a cura di Valeria Arnaldi


informArte la rubrica per gli amanti dell'Arte! Una selezione aggiornata delle migliori mostre ed eventi artistici in italia e nel mondo...

 
MOSTRE (Italia - Estero)
Manifestazioni, mostre e tutti gli appuntamenti per vivere l'Arte.
ITALIA
AQUILA
 

NUOVO MUSEO PER L’AQUILA

Sorgerà nell’ex convento di Santa Maria dei Raccomandati il nuovo Museo Archeologico Aquilano. 7 anni di restauri per 5.600.00,00 euro – questo quanto si è reso necessario per tradurre in realtà un progetto tanto ambizioso, che prevede la realizzazione anche di ristoranti, bar, spazio eventi, book-shop e una grande biblioteca specialistica. Si tratterà di un vero e proprio polo di incontro culturale, in cui l’Arte non sarà semplice oggetto di fruizione passiva, ma diventerà un soggetto con cui dialogare ed interagire. La gestione del complesso sarà affidata ad una Fondazione per la Cultura, affiancata dal Consorzio dei Beni Culturali della Provincia. Gestione partecipata, quindi, tra Enti locali, privati, banche e Istituti periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero stesso.

Valeria Arnaldi

BARI fino al 30 novembre
GAE AULENTI PER IL MUSEO ARCHEOLOGICO

Gae Aulenti curerà l’allestimento del Museo Archeologico situato nel Complesso di Santa Scolastica a Bari Vecchia.. Il progetto, che rientra nel Piano Triennale dei Lavori Pubblici approvato dalla provincia di Bari, prevede l’adeguamento normativo e funzionale , nonché l’ammodernamento dell’allestimento museale.

V. Arnaldi

BASSANO DEL GRAPPA Dal 22 novembre

L'ARTE DEL CANOVA

Dal 22 novembre l'arte di Canova è in mostra a Bassano del Grappa e Possagno. Una mostra decisamente interessante, arricchita dall'acquisto da parte del Comune di Bassano del bozzetto in terracotta del gruppo delle Tre Grazie e dal completato restauro della copia della Paolina Borghese, che era stata danneggiata a Possano durante la prima guerra mondiale. Due vere 'perle' per gli estimatori del Canova ma anche per gli appassionati dell'Arte e dell'Arte del Bello. La mostra è stata possibile grazie all'investimento di 12 imprenditori, che ne hanno coperto le spese, 'adottando' ciascuno un'opera. Sempre più spesso il mondo dei privati entra in manifestazione ed iniziative di manifesto interesse pubblico. D'altronde, se così non fosse, molte esposizioni - e forse proprio le più grandi - non potrebbero essere realizzate. Canova è l'uomo e l'artista che con finezza e sensibilità riuscì a valorizzare il movimento neoclassico, regalandogli però un alito di vita che anticipa il Romanticismo e trasformando quindi ogni sua opera in un pezzo unico. La sua arte è sempre stata apprezzata ma ad oggi se ne riscopre la modernità. Il consiglio che dava lui stesso? Guardare i suoi marmi "a lume di candela o di fiaccole, per cogliere la fragranza dell'epidermide come la si coglie nei nudi di Tiziano".

V. Arnaldi

BERGAMO  

 

BOLOGNA  

 

BRESCIA  
 
CAGLIARI  

 

CREMONA  

DALLE PIRAMIDI AD ALESSANDRO MAGNO

Alla storia dell’Egitto , il Museo Civico Ala Ponzone, fino al 28 marzo dedica la mostra “Dalle Piramidi ad Alessandro Magno”. L’intento è quello di valorizzare – attraverso esempi del sud, del centro e del nord – le oltre 90 collezioni presenti in Italia, spesso anche molto importanti, ma poco conosciute o inedite. Collezioni che rappresentano anche una buona sintesi delle diverse modalità di acquisizione dei reperti egizi: la collezione di Firenze (sconosciuta al grande pubblico) si deve in parte alla spedizione scientifica di Jean François Champollion e di Ippolito Rosellini e in parte all’impegno dell’egittologo Ernesto Schiaparelli, mentre la collezione di Napoli nasce dal confluire della raccolta dei Farnese, di quella del cardinale Stefano Borgia e di quella dell’avventuriero Giuseppe Picchianti; le collezioni del nord si sono per lo più formate grazie a donazioni di privati. Il percorso è articolato in più sezioni secondo un criterio cronologico: Predinastico e Antico Regno (3000-2134 a.C.); Primo Periodo Intermedio (2134-2040 a.C.) e Medio Regno (2040-1640 a.C.); Secondo Periodo Intermedio (1640-1532 a.C.); Nuovo Regno (1550-1070 a.C.); Epoca Tarda (1070-332 a.C.). Nelle sale dedicate alle esposizioni temporanee del Museo civico Ala Ponzone in Palazzo Affaitati sono esposti reperti provenienti soprattutto da importanti raccolte lombarde, come il sarcofago di Ankhekhonsu (Civico Museo Archeologico di Bergamo), ma anche opere di collezione privata come la statua del vizir Khay, presentata al Congresso di Egittologia del Cairo nel 2000. Affianca la sezione archeologica un percorso letterario, che permette di affrontare da un lato la storia degli studi sull’Egittologia, con i grandi volumi illustrati della fine del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento e, dall’altro, gli influssi dell’Egittomania sugli autori classici e moderni. I volumi provengono dalla ricchissima Biblioteca di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano, che ha recentemente acquisito importanti fondi librari e archivistici. Il percorso prosegue poi a Palazzo Stanga, dove l’attenzione è per il Predinastico. A testimonianza dell’alto livello tecnologico raggiunto dagli antichi Egizi nell’epoca della formazione, sono in mostra raffinati manufatti in pietra. Per l’Antico Regno le piramidi sono evocate da prestigiosi documenti e volumi illustrati che testimoniano i primi passi nello studio di questi maestosi monumenti. I cambiamenti politico-sociali del Medio Regno trovano la loro sintesi in una bellissima testa regale, caratterizzata da un viso segnato dalle occhiaie. Il Secondo Periodo Intermedio, nel quale si afferma la dominazione degli Hyksos, è documentato dai famosi scarabei di questo periodo. Il Nuovo Regno, epoca di grande ricchezza e di rinascita dell'antico Egitto caratterizzata dalla monumentalità, è riassunto da reperti che recano i cartigli di faraoni come Hatshepsut, il faraone donna, Akhenaton, il faraone “eretico” Seti I, il padre di Ramesse II, oltre che dai reperti che descrivono la concezione dell’Oltretomba, papiri del Libro dei Morti, vasi canopi, ushabti. Oggetti da cosmetica che permettono di instaurare uno stretto richiamo fra la vita quotidiana e la vita dopo la morte. Infine, per l’Epoca Tarda e in particolare per le concezioni religiose sempre più stratificate e complesse, in qualche modo divenute “superstiziose” sono proposti anche nuovi oggetti: bronzetti votivi, alcuni degli amuleti più tipici, mummie di animali. I materiali selezionati appartengono a prestigiosi musei italiani fra i quali: Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Museo Egizio di Firenze, Sezione Archeologica del Museo civico Ala Ponzone di Cremona, Museo Civico di Storia Naturale di Brescia, Museo Civico di Palazzo Te di Mantova, Civico Museo Archeologico di Bergamo, Civiche Raccolte Archeologiche di Milano, oltre che a collezioni private.

FERRARA  

 

FIRENZE  

Nel 2006, si concluderanno i restauri di otto opere d'arte provenienti dalla basilica di Santa Croce di Firenze – danneggiate nell'alluvione del 4 novembre 1966. Si tratta di tavole trecentesche e quattrocentesche dipinte da Francesco Salviati, Bronzino, Domenico di Michelino e Lorenzo Monaco, Nardo di Cione, Lorenzo di Niccolò e Giovanni del Biondo. I restauri sono stati condotti dall'Opificio delle Pietre Dure. Sono ancora in fase di studio la ricollocazione delle opere e la loro fruibilità da parte del pubblico.

Valeria Arnaldi

PICCOLI GRANDI DISEGN

Forme tondeggianti, colori sgargianti a volte addirittura fluo, potrebbero essere i mobili di una casa Disney, perfetti per Paperopoli o Topolinia, ed, invece, sono oggetti disegnati da grandi designer per i più piccoli. I genitori lo avevano già capito da tempo: sono i bambini a dettare le regole in casa – ed ora, finalmente, lo hanno capito anche architetti, arredatori e designers, che nell'infanzia trovano un ottimo mercato. Comodi, funzionali e morbidi ma anche divertenti, avveniristici e colorati: ecco i nuovi arredi delle camere da bambino. Le dimensioni si riducono e dei materiali vengono attentamente controllate sicurezza ed atossicità: tutto deve essere assaggiabile con i cinque sensi. D'altronde, si sa, i bambini hanno un modo diverso di rapportarsi al reale. È la plurisensorialità ‘in piccolo' il mini-business del futuro? A dimostrarlo non solo in grandi marchi ma la diffusione di oggetti di questo tipo anche in megastores e negozi più tradizionali delle diverse città italiane, sancendo definitivamente l'inizio di una moda.

Valeria Arnaldi

GHIBERTI TORNA AL DUOMO

Dopo otto mesi di restauro, nel mese di novembre, la vetrata disegnata da Lorenzo Ghiberti torna al proprio posto nel tamburo della cupola del Brunelleschi in Duomo. Il recupero de "La presentazione al Tempio", che fu poi realizzata nel 1444 da Bernardo di Francesco, rientra nel più ampio progetto di restauro delle sette vetrate istoriate della Cattedrale fiorentina, iniziato nel 1995. Attualmente è in corso di restauro la 'Natività' di Paolo Uccello. Seguirà poi "Il compianto del Cristo morto" di Andrea del Castagno. L'ottava vetrata è purtroppo andata distrutta nel 1821 in seguito ad un fulmine.

Valeria Arnaldi

IL BEL-VEDERE DELL’ARTE

A dargli un nome è stato Achille Bonito Oliva che ha così definito il forte belvedere, da 5 anni chiuso per restauro e finalmente riaperto e prossimo ad essere sede di un progetto ambizioso: la realizzazione di un’esposizione triennale che rilegga in maniera trasversale la storia dell’arte del novecento. Dal 7 luglio sarà allestita presso il Forte la mostra "Orizzonti", visitabile fino alla fine del mese di ottobre. Costruito tra il 1590 ed il 1595, il Forte è stato il primo luogo in cui si è tentato di sperimentare una commistione tra moderno ed antico.
Avviato più di trent’anni fa e poi interrotto per lavori di ripristino della struttura, il percorso prosegue ora, enfatizzando il ruolo del belvedere come sede e veicolo di un’arte che dilata lo sguardo e l’anima – da qui la scelta di ‘Orizzonti’. E quindi: istallazioni all’esterno e fotografie americane, dagli anni ’30 ad oggi, all’interno, nel tentativo di tracciare una storia nella storia, ridefinendo il rapporto spazio-tempo nella storia dell’arte.

Valeria Arnaldi

L’ADORAZIONE DEI PASTORI

Dieci anni fa una bomba a Palazzo degli Uffizi fece crollare la torre dei Georgofili ed inflisse gravi danni al Museo. Si credeva che l’Adorazione dei Pastori di Gherardo delle Notti fosse andata distrutta, ma in realtà era stata solo mutilata. Miracoli del restauro, oggi l’opera torna di nuovo in mostra, assurgendo a simbolo della rinascita degli Uffizi. È andato perduto il 40/50% del colore ed il Bambino che era la fonte di luce del dipinto è scomparso, così come San Giuseppe ed i Pastori. Il coro degli Angeli è stato dimezzato ed il volto della Madonna gravemente danneggiato. Dei pastori resta solo un profilo. Sembrano graffi di dolore quelli sulla tela, eppure ora Firenze è felice ed orgogliosa di mostrare questo suo dipinto rinato, che quella mattina di dieci anni fa, sembrava perso per sempre. I fili della tela sono stati riallineati ed accostati con l’aiuto del vapore e attraverso uno scurimento si è provveduto a dare uniformità all’opera. Manca il tratto pittorico, ma per una qualche magia, è l’occhio stesso a colmare i vuoti, restituendo, con l’aiuto dell’immaginazione, alle figure la loro bellezza originaria.

Valeria Arnaldi

I NUOVI UFFIZI

Occuperanno una superficie di 30.000 metri quadri, di cui 15.000 destinati alle esposizioni temporanee – sono queste i numeri dei Nuovi Uffizi, che saranno articolati su tre piani collegati da ascensori e nuove scale. Recuperati anche i sotterranei della Firenze Premedicea. La riapertura – secondo l’ultima dichiarazione del Ministro Urbani – è fissata per il 2005, con due anni di ritardo sulle iniziali previsioni. Nel 2004, intanto, sarà pronto l’ingresso su piazza Castellani progettato da Arata Isozaki, cui sono state affidate anche la ripavimentazione e l’illuminazione della piazza.

Valeria Arnaldi

LA SFERA D’ORO DELL’OLIVELLA

Appartenuta ai Padri Filippini di Sant’Ignazio Martire a Palermo, la Sfera d’oro dell’Olivella è un ostensorio seicentesco, splendido esempio di oreficeria siciliana. Ridotto in trecento frammenti di oro, argento dorato, smalti opachi, traslucidi e diamanti, l’ostensorio è stato portato a nuova vita grazie all’impegno dei restauratori che sono riusciti a ricomporre pezzi ormai deformati. Trafugata dal Real Museo di Palermo, nella notte di Natale del 1870, la Sfera d’Oro venne recuperata circa tre mesi dopo smontata per vendere le pietre preziose e fondere l’oro e l’argento. Alto circa 60 cm., l’oggetto non ha la forma di una sfera, ma è questo il termine con cui comunemente in Sicilia si indica l’ostensorio. Nel 1999, l’Opificio delle Pietre Dure si è impegnata nella catalogazione e misurazione di tutti i frammenti, e soprattutto nella ricerca di un disegno che fosse coerente con quanto si sapeva della Sfera. Una volta definito il progetto, si è passati alla ricostruzione vera e propria dell’oggetto. Chiaramente non si poteva procedere alla saldatura a fuoco né all’incollaggio. L’unica tecnica possibile era la saldatura laser, che agisce tramite luce e colore. Scelta sofferta perché il laser è una tecnica non reversibile, ma ha dato risultati che non si potevano neanche immaginare. Le parti strutturali dell’ostensorio sono state ridotte ad involucro di nuovi tubi. Una sola delle quattro volute fitomorfe è sopravvissuta. Degli angeli che da queste erano sorretti, ne sono rimasti tre. Le parti mancanti sono state integrate in argento dorato, ma in una tonalità più bassa di quella originaria e senza gli smalti originari.

