente il teatro di Tusculum ha ritrovato la sua voce che ha il timbro
di Giorgio Albertazzi, artista che da 14 anni insieme al regista Maurizio
Scaparro porta lo spettacolo 'Memorie di Adriano' nei più suggestivi
spazi archeologici: da Tivoli, dove lo spettacolo ebbe il suo battesimo
nell' '89 fino al Tusculum di oggi, passando per l'Erode Attico di Atene.
Edificato a ridosso della collina, sfruttandone il pendio, il teatro sorse
in età sillana, I secolo a.C., fu ristrutturato in epoca giulio-claudia,
I secolo d.C. ed infine ampliato intorno al 100 d.C. La fase di abbandono
dell'edificio avvenne nella prima metà del III secolo d.C. Oggi della
costruzione sono visibili solo la parte inferiore della cavea ed il corpo
scenico, che però si trasformeranno ben presto nella terza struttura
archeologica fuori le mura aureliane in grado di ospitare spettacoli di
prosa, dopo il teatro di ostia antica e villa adriana a tivoli. Quello
di Albertazzi è quindi è stato una sorta di 'battesimo' dell'area.
visibilmente emozionato, l'attore è entrato in scena completamente
vestito di bianco, illuminato solo dalle fiammelle delle candele. Sono
stati i resti di una gloriosa antichità e la sua voce a fare il resto,
dando corpo alle parole ed alle fantasie di una giovane marguerite Yourcenar
che tra i 20 e i 25 anni concepì le "memorie di adriano",
giunte allo loro stesura definitiva molti anni più tardi. Si commuove
Albertazzi parlando dell'amato antinoo, giovinetto prediletto dall'imperatore
che per timore di una felicità fugace, scelse il suicidio come tramite
per conquistare l'immortalità della memoria, e si commuove il pubblico
per quelle intimità svelate con dolcezza e nostalgia. È tra
i ricordi che il teatro tusculum torna alla vita, per raccontare le storie
che le sue pietre hanno custodito per secoli nel segreto della polvere
che le ricopriva. Ed è tra i ricordi che il tusculum si prepara ad
una nuova gioventù, pronto ad accogliere gli artisti di oggi e lo
stesso albertazzi che il prossimo anno tornerà con le tusculanae
disputationes testo di cicerone su problemi della filosofia morale. Valeria Arnaldi |
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IL DAVID
DELLA DISCORDIA Anche Gran Bretagna e Stati Uniti entrano nella polemica
sulla pulitura del David Michelangiolesco e questo non può non avere
ricadute in Italia, andando a complicare ulteriormente la polemica. Il
dilemma riguarda la tipologia di restauro: la scultura potrebbe risentire
di un restauro completo ed approfondito? Bisognerebbe limitarsi solo alla
sua pulitura? Nel dubbio, la restauratrice cui era stato affidato lincarico,
Agnese Parrochi, ha preferito rifiutarlo, adducendo come motivazione il
timore che un intervento brusco possa danneggiare la statua. Il restauro,
secondo la Parrochi, sarebbe dovuto essere realizzato a secco,
usando pennelli soffici, gomme e panni, ma il direttore della Galleria
dellAccademia aveva optato, sulla base del rapporto di una commissione
di esperti, per un metodo basato su impacchi estrattivi di acqua distillata. Valeria Arnaldi
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FONDAZIONE PER LITALIA Città darte e fondazioni bancarie insieme
per intervenire con restauri sul patrimonio artistico nazionale
è questo lintento con cui nasce la "Fondazione per lItalia",
costituita da Mecenate 90. Da unindagine, condotta proprio da Mecenate
90, è emerso che i cittadini sarebbero ben disposti a fare donazioni
per la tutela dei beni artistici, ma solo se fossero certi della trasparenza
nella gestione dei fondi e nei controlli delle spese. A ciò si aggiunge
la possibilità di detrarre dalle imposte quanto donato e la possibilità