Valeria Arnaldi


GENOVA  
 
ISCHIA
 

 

LATINA
 
NUOVI REPERTI A MINTURNAE

È iniziata la scorsa primavera la nuova campagna di scavi nel sito archeologico di Minturnae (Latina) e ha portato al rinvenimento di un’impressionante quantità di elementi architettonici in materiali lapidei pregiati. Su un lato dell’antico lastricato, sono comparsi i basamenti delle porte del tempio del Divo Cesare, sul lato opposto, capitelli, colonne, conci di archi e cornici di un edificio ancora sconosciuto. Molti anche i manufatti, che recano incise diverse iscrizioni. Si tratta solo dei primi rinvenimenti. L’ottimo stato in cui sono stati rinvenuti, è motivo per ritenere che nell’area vi siano ancora molti reperti da portare alla luce.

Valeria Arnaldi

LIVORNO  
 
LUCCA  


MANTOVA  

 

MILANO
 

LE FOLLIE POP DI WARHOL

Colore, fantasia, genio ed irriverenza. Andy Warhol conquista la Triennale di Milano, dove le sue opere ed il suo modus essendi sono in mostra fino al 9 gennaio. Molte le esposizioni che, nel corso degli anni, hanno avuto Warhol come protagonista, al punto di rendere difficile percepirne la novità, ma Milano punta l’attenzione più che sul Warhol artista, sul suo ruolo di comunicatore. Giocando con i sistemi che mass media e pubblicità, in particolare e società, in generale, gli mettono a disposizione, Warhol inventa un nuovo modo di fare arte, polemica, rivoluzione. Un modo di giocare con il serio, vestendo il nero di colore per evidenziarne le ombre ed i toni cupi. Un modo di vendere l’arte, facendo del suo prezzo il cuore dell’azione e finendo quasi per togliere valore allo scambio. Tutto è recita, spettacolo, finzione. Questo è “Anfy Warhol Show”, una raccolta di oltre duecento opere, disegni e foto del padre del pop, cui si aggiungono – inevitabili – copertine, riviste, oggettistica e perfino una delle sue celebri parrucche. Tutto quello che testimonia e consacra l’attualità di un mito che ha fatto scuola e ancora fa proseliti.


MODENA  

 

NAPOLI  

NAPOLI - VELÀZQUEZ A CAPODIMONTE
(Museo di Capodimonte, 19 marzo-19 giugno)

(Napoli, 20-03-05) – “Cosa ne pensate?” chiese Re Carlo a Luca Giordano. “Señor, questa è la teologia della pittura”. Antonio Palomino, 1724
Con circa trenta dipinti, Capodimonte vuole tributare un omaggio al grande mastro spagnolo, mettendo in evidenza i suoi stretti rapporti con l’Italia ed, in particolare, con Napoli. Qui, infatti, il pittore soggiornò due volte – nel 1630 e nel 1649 – confermando la sua attenzione per Caravaggio ed i pittori napoletani di area naturalistica.
Obiettivo della mostra è quello di “sintetizzare” la cifra artistica di Velàzquez, dagli esordi caravaggeschi agli intensi ritratti della maturità.
Nato a Siviglia nel 1599, Velàzquez entrò nella bottega di Francisco Herrera il Vecchio, nel 1609, quando era poco più di un bambino. Qui apprese l’arte tipica Sivigliana, che amava le scene di genere completate da nature morte. Tra il 1616 ed il 1623, sull’onda di quest’arte “tenebrista”, Velazquez dipinge “El almuerzo”, il pranzo. I modelli di qesto quadro sembrano tratti dai romanzi di Cervantes ma tornano spesso a ripetersi nell’opera del pittore. La ragazza, ad esempio, rimanda alla Cena in Emmaus.
Tra i più interessanti dipinti esposti, l’Immacolata Concezione. La veste dai toni pastelli, con un panneggio raffinato, la veste che ondeggia ma, nello stesso tempo, èstatica, a simboleggiare l’Idea, che si sta contemplando, più che la concretezza della rappresentazione. Il viso dell’Immacolata è fresco, infantile, seppure dotato della gravità di chi ha compreso ed accettato il proprio ruolo nella storia ed il sacrificio che questo porta con sé. L’improvvisa presa di coscienza non toglie al pittore il gusto della morbida guancia muliebre, del sorriso semitrattenuto in un piccolo vezzo, della ciocca “vanitosa” che ricade sulla spalla, incorniciando il viso di una lice tutta umana, figlia, forse, come dicono gli studiosi dei modelli fiamminghi, ma più ancora della gioventù tutta. La sua Immacolata è figlia delle incisioni dell’epoca, non più che del racconto evangelico. Il dipninto, infatti, sembra fosse stato realizzato in pendant con San Giovanni Evangelista a Patmos, in cui il Santo è ritratto proprio nel momento della visione della Vergine. Nelle fattezze di Maria si fondono anche le lezioni scultoree di Juan Martinez Montañes. Ma al di là delle pur evidenti influenze o citazioni, il dipinto mantiene l’unicità di un colore “scorretto” a detta dei trattati pittorici dell’epoca. Secondo Pacheco, infatti, la Madonna va dipinta con tunica bianca e mantello azzurro, secondo l’iconografia classica. Velàzquez prende la “licenza” di tingerle la tonaca di rosa, in un altro vezzo femminino per rendere la bellezza della Vergine più evidente, più dolce, ma soprattutto, per donarle una concretezza fatta c carne, rinnegando un banco che l’avrebbe potuta far credere una “statua” tanta è la sua perfezione. Questa vergine poco o nulla ha a che vedere con quella ritratta nell’Adorazione dei Magi, conservata al Museo del Prado. Qui, infatti, se la tonaca è comunque rosa, compare un velo bianco a nascondere i capelli: la Vergine è madre consapevole di un figlio che appartenendo al mondo non è più suo. Nel gesto con cui lo mostra ai Magi venuto per adorarlo, non c’è la gioia della madre, ma il desiderio, per un attimo, di allontanare il figlio dal proprio petto, per non sentirne poi più forte la nostalgia. Una sorta di presa di distanze da un amore già fonte di sofferenza. Per alcuni studiosi, l’Adorazione, dipinta un anno dopo il matrimonio del pittore con Juana Pacheco e in coincidenza con la nascita della prima figlia, sarebbe una sorta di ritratto di famiglia, in cui Velàzquez avrebbe destinato a sé il ruolo del primo re adorante, in ginocchio ai piedi della Vergine.
Dalla Vergine a Venere. Si intitola “Venere allo specchio”, infatti, uno dei più bei dipinti esposti. Un nudo femminile che presenta richiami evidenti ai nudi di Tiziano o Michelangelo. Ma anche all’Ermafrodito, di cui Velàzquez fece fare un calco in bronzo per le collezioni reali spagnole. Se l’Adorazione ritrae la moglie di Velàzquez, questa Venere potrebbe aver avuto come modella la donna da cui il pittore in Italia ebbe un figlio.
Alcuni studiosi hanno voluto vedere in questo dipinto l’allegoria della Vanità – la bellezza che si guarda allo specchio – o dell’amore schiavo della Bellezza stessa. Quale che sia il suo significato, è indubbio che uno dei maggiori fascini del dipinto è nella concretezza del suo soggetto. La Venere è una donna in carne ed ossa, morbida, seducente, rilassata, che si offre allo sguardo con noncuranza ed un’innocente malizia. Una donna in posa “mitica” che di mitico non ha nulla. Non a caso, il volto della Venere, riflesso nello specchio, è piuttosto paesano. Questo, unito al fatto che il dipinto deve essere stato realizzato in Italia (visto che in Spagnam un nudo sarebbe stato impensabile) sembra suggerire la romantica tesi di una Venere “anonima” ben nota all’artista, che avrebbe così romanticamente eternato i suoi amori.

1.500.000 PER STABIE

Progettazione sulla sistemazione degli accessi agli scavi di Varano e progettazione definitiva del circuito archeologico stabiese – queste sono le voci per cui l’Amministrazione Comunale di Castellamare di Stabia ha insediato un gruppo di lavoro, dopo aver ricevuto i finanziamenti nell’ambito del progetto integrato ‘Pompei, Ercolano e sistema archeologico Vesuviano". 280 mila euro verranno impiegati per l’evento internazionale di progettazione che si svolgerà l’anno prossimo. 1.200 mila euro invece riguarderanno il circuito archeologico stabiese.

Valeria Arnaldi

PADOVA

 

PALERMO
fino al 30 novembre
 
PARMA  
 
PESCARA  

 

PRATO  

IL MEDIOEVO

Il basamento in malta e sassi di una torre del XIII secolo ed un altro edificio: sono questi i frutti degli scavi condotti nelle ultime tre settimane dalla sezione di archeologia medievale del dipartimento di studi storici e geografici dell'Università di Firenze. È una Prato medievale quella che torna in vita nel giardino di Palazzo Banci-Buonamici. La torre voleva essere il simbolo del potere della famiglia che vi abitava, i Guazzatoti. Insieme all'altro edificio - probabilmente un castello - costituiva il nucleo originario di Borgo al Cornio e di tutta Prato medievale. Gli scavi hanno portato alla luce anche resti di altri edifici, costruiti e demoliti più volte fino ad arrivare al '500, anno in cui fu realizzato il giardino.

Valeria Arnaldi

RAGUSA
 

RINVENUTA IMBARCAZIONE BIZANTINA

Lunga circa 20 metri, l’imbarcazione è stata rinvenuta dai carabinieri del comando provinciale di Ragusa, sul fondale antistante la spiaggia di Ispica. L’imbarcazione è in buono stato, così come gli oggetti rinvenuti al suo interno.

Valeria Arnaldi

REGGIO CALABRIA
 

GEMELLAGGIO CON LA GRECIA

La Regione Calabria ha deciso di avviare un programma di promozione e rivalutazione dei Bronzi di Riace, per diffonderne l'immagine anche a livello internazionale. Primo passo di questo progetto di valorizzazione è il gemellaggio Atene- Reggio Calabria, che vedrà numerose collaborazioni in occasione dei prossimi giochi olimpici.

Valeria Arnaldi

RIMINI
 

BATTERI PER L’ARTE

È stata l’ingordigia di alcuni batteri a salvare gli affreschi di Spinello Aretino, che sembravano irrimediabilmente danneggiati da un cattivo restauro effettuato negli anni ’50. La tecnica innovativa, frutto della ricerca congiunta dei Dipartimenti di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche della facoltà di Agraria di Milano e del Molise, in collaborazione con l’Opera Primaziale Pisana, è stata utilizzata per la prima volta al mondo. Durante la seconda guerra mondiale lo scoppio di una granata americana, dopo aver distrutto il tetto aveva esteso uno strato di piombo fuso su tutti i dipinti. Negli anni ‘50, si procedette al restauro, ma si utilizzò la ‘tecnica a strappo’ e la collocazione provvisoria degli affreschi su supporti di eternit. La ricopertura del colore sarebbe dovuta avvenire con una tela imbevuta di colla animale. La colla oscurava l’affresco rendendolo quasi ‘invisivile’. Inoltre le fragili condizioni in cui versavano le opere impediva lo ‘strappo’ stavolta dall’eternit. Al problema che per anni è sembrato privo di soluzione, la scienza e la biologia hanno dato una risposta. Grazie allo studio dei diversi tipi di batteri, è stato possibile individuare un ceppo che si nutrisse proprio di colla animale. La scelta è ricaduta sui Pseudomonas, Gram negativi, che sono in grado di utilizzare oltre 100 composti organici, senza produrre spore. Il metodo ha avuto un’efficacia del 75/80%, per completare il processo si fatto ricorso ad un enzima, la Proteasi Type XIX, che diluito in acqua è stato manualmente applicato dove occorreva, riportando gli affreschi alla luce.

Valeria Arnaldi

ROMA  
ROMA - EMILIO GRECO SCULTORE
(Palazzo Venezia, 10 marzo-25 maggio)

(Roma, 12-03-05) – Ottanta sculture - terrecotte, cementi e grandi bronzi – illustrano l’opera del celebre scultore del secondo Novecento. Ottenuto il gran premio alla Biennale veneziana del 1956, Greco si assicurò fama internazionale e sue opere furono acquistate dai musei di tutto il mondo. Referenze storiche e suggestioni moderne danno all’artista una cifra particolarissima, che lo fa magistrale interprete dell’effimero e del costume. In mostra, sono esposti anche diversi bozzetti e lavori preparatori, mentre un’intera sala è dedicata alla sua opera, forse più nota, Bagnanti. Attratto dalla bellezza e dall’estetica femminile, Greco amò raffigurare la donna, sottolineando le potenzialità erotiche di una rappresentazione a tratti documentaria. Il percorso espositivo segue un iter cronologico a partire dalla fine degli anni ’40 ed è diviso in più nuclei tematici: dalla serie degli Omini e dei Lottatori, al periodo della grandi Bagnanti appunto degli anni ’50 e ’60, alle opere sacre, monumenti, ritratti e grandi statue degli ultimi anni.


ROMA-CAPOLAVORI DEL GUGGENHEIM
(Scuderie del Quirinale, 3 marzo-5 giugno)

Le Scuderie del Quirinale ci hanno, ormai, abituato a mostre di grande respiro, che vogliono offrire uno scorcio di internazionalità, ponendosi come momento riassuntivo dell’Arte, e, nello stesso tempo, suggerendo un più consono approfondimento. “Capolavori del Guggenheim” , che porta a Roma importanti capolavori della celebre collezione, provenienti da New York, Bilbao e Venezia, è un “assaggio” di ciò che l’arte internazionale ha saputo produrre nel Novecento. Picasso, Mirò, Kandinsky, Monet, Pollock, Cezanne, Mondrian, Léger, Ernst e Klee sono solo alcuni dei 50 artisti che, in mostra, si incontrano e confrontano. Al di là della meraviglia di osservare tanti capolavori, nel giro di pochi passi, l’esposizione vuole porre l’attenzione sul collezionismo. Non a caso, il suo sottotitolo è “Il collezionismo da Renoir a Warhol”. Protagonista del percorso è la filosofia Guggenheim, da quando Solomon, erede di una fortuna che il padre e il nonno avevano costituito grazie all’industria mineraria, inizia ad acquistare le prime opere a quando sua moglie, Irene Rotschild approda al vero mecenatismo, commissionando un ritratto del marito alla giovane Hilla Rebay, che diventerà la sua consulente artistica, orientando la collezione verso una personalissima visione dell’arte astratta, ispirata alla teosofia di Steiner. Con lei i Guggenheim cominceranno a viaggiare per l’Europa, di atelier in atelier, aggiudicandosi lavori di Chagall, Kandinskij (splendidi quelli pseudo-figurativi in mostra), Rousseau e Cezanne. Dalla collezione al museo il passo è breve: nel ’39, la sua sede provvisoria è in Fifth-Avenue a New York, nel capolavoro architettonico di Frank Lloyd Wright. A continuare la tradizione di Solomon è la nipote Peggy, negli anni venti protagonista della vita culturale parigina, che presto inizierà una sua collezione sulle orme di Marcel Duchamp. A causa della guerra, costretta a trasferirsi in America, alla sua conclusione si recherà a Venezia, realizzando qui il sogno di un museo tutto suo, che diresse fino alla morte, nel 1979. La Guggenheim Foundation ha, comunque, continuato il lavoro del suo fondatore, Solomon. In mostra, si uniscono quindi due collezioni profondamente diverse tra loro, animate entrambe dall’amore per il Bello e da una profonda e sincera curiosità intellettuale, che unita ad un’inusuale generosità, ha prodotto, oggi, una delle più interessanti collezioni d’arte del mondo.

 

ROMA - MUNCH 1863-1944
(Complesso del Vittoriano, 10 marzo-19 giugno)

Arte e malattia, un binomio frequentemente associato ai grandi maestri del passato, che sembra non “risparmiare” alcuna forma di espressione, è il filo conduttore della mostra dedicata al celebre pittore norvegese. A porre l’attenzione sui perché della sua ispirazione è lo stesso artista “la mia arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato nel mondo senza poter scegliere”. Due gli eventi responsabili della sua ricerca di “eternità”: la morte della madre, avvenuta quando l’artista aveva solo cinque anni, e quella della sorella, dopo lunga malattia, a quattordici anni. Sono spettri, ossessioni e fantasmi quelli che popolano le sue tele. quei morti, con cui confessa di vivere. Quei morti che popolano il suo diario di memorie. I suoi colori, quei toni rossi accesi che degradano fino al violetto, sono indici del lutto che aleggia sull’uomo, condannato alla mortalità ed a vivere in un mondo senza regole, schiavo della Natura, del fato o del destino, comunque di un’entità alla quale non ci si può opporre. È dolore dichiarato, e “gridato” quello che Munch sente nel profondo dell’anima, e che da personale, diventa paradigma della sofferenza umana.
Nel voler evidenziare il ruolo che malattia e perdita ebbero nella sua produzione, la mostra si sofferma lungamente sul Munch naturalista degli esordi. Un Munch poco conosciuto ai più, affascinato da paesaggi quasi intimisti. Dell’impressionismo iniziale serba colori, tecnica e solarità, trasformandone, però, le luci in arabeschi che gravano sull’uomo, e che, in realtà, dall’uomo provengono, come manifestazioni della sua intima condizione. La melanconia che spesso ritrae è la condizione normale dell’uomo. Neanche i baci ed il rapporto con l’altro possono portarvi sollievo. Sono brevi pause in un percorso di angoscia, in cui non ci si concede all’abbandono o al piacere, ma si cercano fuga, nascondiglio, e più ancora, riparo perfino da se stessi. I corpi avvinghiati che Munch ritrae in diversi interni non hanno un vigore passionale, ma sono ombre di un sentimento dimenticato, spiriti che cercano di infondersi reciproca concretezza e senso. Nella posa dei corpi, nei visi nascosti, nei baci più simili a morsi crudeli, c’è l’immagine classica di Adamo ed Eva penitenti, cacciati dal Paradiso e consapevoli che non sarà possibile farvi ritorno. Uomo e donna sono gli archetipi dei progenitori biblici, abbandonati in un mondo in tempesta, senza guida, senza saper cosa fare se non tenersi stretti per coprirsi a vicenda.
Il dolore di Munch, nel 1908, da ossessione si fa malattia: affetto da manie di persecuzione e allucinazioni che gli procurano la paralisi degli arti, il pittore resta in una clinica di Copenaghen per otto mesi. Tornato in Norvegia, sceglie di vivere lontano dalla città, in una sorta di autoesilio che spera possa salvarlo dai suoi fantasmi. I suoi quadri sono la strenua difesa dell’uomo contro la Natura matrigna. Se l’opera riesce a vincerli, l’artista ne esce vinto, sconfitto da quell’Urlo estenuante, che trapassandogli le orecchie, si riversa in forma di sangue sulla città e sull’intero mondo. Una visione, che l’artista ripeterà instancabilmente. “Un’immagine – scrisse – non si esaurisce in un dipinto. Ogni versione rappresenta un contributo al sentimento della prima impressione”.

 

ROMA - CANALETTO. IL TRIONFO DELLA VEDUTA.
(Palazzo Giustiniani, 12 marzo-19 giugno)


“Il trionfo della Veduta” è il titolo della mostra che Palazzo Giustiniani dedica a Canaletto. Malgrado il genere vedutistico esistesse già da tempo ed avesse, tra le schiere dei suoi artisti, nomi noti come Gaspar van Wittel e Luca Carlevarijs, Canaletto può esserne considerato a ragione il padre. Egli, infatti, rivisitò questa forma di arte, introducendovi una maggiore attenzione per i dettagli di luce, colori ed architetture. Le sue vedute sono ricche di dettagli, una sorta di fotografia dell’epoca, di luoghi e, attraverso di essi, di atmosfere. Con quaranta dipinti ed altrettanti disegni, la mostra si propone di offrire una panoramica della produzione dell’artista dai toni “drammatici” del suo periodo veneziano, le cui tele sono decisamente “barocche”, alla pittura illuminista e razionalista del periodo romano. Non a caso, Canaletto riuscì a trasformare la veduta – genere caratteristico dell’arte veneta – nel simbolo dell’illuminismo europeo. Questa nuova vocazione, che potremmo definire “internazionalistica” – è la cifra del percorso espositivo. Sono due rari libretti d’epoca ad inaugurare l’esposizione. I due Capricci, dipinti nel 1723 per il portego della villa dei fratelli Giovanelli a Noventa Padovana, testimoniano le prime passioni dell’artista, affascinato dalla scenografia, alla quale fu introdotto dal padre Bernardo, ma anche dalle rovine romane e dalla pittura di rovine. A ciò si aggiungeva però una capacità interpretativa di stampo illuminista e materico, innovativa per i suoi tempi. Raggiunto il successo, Canaletto fu pressato dalle committenze, per le quali riprodusse studi di medesimi soggetti in dimensioni e “tagli” diversi, creandosi un vero e proprio repertorio di composizioni. Nel 1736, entrò nella sua bottega il nipote Bernardo Bellotto, impegnato a preparare bozzetti e visioni prospettiche, a riprendere schizzi dal vero e quelli di figura. Grande la produzione di questo periodo. L’interesse, oltre che dalla quantità che ci consente di documentare con precisione ispirazione e tecniche dell’artista, deriva dalla qualità differente dei molti lavori, dovuta agli artisti che si alternavano alla sua bottega. Dell’artista, considerato uno dei più grandi disegnatori di tutti i tempi, sono esposti alcuni dei migliori “fogli”: abbozzi, schizzi, ma anche acquerelli. Molti sono datari dell’artista, permettendoci così di ricostruire una cronologia del suo corpus grafico.

 

ROMA - I TESORI DELLA STEPPA DI ASTRAKHAN
(Palazzo Venezia, 17 marzo-29 maggio)

Una straordinaria collezione di oggetti d’oro, argento e bronzo, rinvenuti in oltre venti anni di scavi nella provincia di Astrakan, compresa fra il Mar Caspio e la massa continentale euro-ausiatica. Questo l’oggetto della mostra allestita a Palazzo Venezia, la prima esposizione mondiale di questi ritrovamenti archeologici. I reperti sono, ovviamente, il punto di partenza da cui prende le mosse il racconto della popolazione dei Sarmati, i Signori delle Steppe, che risiedevano nel territorio tra il VII secolo a.C. ed il IV secolo d.C. Quasi tutti di oro massiccio, sono oltre duecento i reperti provenienti dagli arredi dei tumuli funerari: foderi d’armi, gioielli, monili, bassorilievi, placche d’oro, vasi con manici zoomorfi e ornamenti per bardature ed abiti. L’esposizione procede in un’ideale successione di tumuli, ognuno con il proprio corredo. Una sezione speciale è dedicata all’oreficeria moderna, in una reinterpretazione dei motivi dei Sarnati, che mostra evidente la comune origine europea, e lo stretto rapporto passato-presente. L’analisi dei reperti permette di evidenziare la complessità della civiltà dei Sarmati. Ogni piccolo rinvenimento, 9infatti, esprime la ricerca di nuove tecniche e “tecnologie”. Le appliques per gli abiti, ad esempio, nella loro apparente semplicità sono frutto di una precisione matematica invidiabile. Nessuna, infatti, presenta segni di spianatura del bordo, il che dimostra che il diametro delle stesse veniva deciso prima di procedere alla loro realizzazione. Molto interessante anche lo “stampaggio manuale” a singola e doppia matrice. Questa tecnica utilizzava una superficie, probabilmente in bronzo, come stampo, sulla quale veniva pressata la lamina d’oro. Tracce dell’operazione sono evidenti nella scarsa definizione dei decori e testimoniano la scelta della quantità a favore della qualità, quindi, la grande richiesta di materiali. Lo stampaggio manuale a doppia matrice, invece, permetteva la migliore definizione dei dettagli, perché non prevedeva l’utilizzo di un controstampo in materiale cedevole, ma di due matrici realizzate con materiali di identica durezza. In entrambi i casi, lo spessore delle lamine d’oro era molto sottile, fra 0,01 e 0,03 centimetri. Più lenta la lavorazione a sbalzo e cesello, destinata alla produzione di oggetti unici per una committenza d’alto rango.

 

ROMA - GERUSALEMME RIVELATA
(Mercati di Traiano, 19 marzo-22 maggio)

La mostra raccoglie gli scatti di Mendel John Diness, primo fotografo di Gerusalemme. Fu Mustapha Surraya Pasha, governatore di Gerusalemme, ad ordinare, tra il 1854 ed il 1859, al fotografo ebreo una documentazione fotografica della città. In questo lavoro, Diness fu affiancato dall’ingegnere italiano Ermete Pienotti, con l’incarico di realizzare delle mappe catastali del territorio. Fu per questo motivo che il fotografo ottenne il permesso di scattare fotografie in zone, di norma, considerate off limits per motivi religiosi. Tema storico e studio topografico sono il filo conduttore della mostra, ma non bisogna dimenticare l’interpretazione politico-religiosa che, in effetti, sembra dominare gli scatti. I panorami in bianco e nero hanno un che di metafisico. La povertà degli orizzonti, infatti, viene ritratta non tanto come povertà materiale ma come ricerca dell’essenziale, inevitabilmente, ricondotta allo spirito. Nella Gerusalemme ottocentesca si respira l’atmosfera di quella evangelica, o forse, sarebbe più corretto dire, di quella idealizzata dall’occidente.
Fotografie e riproduzioni fotografiche su tela si alternano sull’ambulacro circolare del “Grande Emiciclo” dei Mercati di Traiano. Altre riproduzioni sono esposte nell’aula sottostante. Le fotografie sono riprodotte da stampe al platino di John Barnier, ottenute dagli originali negativi su vetro ritrovati dallo stesso Barnier nel 1989.


SOGNI DIPINTI

L’Accademia d’Ungheria, dal 18 gennaio al 18 febbraio ospita la mostra “sogni dipinti. Favola, visione e sogno nell’arte ungherese 1890-1920”, raccolta di circa 60 opere provenienti dalle maggiori collezioni pubbliche e private ungheresi e polacche, realizzate da un gruppo di intellettuali che all’alba del ventesimo secolo hanno rielaborato, attraverso il proprio personale modus artistico alcuni grandi movimenti del passato – dai pre-raffaelliti, al rococò passando per il rinascimento italiano. Non manca l’ispirazione contemporanea con richiami a secessionismo, simbolismo, espressionismo ed Art Nouveau. l’invisibile, la decostruzione dei corpi e delle forme, la scomposizione dello spazio e la rinuncia alla linearità del tempo sono alcuni dei soggetti attraverso cui l’arte ungherese ha tentato di dare corpo all’impalpabile, sospeso tra sogno ed immaginazione. Nella lingua ungherse la parola sonno condivide la radice con il vocabolo sogno, cui si richiama anche nei significati, comunque vari, che spaziano tra sogno comunemente inteso, ma anche desiderio e visione. L’arte espande ulteriormente questi significati , donando loro nuove sfumature e soprattutto nuova vitalità. lo scoppiare del primo conflitto mondiale chiude le porta per molti ungheresi ma non solo di quel “mondo dei sogni”. All’accademia d’Ungheria, fino al 18 febbraio.

 

Sulle Tracce di Leonardo

Il 13 gennaio inaugura anche la mostra “Le tracce di Leonardo nel territorio, i luoghi, gli studi, le macchine”, al museo della civiltà romana fino al 10 aprile. sono esposte 16 macchine realizzate sulla base dei codici leonardeschi con materiali dell’epoca: legno, cotone, ottone, ferro e corda. Il format didattico-scientifico è fatto di chiare didascalie, pannelli e iconografie di Leonardo anche nel territorio romano, fogli che riproducono il disegno della macchina e dai quali trarre le spiegazioni ad essa inerenti, nell’intento di dare risposta a tre interrogativi: come la macchina si presenta, a cosa serve, come funziona. la mostra si sposterà poi fino al 10 giugno al museo archeologico di Spoleto.

Omaggio a Matteotti

Dal 13 gennaio al 13 febbraio, il museo di Roma in Trastevere, dedica alla figura di Giacomo Matteotti una mostra ed un convegno. attraverso trenta pannelli didattici, il percorso illustra il ruolo di Matteotti come organizzatore di leghe contadine, amministratore comunale e provinciale, combattente. Un Matteotti inedito raccontato attraverso documenti per lo più anch’essi inediti. alla mostra si accompagna, in sede di convegno,la proiezione di un video-documentario con immagini d’epoca, prodotto dall’archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.