di vedere il restauro condotto a buon fine in tempi brevi. Sulla base
di queste premesse, è stata indetta una prima giornata di raccolta
fondi per il 19 settembre, che si svolgerà in tutte le città,
i cui comuni e fondazioni hanno aderito alliniziativa. Sarà
questa giornata il vero banco di prova della fondazione. Valeria Arnaldi |
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LA NUVOLA
DI FUKSAS
Sarà aperta al pubblico nei primi mesi del 2007
la "Nuvola", nuovo Centro Congressi Italia, progettato da Massimiliano
Fuksas, che insieme a Palazzo dei Congressi costituirà il nuovo sistema
congressuale dellEur. Periodo di grande creatività artistica
per Roma, che dopo lAuditorium di Renzo Piano, ed i progetti di
Zaha Adid, Odile Decq e Paolo Desideri, acquista un ulteriore gioiello
architettonico. Una teca di vetro che contiene la nuvola,
torre alta 70 metri ed un percorso pedonale di collegamento al Vecchio
Palazzo dei Congressi sono i punti di forza di un progetto che è
stato avvicinato al Museo Guggenheim di Bilbao. Il centro comprenderà
un auditorium di 1800 posti, due grandi sale congressuali ed un albergo
di circa 600 stanze. 2500 i posti auto previsti. Valeria Arnaldi |
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SALENTO |
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SAVONA |
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SIENA |
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SIENA - HUGO
PRATT. PERIPLO IMMAGINARIO (Palazzo Squarcialupi – Santa Maria della Scala, 24 marzo-28 agosto) Geografia intelletual-letteraria. Siena dedica un’antologica
“di viaggio” al celebre disegnatore Hugo Pratt, ripercorrendo
le tante rotte tracciate dall’artista nei suoi fumetti. Rotte
di fantasia, ma non solo. In carta ed inchiostro, Pratt ha voluto celebrare
alcuni ricordi d’infanzia e, soprattutto, alcuni sogni ad occhi
aperti fatti da bambino. Si parte dall’Africa, con lo studio dettagliato
di divise, stemmi, modus operandi di guardie e soldati di varia appartenenza
ammirati da piccolo negli anni trascorsi ad Addis Abeba con il padre,
che Pratt ha utilizzato nella realizzazione de “Gli scorpioni
dei deserto”. E si procede, poi, attraverso sette porte in altrettanti
mondi: dal’Africa a Venezia, al Mondo Celtico, all’America
Latina, al Nord America, al Pacifico ed all’Asia, accostando alla
propria fantasia, ogni volta, la memoria di quanto appreso – o
ereditato – da una famiglia cosmpolita. Gran parte della sua “apertura”
culturale, Pratt la deve, infatti, ai suoi natali: nato a Rimini nel
’27, era figlio di un soldato di carriera (nel ’36 trasferito
in Abissinia), che, a soli quattordici anni, lo fece arruolare nella
polizia coloniale. Sua madre era appassionata di scienze esoteriche
– cui frequenti sono i richiami nei suoi fumetti. Il nonno parteno
era di origine inglese – e dell’Inghilterra gli aveva insegnato
le tradizioni ed i miti celtici – il nonno materno, invece, ebreo
marrano, la nonna di origine turca. Pratt è il frutto di una
congerie di culture e credenze diverse, che hanno partorito lui e poi
il più celebre dei suoi figli, Corto Maltese, il marinaio senza
bandiera e con una linea della fortuna tutta da tracciare. All’esordio
di Corto è dedicata un’intera sala, in cui sono esposte
le 163 tavole de Una ballata del Mare Salato, la sua prima grande storia
a fumetti. Amante della letteratura avventurosa di stampo anglosassone,
Pratt si immergerà nel mondo di Anna nella jungla, Sgt Kirk,
Cato Zulu e Jesuit Joe, descrivendo le realtà più diverse
con una dovizia di particolari poco distante dallo studio antropologico.