 

“MOLA E IL SUO TEMPO” ad Ariccia

Fino al 23 aprile, Palazzo Chigi ad Ariccia ospita la mostra “Mola e il suo tempo. Pittura di figura a Roma dalla collezione Koelliker”, raccolta di oltre sessanta opere che, oltre a mettere a fuoco la figura dell’artista, lo inquadrano nell’ambiente romano dei maestri da cui fu influenzato - Guercino, Cavalier d’Arpino e Gian Lorenzo Bernini. Peculiarità della sua pittura è il tratto impressionista, giocato sul colore “neoveneziano” e guercinesco, con cui sembra anticipare a suo modo la pittura ottocentesca “a macchia”. Emblematico il fatto che Delacroix, innamorato della potenza del colore, della materia pittorica densa e luminosa, consigliasse agli allievi di copiare proprio le opere del Mola. In lui si fondono la matrice carraccesca, l’ attenzione verso l’ esperienza del primo Cortona fino alla volta barberiniana, l’ interesse latente verso il Bernini pittore pieno di curiosi fermenti e l’ influsso travolgente del Tiziano conosciuto parte a Roma nella collezione Aldobrandini parte a Venezia stessa. LA componente venezianeggiante si sposa alla spinta innovativa del Guercino, da cui deriva l’uso di sovraccaricare l’opera di materia pittorica. La visione del quadro esalta le capacità percettive di chi guarda e scruta l’opera come fosse un tesoro, ma anche un mistero da svelare. Mola si lascia ispirare dall’austerità veneta, che, però, “ammorbidisce” con una concezione laica dell’arte, secondo cui l’artista crea bellezza partendo dal concreto, che sia oggetto e soggetto, dal sentimento reale, dalla tensione morale e dalla dignità dell’arte stessa. Mola non era il primo neoveneto attivo a Roma. Prima di lui, infatti, vi erano stati i fratelli Carracci, Annibale ed Agostino, impegnati alla Galleria Farnese. Ma anche artisti veneti veri, come Saraceni e Tassi affiancati nell’impresa della Sala Regia al Quirinale. Mola è, comunque, un iniziatore, perché crea un nuovo universo pittorico. Ed, infatti, intorno a lui si riuniscono estimatori ma anche allievi. Dotato di grande talento e passione, intransigente, mise al primo posto la qualità assoluta del suo lavoro. Ma, forse proprio il suo carattere lo reso inviso a molti, negandogli il riconoscimento che i posteri gli hanno, invece, tributato. Molti suoi contemporanei tentarono di copiarne lo stile e la tecnica, ma con scarsi risultati, finendo per mortificare alcuni suoi tipi pittorici, trasformandoli in bozzetti e sfiorando il grottesco. L’ambiente artistico romano dell’epoca, in mostra, è testimoniato da opere del Lanfranco; salvator Rosa, Carlo Maratta, Baciccio, Schonfeld, ed Andrea Pozzo; tutti accomunati dal filone “neoveneziano” che caratterizza la pittura romana tra la metà degli anni ‘20 e l’ultimo quarto del Seicento, di cui Mola è grande caposcuola. Si possono inoltre ammirare inediti ritratti di Ferdinand Voet, ritrattista di vivo interesse naturalistico, e Alessandro Mattia, pittore classicista ma di forte spirito introspettivo e di grande sensibilità al vero.
Fu Carlo Maratta, dopo la morte di Mola e del Cortona, il caposcuola della pittura tardobarocca romana. Sono presenti anche varie opere di ambito moliano o di allievi del pittore, che dimostrano la sua fama in vita e dopo la scomparsa. Tutti dipinti inediti o mai esposti al pubblico. Tra gli artisti influenzati dal Mola sono presenti in mostra i francesi Pierre Louis Cretey e Guglielmo Cortese, detto Il Borgognone, che fu suo collaboratore nelle opere per i Pamphilj, come pure Giacinto Brandi, Giovan Battista Beinaschi e Gerolamo Troppa. Tutte le opere in mostra provengono dalla collezione di Luigi Koelliker, imprenditore e mecenate. Egli sostiene fondazioni di studi italiane e straniere, musei, riviste d’arte e giovani artisti; sovvenziona esposizioni pubbliche, finanziandone i cataloghi e soprattutto sostenendo onerosi interventi di restauro, come per la Pietà Rondanini di Michelangelo (2002-2004), le Sette opere di misericordia del Caravaggio o il Romanino conservato al Museo Diocesano di Milano.

 

ROMA
Anne Leibovitz

Dal 20 gennaio al 7 marzo, L’auditorium Arte ospita la mostra “American Music, Ritratti di Annie Leibovitz”. Annie Leibovitz iniziò a collaborare con la rivista Rolling Stone come fotografa specializzata in ritratti di musicisti rock nel 1970, mentre era ancora studentessa del San Francisco Art Institute. Tre anni dopo, nel 1973, era diventata la fotografa principale della rivista e questa sua collaborazione proseguì per diversi anni. La mostra presenta 70 fotografie dell’artista, di diversa grandezza, realizzate appositamente per questa esposizione.
I soggetti della Leibovitz ritraggono i personaggi noti e meno conosciuti al grande pubblico della musica rock e country americana. Senza artifici ma con molta fantasia e abilità fotografica, Annie Leibovitz sa andare al di là del classico ritratto fotografico arricchendo ogni suo scatto di una particolare atmosfera che sottolinea la personalità del soggetto fotografato. In mostra saranno esposte immagini tratte dall'archivio della fotografa ma anche molte altre realizzate viaggiando in lungo e in largo per gli Stati Uniti alla ricerca di personaggi da fotografare, come B.B. King, Quincy Jones, Bob Dylan, Philip Glass, Jon Bon Jovi, Eminem e molti altri.


Il Tempio di Giove Capitolino
dal 6 ottobre 2005 al 9 gennaio 2006

Durante le indagini effettuate nell’area del Tempio di Giove Capitolino, avviate nell’ambito dei lavori di ristrutturazione dei Musei Capitolini, sono emersi importanti risultati che hanno consentito di acquisire contributi decisivi per la conoscenza sia delle fasi più antiche di vita sul Colle Capitolino sia degli aspetti costruttivi del tempio stesso.
La mostra intende documentare tali importanti scoperte concentrandosi su alcuni aspetti di fondamentale valore per la conoscenza della storia dell’area.
Attraverso reperti archeologici, plastici, rilievi cartografici e geologici, si potrà percorrere la vita del colle capitolino a partire dal più antico insediamento dell’Età del Bronzo, unico abitato stabile nell’area centrale di Roma per tale periodo, fino a quando, nel VI secolo a.C., per opera dei re Tarquini, sarà realizzato il grande Tempio di Giove, Giunone e Minerva che, con la sua ampia e possente mole, modificherà profondamente l’intera area e ne sancirà definitivamente la destinazione cultuale.


L.B. Alberti e Roma. Architetti e umanisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento
dal 5 giugno al 25 settembre 2005
La mostra, curata da un comitato scientifico composto da Howard Burns, Paolo Fancelli, Francesco Paolo Fiore, Arnold Nesselrath ed Alessandro Viscogliosi, rientra nel quadro delle celebrazioni di Leon Battista Alberti ed è organizzata dal Comitato Nazionale per il VI Centenario della nascita di L.B.Alberti e dal Comune di Roma a conclusione dei convegni di studio dedicati all’opera del celebre architetto-umanista succedutisi nel biennio 2002-2004. Attraverso l’esposizione di pezzi architettonici antichi a fronte di disegni e taccuini del Quattrocento, si intende illustrare lo stato delle architetture antiche di Roma e della loro conoscenza al tempo di Alberti, ed in particolare gli edifici ai quali si ispirò per il trattato De re aedificatoria e i suoi progetti. Allo stesso tempo verranno indagati i diversi metodi di rappresentazione e l’impegno rinnovatore con il quale architetti e disegnatori del Quattrocento affrontarono lo studio delle rovine per trarne ispirazione e modelli per un’architettura nuova. Completano l’esposizione oggetti antichi (monete, bronzi e gemme), manoscritti dei più importanti umanisti attivi a Roma e conosciuti da Alberti ed alcune significative opere di scultura e pittura particolarmente legate alla sua ricerca e alla sua visione dell’arte e della cultura degli antichi. Verranno presentati inoltre disegni e modelli riferiti ai principali interventi sui monumenti antichi e cristiani da parte dei papi e in particolare per il nuovo San Pietro e Borgo da parte di Niccolò V, il papa che inaugurò una nuova visione della Roma cristiana sulle basi dell’antico nel Quattrocento.


FotoGrafia. Festival Internazionale di Roma
aprile/maggio 2005
Da aprile a maggio 2005 torna l'appuntamento con FotoGrafia - festival internazionale di Roma, un incontro tra l'arte contemporanea e lo straordinario patrimonio storico della capitale che oltre ai Musei Capitolini, anche quest'anno coinvolgerà i più importanti siti museali della città. Il tema scelto per la IV edizione del festival, che è prodotto da Zone Attive, con la direzione artistica di Marco Delogu, è “oriented” :il pensiero e la filosofia, l’entrata dei paesi dell’Est nell’Unione Europea e il rapporto tra oriente e occidente. Nel titolo la d finale gioca con la parola 'oriented' (in inglese 'impegnato') e rafforza l’idea di un Festival costantemente indirizzato verso una fotografia sempre basata sull’equilibrio tra l’estetica e il contenuto.


Imago Urbis Romae. L’immagine di Roma in età moderna
Dall’11 febbraio al 15 maggio 2005
La mostra, prodotta dal Comune di Roma e curata da Cesare De Seta, intende fornire una suggestiva carrellata sulla configurazione urbanistica e paesaggistica che nel corso dei secoli ha connotato la città di Roma agli occhi dei viaggiatori e dei vedutisti che ce ne hanno tramandato il ricordo.
La produzione vedutistica romana conta infatti un numero sorprendente di opere, notevole sia per la qualità degli esiti che per la quantità eccezionale della produzione, ispirata dalla bellezza monumentale della città come dagli angoli più reconditi del tessuto urbano, dal momento che - come acutamente suggerisce Stendhal - “a Roma una semplice baracca è spesso monumentale”.
L’immagine della città è pertanto ricostruita attraverso un articolato percorso per sezioni che spazia dalla Roma Moderna, ai Grandi Panorami e Vedute, alla Roma Antica, al Tevere e le sue sponde, a San Pietro in Vaticano annoverando capolavori di Claude Lorrain, Gaspar van Wittel, Louis François Cassas, Giovanni Paolo Panini, Johann Georg von Dillis, Philip Hackert, Giovan Battista Lusieri, per citare solo i più celebri.
Saranno visibili nel complesso circa ottanta opere, tra disegni, dipinti e incisioni, provenienti tutte da prestigiosi musei ed istituzioni italiane ed estere, testimonianze preziose della tradizione cartografica e vedutistica di portata eccezionale dedicata a Roma nel corso di tre secoli.


UN ANNO AI MUSEI CAPITOLINI
Nell’occhio di Escher
dal 21 ottobre 2004 fino al 23 gennaio 2005. Prorogata fino al 28 marzo.
Un gran successo di pubblico per questa mostra, inaugurata a Roma in occasione del Primo Centenario dell’Istituto Olandese e promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali Sovraintendenza ai Beni Culturali. Circa 100 opere del grande maestro olandese che sarà possibile ammirare fino al 28 marzo, grazie alla proroga resa necessaria dal grande afflusso di pubblico. Si tratta di un percorso, attraverso opere provenienti dalla Fondazione Escher, da alcuni musei olandesi (il Rijksmuseum di Amsterdam ed il Gemeentemuseum de L’Aja) e da collezioni private, che segue il lavoro del grande grafico a partire dalle sue prime immagini per giungere a quelle più conosciute della piena maturità. Insieme a paesaggi, vedute di paesi arroccati sulle montagne o lungo le coste italiane, disegni preparatori e matrici originali in legno, è possibile ammirare, anche alcune celebri incisioni come Le mani che si disegnano del 1948, Salita e discesa del 1969 e una delle notissime Metamorfosi, stampe che in molti casi raffigurano il paesaggio italiano visto attraverso gli occhi dell’artista nei suoi numerosi viaggi nel nostro paese.
La mostra propone inoltre, per la prima volta, una serie di opere dedicate a Roma, dove l’artista soggiornò per molti anni. La cura scientifica della mostra è di Bert Treffers e Federica Pirani, in collaborazione con Lidy Peters.


ITALIA GIARDINO D’EUROPA

Il 2005 segna un anno importante per il FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano che celebra i suoi trent’anni di vita. La delegazione di Roma festeggia questo anniversario proponendo il corso di Storia dell’Arte dedicato al Paesaggio: “Italia Giardino d’Europa. Il Paesaggio: la sua storia e la nostra responsabilità”. Il corso, iniziato il 27 gennaio, terminerà il 6 aprile 2006. Le lezioni si terranno presso il teatro Quirino – Vittorio Gassman, tutti i giovedì a partire dalle ore 18.00.
Diversi e articolati i nuclei tematici che saranno affrontati: ad un filone storico-artistico supportato da un accurato apparato iconografico, che verterà sulla lettura della percezione del paesaggio nell’arte, si affiancheranno lezioni più specifiche sulla storia e l’architettura dei giardini, e lezioni d’attualità dedicate all’analisi di problematiche ambientali, per sollecitare il pubblico a riflettere sull’importanza del paesaggio italiano quale valore in sé da conoscere, apprezzare e tutelare nella sua inconfondibile unicità. 31 incontri con storici dell’arte, architetti, archeologi, agronomi e letterati per un viaggio alla conoscenza della cultura del paesaggio e nell’arte. Fra i relatori Cesare De Seta (Direttore Centro Studi Iconografia della città europea, Università di Napoli Federico II), Carlo Sisi (Direttore Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) Salvatore Settis (Direttore Scuola Normale Superiore di Pisa), Margherita Azzi Visentini (Politecnico di Milano) Angela Vettese (Direttrice corso di laurea specialistica in progettazione e produzione delle arti visive, IUAV Università degli Studi, Venezia).
Così le lezioni:

Gennaio-Dicembre 2005

Giovedì 27 gennaio
L’invenzione del Paesaggio
Carlo Bertelli, Università della Svizzera Italiana, Mendrisio

Giovedì 10 febbraio
L’Ars topiaria: dai parchi ellenistici ai giardini romani, in una nuova accezione
Alessandro Viscogliosi, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Architettura “Valle Giulia”

Mercoledì 16 febbraio
Il verde nell’Antica Pompei
Annamaria Ciarallo, Responsabile del Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza Archeologica di Pompei

Giovedì 24 febbraio
Il paesaggio nella pittura e nella letteratura del Medioevo
Chiara Frugoni, Università degli Studi di Roma Tor Vergata


Giovedì 3 marzo
Il “Gran tour d’Italie” fra Medioevo e Rinascimento
Claudia Villa, Università degli Studi, Bergamo

Giovedì 10 marzo
Leonardo e “l’arte di far poesia”
Marco Carminati, Storico dell’arte, giornalista del supplemento “Domenica” del Sole 24 ore


Mercoledì 16 marzo
Attrazione degli opposti: sintesi italiana e analisi nordica nella rappresentazione della natura tra Quattrocento e Cinquecento
Antonio Pinelli, Università degli Studi di Pisa

Mercoledì 6 aprile
Patrimonio culturale e società civile
Salvatore Settis, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa

Giovedì 14 aprile
Il Paesaggio e il costruito. Lo Stato di fatto. Il Veneto dalle Ville Palladiane a Villettopoli
Pierluigi Cervellati, IUAV Università degli Studi di Venezia

Giovedì 21 aprile
Dal giardino dell’Eden al giardino di Armida: il giardino romano tra Cinquecento e Seicento
Alessandro Viscogliosi, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Architettura “Valle Giulia”

Mercoledì 4 maggio
Pincio colle dei giardini
Giorgio Galletti, Professore al Master in Paesaggistica, Università di Firenze

Giovedì 12 maggio
Il nuovo paesaggio antico: la campagna romana come luogo dell’ideale classico, da Annibale Carracci a Poussin
Eugenio Riccomini, Storico dell’Arte

Giovedì 13 ottobre
Il paesaggio ideale, il Parnaso e l'Arcadia
Liliana Barroero, Università degli Studi di Roma Tre

Giovedì 20 ottobre
Thomas Jones e l'invenzione di un paesaggio
"altro"
Cesare De Seta, Direttore del centro Studi sull'Iconografia della città europea, Università di Napoli Federico II

Giovedì 27 ottobre
La cultura del Paesaggio nel Veneto: dal sogno di Poliphilo tramite Palladio e Scamozzi fino a Francesco Muttoni
Margherita Azzi Vicentini, Politecnico di Milano

Giovedì 10 novembre
Boschi, barchi e parchi nel paesaggio classico ideale del Lazio
Sofia Varoli Piazza, Docente di Paesaggistica, Università della Tuscia

Giovedì 17 novembre
Il paesaggio difeso. Manutenzione e trasformazione nelle ville e nei parchi storici di Roma
Alberta Campitelli, Dirigente dell'Ufficio Ville e Parchi Storici della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma

Giovedì 24 novembre
Il paesaggio nella pittura dei Macchiaioli
Carlo Sisi, Direttore Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti, Firenze

Giovedì 1 dicembre
La riscoperta del paesaggio italiano nei viaggiatori tra Sette e Ottocento
Fernando Mazzocca, Università degli Studi di
Milano

Giovedì 15 dicembre
Veduta e paesaggio pittoresco tra Settecento e Ottocento
Giovanni Romano, Università degli Studi di
Torino


Gennaio – Aprile 2006


Giovedì 19 gennaio
Il bello romantico: Villa Gregoriana
Alessandro Viscogliosi, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Architettura “Valle Giulia”

Giovedì 26 gennaio
L'immagine della nazione: paesaggio e fotografia tra la metà dell'Ottocento e gli anni venti del Novecento
Giovanna Ginex, Storica dell'arte

Giovedì 9 febbraio
Il sentimento del paesaggio nella pittura italiana del Novecento
Barbara Cinelli, Università degli Studi di Roma Tre

Giovedì 16 febbraio
Naturalismo e arte dei giardini. Riflessioni su due temi a confronto
Massimo De Vico Fallani, Direttore Servizio per la Conservazione di Parchi e Giardini della Sopraintendenza Archeologica di Roma

Giovedì 23 febbraio
Paesaggio agrario e giardino. Conservazione e sviluppo
Ippolito Pizzetti, Università di Ferrara, Facoltà di Architettura

Giovedì 2 marzo
Il Paesaggio nel diritto. Le leggi, i vincoli. La campagna quale parco del presente e del futuro
Pierluigi Cervellati, IUAV Università degli Studi di Venezia

Giovedì 9 marzo
L'arte contemporanea e il paesaggio
Angela Vettese, Direttrice del clasAV corso di laurea specialista in progettazione e produzione delle Arti Visive, IUAV Università degli Studi di Venezia

Giovedì 16 marzo
XXI secolo: dal paesaggio all'ambiente
Italo Insolera, Urbanista e Consigliere FAI del Lazio

Giovedì 30 marzo
Arte /Architettura/Paesaggio: nuove contaminazioni
Daniela Fonti, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Architettura "Valle Giulia"

Mercoledì 5 aprile
Il sistema ambientale e paesistico nel piano di Roma
Stefano Garano, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Architettura "Valle Giulia"

Giovedì 6 aprile
Il paesaggio difeso
Giulia Maria Mozzoni Crespi, Presidente FAI - Fondo per l'Ambiente Italiano


IL CENTENARIO DELL’ISTITUTO OLANDESE

L’istituto Olandese a Roma festeggia i suoi primi cento anni e decide di aprire le porte al grande pubblico, presentando un calendario di festeggiamenti ricco ed articolato: arte, cinema, teatro, ma anche musica e convegni. Il primo appuntamento è con il progetto, diviso in tre fasi, “DIVA DOLOROSA”. Prima tappa, il convegno “Diva dolorosa. Il glamour del muto”. Oratori olandesi, francesi, italiani e americani si confrontano sul fenomeno del divismo nel cinema novecentesco. “La donna in maiuscolo”, “La sfinge sposa. Franz von Stuck e la Diva casalinga”, “l’invenzione del glamour. Le dive italiane del muto nella pittura, nelle fotografie e nel cinema” , “La diva tra il melodramma e lo schermo: la donna sconfitta” sono solo alcuni dei temi trattati. Attraverso una seria di ritratti dipinti e fotografate ed immagine cinematografiche di Lyda Borelli come attrice di teatro e di cinema, il professor Ivo Blom approfondisce lo stretto legame tra arti visuali diverse che ha caratterizzato l’inizio del secolo scorso. Michele Lagny, invece, affronta il dolore della diva, presente tanto nel cinema che nell’opera lirica. Il cinema toglie loro voce, affidando al canto, al copro ed alla luce il compito di raccontare sofferenze e sconfitte. Ma il cinema muto del Novecento, oltre alla diva, ha un’altra peculiarità: mostra come le interconnessioni culturali avvicinino Occidente ed Oriente. Una vicinanza culturale, che, spesso, è a sua volta causa di straniamento, dolore e perdita del sé.
“Diva dolorosa” è un convegno ma anche un film, proiettato all’Auditorium alla presenza della Regina dei Paesi Bassi, Beatrix. A rendere unica la proiezione di questa raccolta di frammenti del cinema muto italiano, un montaggio ipermoderno che ne evidenzia le forti suggestioni e la musica, eseguita dal vivo – come ai tempi del muto – e composta appositamente per l’occasione dall’olandese Loek Dikker, già premio per la miglior colonna sonora europea al Festival di Ravello 2004. La musica cita Ravel , Verdi e Wagner, anche questi rivisitati e mescolati in chiave moderna. Il filmato è l’occasione di rivedere e rileggere in chiave psicanalitica le performance delle più grandi attrici del genere, da Francesca Bertini a Pina Menichelli e Lyda Borrelli. Non può mancare, chiaramente, Eleonora Duse, presente con due rarissimi frammenti. Terza ed ultima parte del progetto, lo spettacolo teatrale “Tre volte Duse”, alal casa delle Letterature. DIVA DOLOROSA, inizia il 20 e, nei suoi diversi appuntamenti, accompagna il visitatore fino al 31 ottobre.
Tre anche gli appuntamenti previsti per la parte più prettamente artistica. È grandissima l’attesa per la mostra “NELL’OCCHIO DI ESCHER”, ai Musei Capitolini dal 22 ottobre al 23 gennaio. Escher che del novecento ha contribuito a definire l’iconografia, ha amato l’Italia in generale e Roma in particolare, decidendo anche di trasferirvisi. La mostra, con oltre cento opere, si propone di raccontare l’iter professionale dell’artista, ponendo particolare attenzione al suo periodo romano. Le opere esposte provengono dalla Fondazione Escher, da alcuni musei olandesi e da collezioni private.
I Mercati di Traiano ospitano, invece, dal 23 ottobre al 25 dicembre, la mostra “WONDERHOLLAND”, una ‘caduta’ nell’arte e nel design olandese contemporaneo. Riprendendo la fantasia di Lewis Carrol che sosteneva che se Alice avesse attraversato tutta la terra, sarebbe arrivata nel paese delle acque, la mostra ha voluto identificare questo paese con i Paesi Bassi appunto ed ha quindi seguito il viaggio di un’ipotetica Alice nell’Olanda di oggi. Il foro è la tana del Bianconiglio e da lì i visitatori prenderanno le mosse per un viaggio su 4 livelli attraverso moda, fotografia, arti visive, architettura e scultura. Diciotto i gruppi di artisti, due dei quali si sono dedicati alla realizzazione di un catalogo-favola.
L’ultima mostra, allestita presso la sede dell’istituto, in via Omero, è “100 ANNI NIR”mostra interattiva dedicata alla storia dell’Istituto a Roma ed ai 3500 artisti olandesi, che trovandovi ospitalità, hanno potuto conoscere la capitale.


GLI SCAVI DI ARSLANTEPE

I mercati di Traiano ospitano una mostra archeologica ai quarant’anni scavi archeologici compiuti dalla Missione Archeologica Italiana nell’Anatolia orientale. Lo scavo di Arslantepe, questo il nome del sito, è uno dei sette grandi scavi d’ateneo, sostenuti direttamente dall’Università «La Sapienza», in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e con il MIUR: l’esposizione è parte integrante delle celebrazioni per i settecento anni dall’istituzione dell’Ateneo romano. L’evento propone un viaggio alle radici dell’organizzazione sociale complessa dell’uomo, lungo quei processi originari e irreversibili che dalle primissime forme di gerarchizzazione economica hanno condotto al costituirsi della civiltà urbana. Una storia del potere, del suo nascere, del suo formarsi, del suo legittimarsi ideologicamente, dal IX al I millennio a.C. In mostra, un ampio repertorio di oggetti (circa 200), testimonianze materiali di una civiltà antichissima, riemerse dal passato grazie al lungo e paziente lavoro degli archeologi, che hanno indagato con passione e rigore scientifico i 30 metri del tell posto a poca distanza dalle rive dell’Eufrate, a 5 km. dall’odierna città di Malatya, nella Turchia orientale. Si tratta di una collina artificiale formata dalla sovrapposizione di villaggi e città distrutti e ricostruiti uno sull’altro, che rivelano una storia millenaria, in una regione situata nel cuore del Vicino Oriente, all’incrocio tra le grandi civiltà che stanno alla base della nostra stessa storia. Tra i reperti visibili in occasione della mostra, numerosissime sono le cretulae, i grumi di argilla con le impressioni di centinaia di sigilli diversi, che furono usate come documenti-ricevuta, e poi ancora gruppi di armi e lunghe spade ageminate, le prime mai utilizzate al mondo; un ricco corredo funebre da una tomba reale, comprendente vasellame, gioielli, armi, nonché testimonianze tra le più antiche di sacrifici umani di giovani adolescenti sulla sepoltura del capo. Ciò che non era trasportabile dal sito - la tomba reale, un angolo di magazzino e i muri dipinti su parte degli elevati del grande edificio palaziale - viene reso visibile al pubblico grazie a ricostruzioni in scala reale. Ampio è l’uso in mostra di immagini ricostruttive ed elaborazioni grafiche al computer, nonché di video realizzati con filmati e foto sui temi trattati nell’esposizione: il tutto per creare un racconto a tappe, che con una narrazione semplice e divulgativa ma al tempo stesso rigorosa, accompagni il visitatore alla scoperta di una civiltà sconosciuta ai più e ricca di fascino.


IL GRAND TOUR DI CRESWELL

Grande festa a Palazzo Taverna per celebrare il calendario 2005 della casa vinicola Di Meo, che anche quest’anno ha scelto di affiancare alla sua raffinata produzione vinicola l’interesse per l’arte. Ospite d’onore della serata sarà Alexander Creswell - artista inglese di fama internazionale, amico e pittore prediletto del principe di Galles Carlo d’Inghilterra - che ha deciso di imprestare al calendario Di Meo 2005 dodici preziose vedute, parte di un ciclo dedicato ad alcune tra le più suggestive immagini del paesaggio architettonico italiano. Creswell, come un viaggiatore ottocentesco incantato dalla bellezza dell’Italia, compie una sorta di Grand Tour, ritraendo la decadenza, l’eleganza e la storia di alcuni dei luoghi più suggestivi del nostro paese, dalla Rotonda del Pantheon di Roma al Palazzo Biscari in Sicilia. La fama di Alexander Creswell è per lo più legata alle commissioni ricevute a partire dai primi anni novanta dai sovrani d’Inghilterra, ed è proprio nella loro collezione che si trova il più cospicuo numero di opere dell’artista. Nel 1993, la Royal Collection gli ha commissionato una serie di acquarelli per documentare le condizioni delle State Rooms all’indomani del grave incendio che aveva colpito Winsdor Castle. Le opere di Creswell sono entrate a far parte anche di significative collezioni quali la Parliamentary Art Collection di Westminster, la Forbes Collection di New York, la collezione della Library of Congress di Washington, la Frick Collection di New York e in Italia la collezione privata di Vittorio Sgarbi.


DALLE LEGGIANTIEBRAICHE ALLA SHOAH

Fino al 30 gennaio la Gipsoteca del Complesso del Vittoriano ospita la mostra “Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945”. L'esposizione costituisce il frutto del cinquantennale impegno di ricerca della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC, l'Istituto storico della shoah in Italia che negli anni scorsi ha portato a termine ricerche fondamentali, quali la ricostruzione dell'elenco completo degli ebrei arrestati e deportati dall'Italia, la ricostruzione integrale della legislazione antiebraica fascista, la ricostruzione informatizzata delle strutture di sterminio del campo di Auschwitz. In gran parte d'Europa gli ebrei subirono, nello spazio di poco tempo, la revoca di pressoché tutti i diritti civili e, infine, quella dello stesso diritto alla vita: in una tortuosa ma incessante progressione cronologica e geografica, a milioni di ebrei venne negata la qualifica di cittadini e poi quella di semplici esseri umani. Antico antigiudaismo cristiano, nuovo razzismo scientifico, moderno nazionalismo, nuovissimo spirito tecnologico, profondo spirito reazionario, recente antisemitismo politico, tutto ciò e altro ancora compose una miscela che, nel contesto del nuovo sanguinoso conflitto, produsse la shoah. La Mostra "Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945" illustra cosa accadde nel nostro Paese, sotto il regime fascista e dal 1943 sotto la Repubblica sociale italiana e l'occupazione tedesca. Il percorso espositivo si sviluppa dalla campagna stampa antiebraica del 1938 alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau, luogo principale dello sterminio degli ebrei della penisola, si sofferma sugli atteggiamenti della società e sul contesto bellico, evidenzia la specificità di singoli episodi e contestualizza gli aspetti generali. Viene documentato, per la prima volta in modo scientifico e completo, ciò che avvenne in Italia in quei tragici anni: la legislazione antiebraica e le sue conseguenze sulle vittime (autunno 1938 - estate 1943); gli arresti, la deportazione, lo sterminio e la vita ebraica in clandestinità (settembre 1943 - aprile 1945). Il visitatore viene posto dinanzi ai fatti, ai testi, alle fotografie dell'epoca, affinché possa essere maggiormente coinvolto da quegli eventi, riconoscere il perseguitato che venne strappato alla scuola pubblica, alla vita lavorativa, alle amicizie, alla vita.