Se la parte più cospicua della mostra è dedicata all’eroe
Maltese, è anche vero che grande spazio viene dato a tutti i
personaggi che lo affiancano nelle diverse storie, da Rasputin alle
tante donne che lo amano o lo ameranno, fino agli spiriti ed ai maghi
de Le Celtiche. Corto diventa, in questo modo, il centro di quel periplo,
punto di partenza ed approdo, o semplicemente di osservazione, con la
funzione di mediatore tra il lettore seduto in poltrona e la fantasia
a briglia sciolta del Pratt avventuriero, che si incarna proprio nel
celebre marinaio.
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TIVOLI |
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VILLA GREGORIANA Riaprirà nel 2004 Villa Gregoriana, ormai affidata
al Fai. I lavori inizieranno a gennaio e si concluderanno approssimativamente
per il mese di ottobre, in cui è prevista l'inaugurazione. Tre milioni
di euro sono previsti per la realizzazione del progetto di conservazione
e valorizzazione della Villa. Valeria Arnaldi |
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TORINO |
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“NON TOCCARE LA DONNA BIANCA” Fino all’8 gennaio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita la mostra antologica “Non toccare la donna bianca. Arte contemporanea fra diversità e liberazione”. Ad esporre sono 19 artiste internazionali che raccontano il loro modo di percepire ed intendere, ma soprattutto, rappresentare il mondo. Le artiste provengono per lo più da paesi con difficili situazioni politiche e sociali, di cui ci offrono a volte uno spaccato, a volte il frutto. Di cui ci illustrano le difficoltà ed i pesanti silenzi. Terre in guerra che non concedono alla donna il diritto alla dignità e, di conseguenza, alla parola, alla creazione artistica ed intellettuale, al pensiero indipendente. Per raccontare una battaglia condotta nel quotidiano, ben lontano dalla propaganda femminista, le artiste utilizzano mezzi e materiali che più si confanno a dare corpo all’Idea di ognuna. Attraverso video, fotografie, istallazioni, acquerelli, disegni e sculture, la mostra racconta le zone buie del mondo. E le sue storie mute.
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LA CHIESA
DEL BOIA Durante il restauro della chiesa torinese di SantAgostino,
nota ai più come Chiesa del Boia, perché qui per
quasi quattrocento anni i boia hanno trovato sepoltura, è stato rinvenuto
un ciclo di affreschi cinquecenteschi, raffiguranti i quattro evangelisti.
Il complesso si trova nel cosiddetto quadrilatero romano della
città. I lavori, durati 16 mesi, sono stati finanziati dalla Compagnia
di San Paolo, e sono parte di un progetto di più ampio respiro che,
avviato nel 2001, ha preso le mosse dalla mappatura delle criticità
di circa trenta edifici religiosi della città, per procedere poi
ai necessari interventi di restauro. Gli affreschi, di un autore anonimo,
erano ricoperti da strati di intonaco. Lintervento ha permesso di
recuperare decorazioni e stucci, ripulire marmi, restaurare tele, tavole
e statue, nonché la cantoria lignea e la sagrestia. Valeria Arnaldi |
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TREVISO | ||||||||||
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VARESE | ||||||||||
LE STANZE DI DAN FLAVIN Fino al 12 dicembre, Villa Panza ospita la mostra “Dan Flavin. Stanze di luce tra Varese e New York”, la più corposa mostra che l’Europa abbia mai dedicato al padre del minimalismo americano dopo la sua morte. Esposte circa venti installazioni, ospitate in altrettanti ambienti nei Rustici e nelle grandiose Scuderie della settecentesca Villa, alcune delle quali site-specific, ovvero ideate dall'artista per gli ambienti in cui si trovano. Le opere fanno tutte parte della Collezione Panza. Tra le opere provenienti da New York, anche “An artificial barrier of blue, red and blue fluorescent light” (to Flavin Starbuck Judd), del 1968: un'opera lunga ben 14 metri che appartiene alla produzione delle "Barriere", ovvero strutture lineari di tubi a fluorescenza intrecciati tra loro, che impediscono l'attraversamento dell'opera. Questa in particolare è dedicata al figlio di Donald Judd - altro grande artista minimal e a sua volta collezionista di Dan Flavin - chiamato Flavin in onore dell'artista. Oltre alle opere provenienti da New York, sono presenti a Villa Panza anche una grande installazione del 1987 dedicata all'amico Donald Judd mai esposta in Italia e le dodici opere allestite in modo permanente a Varese, pervenute al FAI unitamente con la Villa stessa nel 1996.