SESSANTENNALE DELL’OLOCAUSTO UNGHERESE

“L’olocausto nell’arte figurativa ungherese” è questo il titolo della mostra con cui l’Accademia di Ungheria, in collaborazione con il Museo Ebraico di Budapest e i familiari degli artisti, ha deciso di celebrare il sessantesimo anniversario dell’olocausto ungherese. Nell’arte figurativa ungherese dell’inizio del ‘900 hanno avuto un ruolo fondamentale artisti di origini ebree, considerati cittadini ungheresi a tutti gli effetti. Tra il 1938 e il 1939 a causare il primo trauma per molti di loro fu “l’essere classificato ebreo”, nonostante fossero inseriti nella vita culturale e pubblica del Paese; numerosi intellettuali (Béla Bartók, Aurél Bernáth, Zsigmond Móricz) protestarono in nome della cultura magiara contro questa discriminazione. Scultori, pittori, artisti molto celebri furono chiamati ai lavori forzati o al fronte. Ecco alcuni nomi dalla lista degli intellettuali scomparsi: Dávid Jándi, István Örkényi Strasszer, János Schnitzel, Pál Berger Juhász, György Weisz Fehér, e Imre Ámos, il cosiddetto “Chagall magiaro”, che sui fogli scritti e disegnati del suo diario documentò gli orrori e le umiliazioni degli ultimi quattro anni della sua vita, trascorsi ai lavori forzati. Nelle sue opere di quel periodo sopravvive il senso etico, l’emotività, lo stile surrealista, malgrado l’ambiente di disumanità e desolazione che lo circondava.
Molti sopravvissuti hanno lasciato il paese dopo il 1945 (Péter Székely, Tibor Jankay, Béla Bán), altri sono rimasti in Ungheria e sono diventati fautori delle nuove tendenze dell’arte figurativa, come Endre Bálint e Dezso Bokros Birman. Lunga la lista dei morti nei vari campi di concentramento: József Klein, Erno Tibor, György Goldman, Paula Porter, Bertalan Göndör, Andor Sugár, György Kondor. Uno dei più famosi è il pittore esistenzialista István Farkas, membro dell’École de Paris, che ha avuto molto successo negli anni ’20-30. Questi i pochi sopravvissuti agli orrori del lager: György Kádár, Ágnes Lukács, Edith Fekete, Imre Pál Erdos, Gyorgy Hegyi, che non sono mai riusciti a liberarsi dai terribili ricordi delle angherie e delle violenze subite. La vita nel ghetto ha influenzato l’arte di molti, fra cui Lili Ország, Ilka Gedo, Erzsébet Schaár. Artisti come Margit Anna, Marianne Gábor, anche in età avanzata sono stati perseguitati dai ricordi dell’assassinio dei loro cari, finiti con un colpo alla nuca nel Danubio, sotto le finestre delle loro case.


ORO BIANCO GINORI

L’esposizione Oro Bianco Ginori. Oggetti, design, tecniche e laboratori sull’Arte della Porcellana, al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia fino al 28 novembre 2004, intende illustrare i misteri dell’inestricabile intreccio esistente tra l’abilità manuale e la sensibilità artistica; ciò grazie ad un efficace percorso espositivo realizzato ricalcando la reale articolazione dello stabilimento di Sesto Fiorentino nel quale le porcellane Ginori prendono forma; il tutto nel rigoroso rispetto per la tradizione e al tempo stesso nella costante attenzione per l’innovazione tecnica, elementi che caratterizzano la storia di tutta la produzione della manifattura Richard-Ginori dalle sue origini risalenti al 1737 fino ai giorni nostri; il visitatore della Mostra di Palazzo Venezia potrà effettuare una vera e propria visita virtuale alla più antica fabbrica di porcellane in Italia, alla scoperta di quegli affascinanti “segreti” che già agli inizi del XVIII secolo, hanno portato alla realizzazione della porcellana, il mitico “oro bianco” che con la sua lucentezza, la sua trasparenza e la sua straordinaria compattezza materica, ha sedotto il gusto estetico di intere generazioni dei più importanti sovrani della Vecchia Europa. Il laboratorio della Ceramica attivo all’interno del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia ospita, durante tutto il periodo di svolgimento della Mostra, un laboratorio didattico dedicato specificatamente alla porcellana Ginori: in tale contesto e sotto la guida diretta di valenti maestri-decoratori della manifattura Richard-Ginori, è possibile sperimentare personalmente la pratica decorativa all’interno di un vero e proprio corso di pittura su porcellana ed apprendere la tecnica della decorazione a piccolo fuoco, così come era praticata nel XVIII secolo, agli inizi della storia della fabbrica toscana.

 

TRENT’ANNI DI OVETTI

La Pasqua più democratica? È quella della Kinder. Nel 1974 – ormai trent’anni fa – la Kinder ha ‘regalato’ gli ovetti a tutti i bambini, ma non solo. Se una volta, infatti, per avere un uovo di cioccolata bisognava aspettare Pasqua, oggi basta entrare in un qualunque bar. Cioccolata a costo ridotto ma, soprattutto, sorprese. Una rivoluzione sociale da non sottovalutare, cui si è aggiunto, con il passare degli anni, il mito. E da questo, in un’ulteriore evoluzione, il collezionismo. Il ‘mercato nero’ delle sorprese uscite di produzione cresce con passi da gigante. Alla rivoluzione più buona del mondo, il Complesso del Vittoriano dedica, fino al 24 ottobre, la mostra “SorpresEmozioni”. L'attenta progettualità, il lavoro manuale, lo studio dei prototipi e il forte impegno artigianale, rappresentano le peculiarità che da sempre contraddistinguono il mondo Kinder Sorpresa. La Mostra per il Trentennale vuole analizzare questi aspetti ripercorrendo trent'anni di progetti, di collezioni e creazioni, di "mondi", veri e propri universi fatti di personaggi divertenti e curiosi, attraverso il confronto con i materiali e gli strumenti utilizzati dagli artigiani e dai disegnatori Kinder. La Mostra presenta la Kinder Sorpresa come un vero e proprio oggetto d'arte affrontando ora il suo processo creativo attraverso disegni, progetti, filmati, ora la storia del collezionismo con l'esposizione dei pezzi più noti e particolari, ora il mondo delle sorprese con l'analisi dei tanti personaggi creati in trent'anni e la scelta, anno per anno, delle creazioni più rappresentative.

 

LA RICERCA NEL SEGNO

Fino al 15 novembre, lo Studio San Giacomo ospita una mostra dedicata al disegno novecentesco. Segno e disegno sarebbe il caso di dire, dato che, in realtà, al disegno tradizionalmente inteso si aggiungono anche tecniche miste. Tra i vari disegni - tutti provenienti da collezioni private ed in vendita nella stessa galleria - anche un disegno di Giorgio de Chirico “Cavalli”, tema prediletto dall’artista, ripetuto nel corso del tempo in innumerevoli schizzi, fogli finiti e in più di 50 tele. I disegni degli artisti scelti nel percorso espositivo (Ambrogio Alciati, Franco Angeli, Baccio M. Bacci, Giacomo Balla, Balthus, Giuseppe Capogrossi, Felice Carena, Bruno Caruso, Gisberto Ceracchini, Corrado Cagli, Duilio Cambellotti, Charles Chaplin, Fabrizio Clerici, Primo Conti, Massimo De Carolis, Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, Stefano Di Stasio, Pericle Fazzini, Franco Gentilini, Oscar Ghiglia, Renato Guttuso, Adolf Hiremy Hirschl, Guglielmo Innocenti, Leoncillo, Carlo Levi, Riccardo Licata, Mino Maccari, Antonio Marasco, Luigi Montanarini, Plinio Nomellini, Ubaldo Oppi, Luigi Pirandello, Enrico Prampolini, Mario Schifano, Gino Severini, Mario Sironi, Armando Spadini, Orfeo Tamburi) pur diversi tra loro per intenti e poetiche rappresentano una importante testimonianza del ruolo centrale del disegno nell’opera dei Maestri dell’arte del XX secolo e delineano una scelta di gusto da parte della curatrice che si occupa di disegni antichi da trent’anni.


IL VITTORIANO DI DEGAS

Dipinti, sculture, incisioni, disegni e fotografie. Con oltre 180 opere, “Degas. Classico e Moderno”, al Complesso del Vittoriano dal 1° ottobre al 1° febbraio, è la mostra più completa che sia mai stata organizzata in Italia sul celebre impressionista francese. L’esposizione, come sottolinea il titolo, punta l’attenzione sulla duplice anima di Degas: da un lato impegnato in un’ossessiva ricerca di nuove forme e nuovi materiali, dall’altro, invece, legato ai grandi modelli del passato. Donne e cavalli i temi a lui più cari. I corpi vengono spogliati ed analizzati nei dettagli, a farne dei soggetti da laboratorio. D’altronde, è lui stesso a dire che “l’arte è il vizio. Non la si sposa legittimamente, la si violenta”. Poco amato dagli altri impressionisti, Degas ne utilizza la tecnica per sezionare la vita nei suoi aspetti quotidiani, mostrandone piccolezze e dettagli con fredda lucidità. Una sezione speciale del percorso espositivo ospita la collezione completa di bronzi dell’artista, acquistati, nel 1951, dal Museu de Arte di San Paolo. La prova che, al contrario di quanto a lungo supposto, Degas si dedicò alla scultura tutta la vita e non solo negli ultimi anni, quando era ormai troppo cieco per dipingere.


FRASCATI INCONTRA LILITH

“Lilith: L’aspetto femminile della creazione” è il tema con cui Le Scuderie Aldobrandini aFrascati hanno deciso di inaugurare la nuova stagione espositiva. Le opere di trentasei artiste contemporanee provenienti da tutto il mondo illustrano l’archetipo femminile. Lilith, preesistente ad Eva, e realizzata con la stessa materia di Adamo, cui non accettò di sottomettersi, fu cacciata – per questa ‘rivolta’ – dal paradiso terrestre. Nata in un’eclissi di luna, diventò il simbolo culturale dell’eterna lotta della donna per la sua emancipazione. Curata da Maria Luisa Trevisan, la mostra presenta sculture, dipinti, istallazioni ambientali e video. Molti i grandi nomi esposti: Carla Accardi, Karin Andersen, Cecily Brown, Nan Golden e Kiki Smith solo per citarne alcune. Accanto a loro, anche artiste – meno note . legate al territorio, che negli anni hanno acquisito una loro maturità artistica.
La mostra è realizzata con il contributo dell’Assessorato alla Cultura, Spettacolo, Turismo e Sport della Regione Lazio e dell’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia di Roma. L’esposizione è visitabile fino al 17 ottobre.

 

CARLA ACCARDI AL MACRO

Fino al 9 gennaio, il Macro, nella sede di via Reggio Emilia, ospita una personale di Carla Accardi. Nata nel 1924 a Roma, la Accardi si trasferisce presto a Roma, dove entra in contatto con Consagra, Perilli, Turcato, Attardi e Sanfilippo, che diventerà poi suo marito. Con loro, nel 1947, firma un manifesto che sostiene l’arte non figurativa. All’iniziale adesione al post-cubismo, aggiunge una diversa e personalissima poetica del segno, abbandonando presto il bianco e nero per scegliere colori accesi e brillanti. Dopo il colore decise di operare dei cambiamenti nei materiali utilizzati, lasciando la tela in favore del sicofoil, una plastica trasparente; seguita poi dai “rotoli”, pitture sculture realizzate arrotolando un foglio di plastica dipinta con segni monocromi. da qui alla costruzione di strutture ambientali il passo è breve. Nascono così le Tende, in sicofoil e colore, ed i Lenzuoli. Negli ultimi anni torna alla pittura, dipingendo su tela grezza o su ceramica. La rassegna romana presenta una raccolta dei lavori che Carla Accardi ha realizzato dagli anni ’70 ad oggi. Articolato in 4 sezioni, il percorso si snoda attraverso le opere degli anni ’70, una casa-labirinto in perspex, una serie di alti coni in ceramica e 15 grandi disegni realizzati appositamente per il MACRO.


IL CIELO DI ROMA

Sono passati venti anni, e Roma finalmente ha di nuovo un planetario. Dopo la chiusura di quello storico che aveva sede presso la sala della Minerva all’interno delle terme di Diocleziano, il planetario si trasforma, ammodernandosi e diventando parte di un polo divulgativo della scienza, presso il palazzo della civiltà romana all’eur. Dotata di una superficie di 300 metri quadrati, una cupola schermo di 14 metri di diametro e la disponibilità di 100 sedute ergonomiche, la struttura si avvale di una moderna tecnologia ottica e digitale. Il nuovo polo della scienza è composto anche da un interessante museo astronomico basato sul concetto della teatralizzazione della didattica e di un centro di documentazione per le scienze astronomiche.


LE RADICI DELLA NAZIONE

Le radici della nazione è il nome del progetto del ministero dei beni culturali – realizzato in collaborazione con il senato della repubblica – che fino al 2011 farà del vittoriano uno strumento di promozione della storia del nostro paese, portavoce di una cultura di diversità nell’unione. Otto le mostre previste – una per anno – che, raccontando l’evoluzione dell’italianità – intesa non come nazionalismo ma come nazione culturale – ci accompagneranno fino alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. L’evento è già stato preso a modello da alcuni paesi della Comunità europea, sposandosi perfettamente con la filosofia dell’unione che unisce paesi di tradizione e cultura differente, per fare delle loro diversità una fonte di ricchezza. L’inaugurazione dell’evento si terrà il 2 giugno presso il Vittoriano appunto, nella sala Zanardelli, con la mostra “Fonti per la storia d’Italia”, raccolta di documenti, statuti e testi miniati, dipinti, ma anche filmati storici dell’archivio dell’Istituto Luce.

 

LA COLLEZIONE DEL PRINCIPE

“La collezione del principe da Leonardo a Goya”: è questo il titolo della mostra ospitata a Palazzo Fontana di Trevi, fino al 20 luglio e promossa dall’istituto Nazionale per la Grafica in collaborazione con l’Accademia dei Lincei. L’esposizione raccoglie i disegni e le stampe che i principi Corsini raccolsero per oltre un secolo all’interno della biblioteca di famiglia. La collezione – frutto del gusto del cardinal Neri Maria Corsini – faceva parte delle raccolte manoscritte e a stampa della Biblioteca e continuò ad essere ampliata anche nel corso dell’ottocento fino a Tommaso Corsini, senatore del Regno e donatore, nel 1883, della ricca biblioteca di famiglia all’accademia.
Articolata in tre sezioni la mostra prende avvio proprio dalla Biblioteca, con i dipinti, le stampe, i disegni e i volumi di maggior pregio. Si prosegue poi con la sezione dedicata a “Le Stampe” che testimonia la ricchezza del fondo e soprattutto lo sviluppo che nei secoli ha goduto la pratica dell’incisione, di invenzione e di traduzione. Sono esposte le stampe di Mantenga, Durer, Raimondi, Carracci e Salvator Rosa, Piranesi e Goya. La parte conclusiva del percorso è dedicata a “I disegni”: dalla Scuola fiorentina – con Leonardo da Vinci, Filippino Lippi, Pontormo e Vasari, solo per citare alcuni artisti – alla Scuola Romana per lo più di area barocca, da Bernini a Pietro da Cortona. Presneti anche le scuole genovese, bolognese, veneta, napoletana, francese e fiamminga, tra queste le opere di Guercino, Lorrain e van Wittel.


VISITA ALLA CALCOTECA

Con oltre 23.000 matrici , realizzate tra il ‘500 ed il ‘900., La calcoteca di Roma è la più grande del mondo, seguita poi da quella spagnola e, solo al terzo posto, da quella francese ospitata presso il Louvre. Con una maggioranza di pezzi in rame ma anche più rari esemplari in zinco, piombo, ottone e legno, la collezione romana racconta la storia del nostro paese e l’evoluzione di un genere artistico. Piranesi, Rossini, Salvator rosa, Carrà, Morandi sono solo alcuni dei tanti artisti le cui opere sono conservate nei sotterranei dell’istituto nazionale della grafica, in una struttura che poco nota ai romani, sembra invece essere ben conosciuta dagli stranieri che ne sono i maggiori fruitori, considerandola uno dei grandi tesori della capitale. Decisamente all’avanguardia nelle tecniche di restauro e conservazione degli stampi, la calcolteca lo è altrettanto nel modo di intenderne il valor. Insieme alla Spagna, l’Italia è infatti l’unico paese europeo ad aver compreso e valutato le matrici come veri e propri beni culturali e non più come semplici strumenti per produrre oggetti d’arte. Di riproduzioni comunque se ne eseguono ancora ma mai da calchi originali. Grazie alla galvanoplastica è possibile ricostruire una copia metallica pressoché identica all’originale d’epoca da un modello in gomma siliconica. All’alto costo di questa tecnica fa da contraltare il basso costo delle stampe così riprodotte, quasi perfette e senza che vengano alterati i calchi originali con l’inchiostro e la pressione dei torchi.
L’ingresso alla calcoteca è possibile su richiesta.

 

Libertà IN BIANCO E NERO

“4 giugno 1944. La liberazione di Roma nelle immagini degli archivi alleati” è questo il titolo della mostra fotografica ospitata al complesso del Vittoriano a Roma fino al 5 settembre. Il percorso si snoda attraverso circa 400 foto, ed alcuni filmati d’epoca, che raccontano una Roma diversa da quella storicamente nota, perché vista dall’esterno, dallo straniero che improvvisamente si scopriva eroe e salvatore. Una Roma povera ma felice, ed in cuor suo vittoriosa perché finalmente libera. Un’esposizione interessante, commovente, e bella. Semplicemente bella di quell’aggettivo che nella sua semplicità a volte pare diventare banale, ma che in questo caso è il più adatto a descrivere un viaggio di luci ed obiettivi nel cuore della nostra storia. Forse l’unico ed il migliore commento possibile va rubato alle parole incise da un prigioniero nelle carceri di via tasso:
Capitano non voglio bende, non vogli lacci per le mie mani
Voglio solo che all’indomani la memoria di me si avrà.
Capitano non voglio terra non voglio croce sulle mie ossa
Voglio solo che nella fossa il mio spirito mai cadrà.
Capitano puntate al petto della morte non ho paura
Chi la fede ce l’ha sicura per la vita non può tremar.
Capitano non voglio encomi
Tu mi uccidi per la mia terra
Ma tu sai che chi cade in guerra
Vive tutta l’eternità.


DOPPIE VISIONI

Fino al 29 agosto, le scuderie del Quirinale a Roma aprono le porte alle fotografie dei maestri internazionalmente riconosciuti, ma non solo. Accanto ai grandi Salgado, Cartier Bresson, Giacomelli e Rossmeyer solo per citarne alcuni, hanno esposto i loro lavori anche fotografi più giovani e meno noti, tutti rigorosamente italiani. Obiettivo della mostra è quello di porre a confronto diverse sensibilità ed epoche, chiaramente supportate ed espresse da altrettanto diverse tecnologie sugli stessi temi. Tempi e modi differenti si incontrano in un unico spazio per dialogare tra di loro su un terreno comune, ma soprattutto per coinvolgere lo spettatore più o meno appassionato. L’esposizione ha infatti un chiaro intento didascalico che se non vuole raccontare la storia della fotografia, vuole comunque educare ad una concezione dello scatto come opera d’arte. E proprio per questa finalità magistralmente assolta, l’esposizione sembra scontentare un pubblico più ‘esperto’ e di addetti ai lavori, cui non possono sfuggire alcune piccole ma significative leggerezze: l’accostamento di cartier bresson a giacomelli, distanti nella loro attività di soli pochi anni a fronte del mezzo secolo che intercorre tra gli altri artisti, e ancora per proseguire il discorso su giacomelli la mancanza dei tanti scatti dedicati alla malattia ed all’esclusione, cui l’artista dedicò la parte più consistente del suo lavoro, ed ancora l’eccessiva enfasi posta su alcuni dei fotografi più giovani quasi a voler oscurare l’opera di indiscutibili maestri che delal fotografia hanno fatto la storia. Lodevole comunque l’intento della mostra, che infatti non manca di ottenere un riscontro di pubblico. Forse l’educazione allo scatto avrebbe dovuto si scegliere la via dell’estetica ma accompagnandola a quella della cultura.


BENTORNATA VALADIER

Un ristorante ed una vineria, un posto d’incontro per aperitivi ed una sala per due chiacchiere riscaldate da un tè: è questo il nuovo aspetto della Casina Valadier, in passato cuore di villa borghese poi nel corso dei secoli, dimenticata o forse dovremmo dire oscurata. In realtà, il destino della casina progettata dall’architetto Valadier sembra non essere stato dei più felici sin dall’inizio. La Roma bene per cui era stata disegnata e realizzata sembrava non volerla accogliere nelle sue grazie. Fu solo nel novecento che cominciò ad andare di moda. Ma anche in questo caso la fortuna durò poco fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui pochi anni or sono, la casina diventò location di feste estive ancora una volta destinate alla Roma bene, che questa volta partecipò dimenticando quel presunto ‘bene’ che doveva contraddistinguerla e finendo quindi per portare alla casina più danni che lustro. Oggi, il comune di Roma nel desiderio di farla tornare a nuova vita, l’ha affidata in gestione a la grande cucina s.p.a., società di recente costituzione dietro cui si celano i nomi dei più noti imprenditori italiani. A loro si deve il restauro della villa e di una parte dei reperti archeologi che sotto di essa sono stati rinvenuti. È stata infatti riportata alla luce la cisterna romana, meno fortunati altri reperti che dopo un primo studio sono stati reinterrati per motivi di conservazione. A questi imprenditori l’onore del restauro compiuto faticosamente e gli oneri di un nuovo lancio della location, che questa volta si spera sia più fortunato e duraturo.


Il Decò in Italia

Mobili, gioielli, vasi e tappeti, affreschi ma anche cartelloni pubblicitari: il chiostro del bramante a Roma riscopre le arti applicate, nella mostra “il Decò in Italia”, visitabile fino al 13 giugno. Dalle origini fino agli sconfinamenti nel razionalismo, ed agli scontri/incontri con futurismo e neoclassicismo, il percorso espositivo racconta venti anni della nostra storia e della nostra produzione artistica, dal 1918 per essere precisi fino al 1939. Ma soprattutto punta l’attenzione su una ricerca artistica che voleva dare corpo e soprattutto immagine alla tensione del mondo intero verso la modernità, con la creazione di uno stile proteso verso il nuovo. Moderno è tutto ciò che evoca progresso, dinamismo, movimento ed invenzione: così la lampada che non serve più solo per illuminare ma anche per omaggiare il portento tecnologico della luce elettrica, così anche le automobili – evidente il collegamento con il movimento futurista. E proprio con Balla e Depero – non a caso – si apre la mostra, nella ricostruzione futurista dell’universo e nella proiezione tramite luce e colore del movimento su superfici statiche e, per loro natura, rivolte all’osservazione o dovremmo dire all’ammirazione di prodotti a metà tra l’arte ed il ludus da parte di un pubblico culturalmente elitario. Il Decò, inteso nella sua più ampia accezione che va a coinvolgere quindi tanto le arti cosiddette maggiori quanto le minori, è stato il padre del made in Italy, insegnando a fondere linguaggi differenti in un unico e nuovo concetto di stile.

 

Il mito di flora

La primavera: il risveglio della natura tra arte e mito, questo il titolo della mostra allestita al complesso del Vittoriano fino al 2 maggio. Promossa dalla provincia di Roma ed inserita nell’ambito delle celebrazioni della festa di primavera appunto, l’esposizione vuole tracciare un breve percorso, attraverso i secoli, nella concezione e soprattutto rappresentazione che la sensibilità di artisti differenti ha offerto del mito della primavera, nella sua accezione naturalistica ed allegorica. 90 le opere esposte tra oli, acquerelli, stampe e reperti archeologici. Molti i grandi artisti: Brueghel, Guercino, Ludovico Carracci, Pietro e Gian Lorenzo Bernini. Il percorso si snoda attraverso 5 sezioni: feste di primavera e provincia – dal 1600 al 1800; il mito di flora, dea della fertilità e regina dei fiori nonché metafora di giovinezza e beltà; il ciclo della vita: le quattro stagioni, cerere e proserpina: il risveglio della natura ed infine “immagini di fiori”, intesi come massima espressione e teofania dell’energia divina creatrice, antesignani del genere che successivamente verrà dfinito “natura morta”. 90 opere per un percorso che vuole in realtà essere solo un principio di lavoro, un suggerimento in un certo senso, che rimandi l’osservatore alla ricerca della primavera attraverso i secoli secondo la propria sensibilità, privilegiando la raffigurazione più celebre – basti pensare al Botticelli – o quella meno nota. Una mostra quindi laboratorio, che si offre come strumento di un viaggio tematico attraverso la storia.


I TESORI DEGLI AZTECHI

“Il popolo del cactus, dell’aquila e del serpente sul cuore palpitante” – questa l’immagine degli aztechi che viene tramandata nel corso dei secoli dai codici dipinti e che, oggi, è diventata il cuore della bandiera messicana. A quel cuore è dedicata la mostra “i tesori degli aztechi”, a palazzo ruspoli a roma fino al 18 luglio. Con oltre 350 reperti provenienti dal Messico, il percorso della mostra racconta la storia di un popolo, attraverso le sue gesta gloriose ma ricordando anche quegli oscuri e sanguinosi sacrifici umani che all’epoca fecero rabbrividire i conquistadores spagnoli guidati da cortès. dalle manifestazioni artistiche dei predecessori fino all’introduzione del cristianesimo ad opera degli spagnoli, l’esposizione offre uno spaccato sulla cultura di un popolo che seppe – almeno inizialmente – incutere rispetto agli invasori, suscitandone la curiosità. Religione, dei e calendario, oroscopo, natura ed essere umano come oggetti d’arte, il templo mayor – la maggiore piramide azteca che sorgeva al centro della capitale tenochtitlan – ed ancora l’impero, la vita del re ma anche il quotidiano della gente comune: sono questi i temi presi in esame da una mostra che si candida ad essere uno dei grandi appuntamenti culturali dell’anno, non solo per l’eccezionale monograficità tematico-cronologica, ma anche per la presenza di oltre 40 reperti provenienti dai recentissimi scavi del templo mayor. le opere presentate sono le più importanti di tutta la cultura azteca sopravvissuta alle distruzioni degli spagnoli. A loro il compito di essere testimoni di un mondo ricco e complesso che, nel confronto con un nuovo intransigente, finì per indebolirsi fino a scomparire.


L’intermezzo di Barthes

Colori che si intrecciano, sovrappongono e compongono, colori che sono frammenti, forse, di un lungo discorso amoroso. A roland barthes, uno dei grandi intellettuali del secolo scorso, palazzo venezia a roma dedica una mostra personale, composta di fotografie, frammenti letterari, disegni ed opere pittoriche. Una mostra che vuole regalare al pubblico un nuovo e meno noto aspetto dell’iter creativo dell’artista. Scrittore, certo, ma anche filosofo, pensatore e disegnatore, barthes ha attraversato il secolo in maniera poliedrica e trasversale rimanendo incantato o forse dovremmo dire sedotto dalla parola e con essa seducendo a sua volta. Parola che è prima di tutto segno. E segni sono infatti quelli che campeggiano sulla carta: non pittura astratta almeno non solo, ma segni come origine di un discorso, di comunicazione, di contatto. Perché no? D’amore. “la parola mi travolge con l’idea che farò qualcosa con lei: è il fremito di un fare futuro, qualcosa come un appetito. Un desiderio che sconvolge tutto il quadro immobile del linguaggio.” A questo barthes, visionario o forse ritrattista della lingua è dedicata la mostra - un’immersione nel suo modo di intendere la cultura.


Le Corti Del Barocco

Bizzarro come il termine che lo indica derivato dalla logica scolastica baroco: il barocco nacque ai primi del seicento a roma e si diffuse in breve in tutta europa, conquistando le corti di diverse nazioni con i suoi colori, i suoi giochi, le sue originalità e le sue ricchezze. A questo movimento che raggiunse il suo apice in coincidenza con il momento di massima espansione della società cortigiana le scuderie del quirinale a roma dedicano la mostra “le corti del barocco”, visitabile fino al 2 maggio. Dalla roma di innocenzo x ed alessandro vii alle corti asburgiche di madrid e vienna fino alla versailles di luigi xiv, l’esposizione racconta la nascita e la diffusione di uno stile e di un linguaggio comune tra le diverse corti, continuamente alimentato dai viaggi degli artisti, dal collezionismo e dalle donazioni a fini diplomatici, nonchè, prima di tutto, dalla comune passione per l’arte. Tappe di questo viaggio in un epoca, nella sua politica e nel modo di intendere la fine arte della diplomazia ma sarebbe forse meglio dire di vestirla e mascherarla, sono proprio quegli artisti che del barocco possono essere considerati i padri: gianlorenzo bernini, luca giordano e diego velazquez. Modi e sensibilità diverse che si prestano a compiacere i desideri dei committenti con uno stile però ed una poetica marcatamente indipendenti, unici, originali. Non si può dimenticare infatti che il barocco nella sua molteplicità di sfumature si nutre ed arricchisce proprio dei diversi modi di interpretarlo. Così accanto a putti e madonne, santi in turbinio di vesti fluttuanti e vaporose, o scene mitologiche trattate con vivida e teatrale durezza si possono trovare la possanza scultorea del bernini, capace di dar corpo ad una lacrima nel marmo, mantenendone la levità e – paradosso – la trasparenza, od il drammatico realismo di caravaggio, fatto di passi sporchi per il lungo camminare e malattie che consumano l’anima ed il corpo che le è casa.