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VENEZIA | ||||||||||
I COLORI TEMPESTOSI
DI TURNER Visitò Venezia solo tre volte, ma e conservò nel cuore e nel pennello tracce indelebili. William Turner, uno dei massimi esponenti del romanticismo pittorico inglese, fu letteralmente incantato dalle luci e dai riflessi della laguna, che cercò di ‘rubare’ con acquerelli, schizzi e dipinti. Fino al 25 gennaio, il Museo Correr ospita una mostra dedicata a quell’inseguimento della luce ed alla ricerca – che impegnò Turner per tutta la vita – di un modo per rappresentare la perfezione della natura, ma anche i suoi aspetti più magici ed oscuri. La sua percezione, infatti, della natura, risente da un lato dell’influenza del classico e del classicismo che vorrebbe una natura perfetta, ideale, ed in armonia con l’uomo. Una natura che potremmo semplicemente definire bella. Dall’altra, però, gode anche dell’importante lezione romantica che ala perfezione riconosce il diritto al movimento, fonte ancora di maggior bellezza. Nelle bufere, nelle tormente, nelle possibili catastrofi e negli scontri tra l’uomo ed una natura che non è madre, si esplicita la ricerca di Turner, che diventa poi suo tratto distintivo. La mostra veneziana punta però l’attenzione su un Turner ancora diverso, inseguendolo lungo calli e campielli per ‘incorniciarne’ l’anima lagunare.
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I TIEPOLO
Anno di grandi festeggiamenti a Venezia, al centenario
di Dalì si aggiunge , infatti, il bicentenario della morte di Giandomenico
Tiepolo, nato e morto a Venezia. Fino al 12 dicembre, Ca’ Rezzonico
ospita la mostra “I Tiepolo. Disegni dalle collezioni del Museo
Correr”, testimonianza dell’importante lavoro del padre, Giambattista,
e del figlio, Giandomenico, che sarà seguita dal 15 dicembre al
9 febbraio, dall’esposizione “I Tiepolo. I rami per le acqueforti
nelle collezioni del Museo Correr”. La prima esposizione raccoglie
oltre sessanta lavori provenienti dalla collezione del Musoe Correr. Si
è privilegiata la scelta di lavori ‘indipendenti’ di
Giandomenico, che egli ha cioè realizzato staccandosi dalla guida
paterna. Per lo più legate al nucleo di lavori realizzati per la
Via Crucis dell’Oratorio del Crocefisso della Chiesa di San Polo,
i lavori non sono abitualmente esposti. La seconda mostra raccoglie, invece,
312 fogli dei Tiepoli, spesso disegnati sul recto e sul verso tra il 1748
ed il 1781.
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IL GENIO DI DALI’
Cento anni di Dalì. Venezia li festeggia con una retrospettiva che ripercorre le tappe salienti della sua vita – e del suo genio - opera per opera. Cuore del percorso espositivo è la pittura, di grande e piccolo formato. Non mancano però incursioni nelle altre attività dell’artista, che fu pittore, scultore, scrittore, incisore, regista cinematografico, inventore, scenografo. In una parola: genio. L’iter espositivo racconta gli anni del surrealismo – e della follia – di Dalì, in cui diede sfogo ad un mondo a cavallo tra sogno e paranoia, raccontando i giochi della psiche e della fantasia dell’uomo. Dando loro corpo e corposità. La seconda parte della sua vita fu segnata dall?America e dall’americanismo. Avid Dollars, il suo acronimo dell’epoca: Dalì vestì la sua arte di un’appositamente esagerata venalità. Tra un contrasto e l’altro, non mancano i momenti ‘sacri’, nei quali l’artista affrontò temi portanti dell’esistenza umana, guardando alla struttura dell’uomo e dell’universo, per poi approdare al metafisico ed alla religione cristiana.
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VERONA | ||||||||||
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VETULONIA | ||||||||||
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