Anni ‘90

Quanto è cambiata l’arte dagli anni ’90 ad oggi? A rispondere è la quadriennale di roma nel convegno internazionale “arte e cultura negli anni ’90, dalla fine del muro all’11 settembre”, che ha visto partecipare storici e critici d’arte, artisti e curatori di mostre, galleristi o semplici appasionati. La caduta del muro e l’attentato alle twin towers sembrano essere le colonne d’ercole di un decennio che ha vissuto molti ed importanti cambiamenti e nello stesso tempo, più che semplici delimitazioni scelte per facilità di studio, di quei cambiamenti sono motori e sintomi. Sicuramente le arti si sono notevolmente sviluppate dal ’90 ad oggi, anche perché si sono dovute confrontare con una situazione politica internazionale che non permetteva e non permette il silenzio. Laddove la realtà diventa infatti tanto tragica e crudele da imporre anche ai media una buona dose di riserbo, spetta agli artisti il difficile compito di dar vita ad un nuovo linguaggio capace di testimoniare l’orrore della storia e della cronaca. Sensibile sviluppo dell’arte quindi cui ha fatto inevitabilmente seguito una massiccia proliferazione di musei, gallerie e spazi espositivi che non riescono però ancora a soddisfare la sempre crescente richiesta di artisti e di pubblico. Questo unito ad una concorrenza che finisce per schiacciare le realtà più piccole, togliendo di conseguenza spazio anche agli artisti che ospitano, è solo uno dei tanti problemi con cui oggi bisogna fare i conti. Problemi esistono a livello strutturale, ma non solo. A lamentarsi infatti sono anche quelli che dell’arte più che l’aspetto marcatamente promozionale, vedono l’ispirazione trascendente, il dinamismo ed il potere di comunicazione. Sono molte le questioni in sospeso – una tale crescita va infatti in un certo senso orientata o comunque gestita per sfruttarne al massimo le potenzialità – ma la parola finale resta comunque agli artisti, gli unici in grado di testimoniare l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori nei confronti del nuovo e di conseguenza di offrire uno spaccato dei cambiamenti che sta vivendo la nostra società nella sua ricerca del bello.


Paesaggi del mondo

È giunta al quinto appuntamento la rassegna pittorica “strade d’europa’ che fino alla fine del 2004 trasformerà gli spazi del centrale a roma in un vero e proprio museo della cultura. Una rassegna che vanta tra gli artisti proposti molti interessanti nomi della scena culturale che potremmo definire occidentale, definizione questa che, pur nella sua vaghezza, assume valore per il suo essere prima fase di un più ampio progetto che, nel 2005, con una nuova rassegna intitolata belvedere si aprirà anche all’oriente. Due gli scopi dell’iniziativa: da un lato quella di offrire la possibilità di esporre ad artisti di valore non sempre adeguatamente conosciuti dal grande pubblico, dall’altre quella di restituire un ruolo di primo piano nel panorama culturale della capitale al centrale che fu uno dei più rinomati palchi di cabaret del ‘900.
Paesaggi del mondo è il titolo di questo quinto appuntamento dedicato alle opere della ginevrina lisa zanatta pistorio. Grande viaggiatrice, l’artista ha voluto portare su tela i propri ricordi, recuperando così l’antica tradizione del taccuino di viaggio trasposto però su più larghe dimensioni.
Dopo di lei sarà il turno del greco yulianos katinis.

 

L’arte in movimento

Please touch: perfavore toccate. Potrebbe essere questo il sottotitolo della mostra ‘l’arte in movimento’del pittore e scultore,isvan harastzty, ospitata all’accademia d’ungheria a roma fino al 22 maggio. Una mostra che raccoglie opere pittoriche, sculture, ma soprattutto meccanismi interattivi realizzati sin dai primi anni ’60 per cercare di coinvolgere lo spettatore, facendolodiventare da fruitore passivo parte integrante dell’opera. Metallo, plexiglass e plastica sono i materiali utilizzati per costruire pendoli, cerchi e carrucole ma soprattutto per dare corpo alla visione nichilista della realtà e ad una filosofia estetica che prima ancora però è filosofia di vita. Le opere di haraszty sembrano infatti sintetizzare il percorso evolutivo dell’uomo parlando dell’homo faber, che lavora i materiali, dell’homo ludens che sa giocarci e dell’homo moralis che fa della sua attività sintomo e simbolo di un messaggio più alto. Gioco innanzitutto quindi, ma solo in apparenza, dietro le quinte della fantasia si nasconde infatti un messaggio a volte anche duro e polemico, il messaggio di chi vuole scuotere il mondo perché prenda coscienza di sé.


Tra Poesia e Sentimento

Una propensione alla pittura partecipata affettivamente, che muoveva l’anima prima ancora di essere espressa su tela, una pittura emozionata, che non si faceva cantrice del gesto eroico inteso nella sua accezione epica ed in un certo senso istituzionalmente tradizionale, ma che di quell’epicità percepiva il familiare, l’intimo, il personale ed il vissuto. Una pittura che, conosciuta la bellezza classica della città eterna, da quella bellezza si lasciò contaminare, andando alla ricerca di una ratio che fosse in grado di sintetizzare sentimento e favola, immaginario e meraviglioso. È questa l’arte del guercino, che diventa metafora e simbolo della rivoluzione artistica secentesca nel modo di intendere e rappresentare la poetica del sentimento nell’ambito della mostra “poesia e sentimento nella pittura del ‘600”, organizzata da romartificio in collaborazione con grandi stazioni e de agostini e visitabile fino al 30 giugno nell’ala mazzoniana della stazione termini. Oltre cento opere costituscono il corpus di un percorso che prendendo le mosse dai predecessori del pittore, ne analizza l’opera, studiandone le influenze su contemporanei e successori, ma soprattutto studiando la particolarità di un tratto delicato ed intenso che, nella rappresnetazione del privato, riuscì a diventare cantore di un sentimento puro,liberamente espresso e scevro da ogni sentimentalismo. Curata da sir denis mahon, massimo pulini e vittorio sgarbi, l’esposizione sceglie proprio poesia e sentimento come linee guida per un diverso modo di rapportarsi con uno dei maestri della storia dell’arte italiana. Articolata in sei sezioni, la mostra, prendendo le mosse dai precendenti appunto, passa attraverso gli affetti domestici, il sentimento del luogo, il patetismo eloquente di mezze figure o singole teste, scelte come massime espressioni di spiritualità, dolore ed eroismo, per raccontare un’arte che lontana dalle commissioni pubbliche sceglie di raccontare sentimenti, sensi ed affetti, per commuovere lo spettatore, proponendo una più profonda contemplazione.

 

Foto-sequenza

Il sole che sorge, si alza, poi cala fino a scomparire. Il mare coi suoi riflessi, superficie di specchio rigata dalle onde che trasformano le luci in suggestioni lontane rimandando al gange ed alle sue candele di vita oltre la morte, candele di memorie, ma anche le luci gialle dei lampioni che si specchiano su fiumi, torrenti ed acque di ogni città: questi i soggetti prediletti da janos dobra, le cui opere, foto in sequenza, sono ospitate fino al 22 maggio all’accademia d’ungheria. Foto di movimento che vincolano il dinamismo alla staticità di un supporto da muro per raccontare l’istante e fissarlo nell’eterno. Foto che sono immagini ma prima ancora, forse, sensazioni e poesia. Con i suoi scatti infatti janos dobra racconta l’orizzonte descrivendolo ed illustrandolo nei suoi cambiamenti a volte impercettibili per mostrare la meraviglia del dettaglio e ribadire quella che è la vera arte del fotografo: riuscire a far vedere ciò che agli occhi dei più è invisibile. Ma anche per mostrare come sia labile il confine tra arte e pittura, come l’una finisca per influenzare l’altra: non si può infatti non cogliere la somiglianza o se vogliamo il rimando a un impressionismo francese che sceglieva un unico soggetto da raccontare in diverse ore del giorno. Dobra riprende l’idea ma stavolta a fare da soggetto sono proprio le ore ed il tempo che passa.

 

Paul Klee

Dipinti, fogli colorati, olii, tempere, acquerelli, tecniche miste su tela, juta, cartoncino e carta, disegni, lavoro grafici, quadri sottovetro, sculture e persino le marionette costruite per il figlio: paul klee cercava ogni mezzo di espressione, ogni possibile tecnica e materiale per raccontare il proprio orizzonte e più ancora lo sguardo che lo incorniciava. Agli occhi di paul klee ed al suo sguardo è dedicata la mostra allestita al complesso del vittoriano fino al 27 giugno. Dopo un iniziale interesse per l’arte figurativa che a parer suo deve prendere le mosse da un’idea poetica, avendo il limite però di non riuscire mai ad illustrarla pienamente, klee si dedica totalmente all’astratto. Nel 1914 scrive “adesso lascio il lavoro. Mi inonda profondamente d dolcemente, lo percepisco e divento sicuro, senza impegno. Il colore mi possiede. Non ho più bisogno di rincorrerlo. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Io sono pittore”. È nell’abbandono della forma che klee riesce a infondere il suo riflesso, dando corpo a visioni, idee e sogni, trasfigurando la realtà per sentirne – paradosso – la concretezza. L’ossessione del pittore di ricercare la perfezione formale, il modo giusto e la giusta magia per incatenare il quotidiano, imbrigliarle il fatto, l’accaduto, sulla tela è quindi paradosso solo una prigione dell’artista. La perfezione non è in natura, né nell’oggetto, tantomeno nel riflesso che può offrirne l’arte. La perfezione è però possibile nell’emozione che quell’oggetto e quel riflesso riescono a suscitare, ma l’emozione è per sua natura dirompente e quindi frammenta il punto di vista con il movimento, il pensiero, la fluttuazione del sé e del proprio baricentro – fisico e filosofico. L’emozione pittorica è colore, è informe, è impulso ed istinto, è l’abbandono del calcolo di colori e gradazioni , condizioni spaziali ed in un certo senso metrica, per lasciare libero sfogo all’anima nell’istante della percezione, nel frammento del ricordo.
Il percorso della mostra “paul klee” si snoda attraverso 200 opere che tentano di offrire una panoramica sull’iter artistico e professionale del pittore, raccontando un mondo primordiale, arcaico, sospeso tra regno minerale, vegetale ed animale, ma anche tra spazi cosmici e vibrazioni, tra luci e trame tanto sottili da non essere percepibili se non appunto con gli occhi dell’arte.

 

L' “ACQUARIO” DELL'ARCHITETTURA

Un destino confuso quello dell'Acquario Romano, che attraversa le epoche, rinnovando ogni volta la sua veste. Inaugurato nel 1887, nacque con la triplice funzione di acquario, stabilimento di piscicoltura e luogo di ritrovo per la borghesia emergente del quartiere Esquilino. Un ameno giardino – come ci raccontano le incisioni dell'epoca – che vantava anche uno splendido laghetto attrezzato per la pesca sportiva circondava l'imponente costruzione, i cui interni apparivano sfarzosi, ariosi e monumentali. La sua edificazione si deve all'esperto di piscicoltura Pietro Garganico, il cui progetto si sposò perfettamente con la linea politica di Quintino Sella, che sognava per Roma il destino di capitale della Scienza. L'Esquilino tuttavia non ebbe lo sviluppo sperato e si trasformò in una zona residenziale popolare. Così, l'iniziale progetto venne trasformato ad opera di interventi successivi e dotato di una sala teatrale che andò a sostituirsi alla vasca per la piscicoltura. Pochi mesi dopo la sua apertura, la struttura conobbe il primo degrado. Addirittura c'è chi teme che “Piazza Fanti si trasformi in un pantano abitato da ranocchie”. Guasti ed interventi di gestione rendevano difficile la manutenzione da parte del Comune e, di conseguenza, la stessa vita della costruzione. Dal 1893 al 1900 fu utilizzato nelle maniere più disparate. La sala centrale e le gallerie venivano infatti date in concessione temporanea per esposizioni di vario tipo, riunioni di associazioni, mostre, concorsi pubblici e perfino palestra per le scuole del quartiere. Malgrado diversi tentativi ed accordi per restituire l'Acquario alla sua primigenia destinazione, fino al secondo decennio del Novecento è utilizzato come sala di spettacolo. E più precisamente per un teatro popolare, di secondo piano rispetto alle altre sale della città. A volte viene utilizzato anche come cinema e circo equestre. Ancora spettacolo nel 1930, ma dietro le quinte, diventando magazzino del Governatorato, in cui tra le altre cose vengono conservati gli scenari del Teatro dell'Opera. Molti i privati che vorrebbero gestire l'edificio, salvandolo dal degrado e dall'abbandono in cui versa, ma l'Amministrazione Comunale non ne tiene conto. Più preoccupata dall'assetto urbanistico della Piazza, in seguito ai lavori per la stazione di via Giolitti, si valuta addirittura il suo abbattimento considerandolo una ‘bruttura' antiquata. Ma l'Acquario riesce a salvarsi ancora una volta in qualità di magazzino polifunzionale, sede di uffici elettorali, sede dell'ufficio tesseramento e archivio dell'Ente Assistenza Roma. Resta magazzino fino al 1984, quando viene sgomberato per essere restaurato. A restauro concluso, lo spazio è stato utilizzato come sede espositiva per esposizioni temporanee, fino ad oggi. Si è trasformato infatti nella Casa dell'Architettura. Attesa da circa trent'anni, la Casa sarà un punto di incontro e confronto con la città e con le case dell'architettura delle altri capitali. Non solo, sarà infatti anche sede di importanti convegni. Nell'autunno 2004 è previsto lo svolgimento della “Conferenza Mondiale delle Città”, confronto sui temi dell'architettura e della qualità urbana. I giardini saranno riaperti al pubblico tra un anno. E per quell'epoca ci saranno anche una caffetteria ed una libreria.

Valeria Arnaldi

 

ADDIO ALLA STELE

Ormai è una realtà. Oggetto di un lungo e difficile dibattito, la stele di Axum torna in Etiopia. Custodita in un hangar nei dintorni di Fiumicino per i prossimi mesi – in attesa dello smontaggio della parte rimanente – la stele dovrebbe fare ritorno in patria entro la fine del prossimo anno. Malgrado ormai l'obelisco sia stato ‘impacchettato', le polemiche e le battaglia proseguono – a colpi di denunce e di raccolta firme. Ma si tratta di una battaglia già persa in partenza, combattuta nella consapevolezza tragica di un destino già segnato.

La stele è romana dal 1976, da quando cioè Mussolini la fece collocare sulla Piazza di Porta Capena, in occasione del quindicesimo anniversario della marcia su Roma. Fu ritrovata nel '35 ad Axum, spezzata in tre tronconi, insieme a molte altre steli della città santa. Fu portata a Massaua e qui imbarcata per Napoli, dove arrivò dopo due mesi. A Roma all'obelisco fu donata un'anima di ferro. Solo dopo il necessario restauro e la ricostruzione di un angolo, fu possibile darle una nuova collocazione. La straordinarietà dell'impresa, che diede problemi anche durante la sua posa in terra - è uno dei tanti motivi addotti da chi vuole la stele in capitale. Per l'Etiopia ha un alto valore simbolico, dato che è uno dei 66 monumenti utilizzati per indicare la presenza di una tomba reale. Non solo. È considerata con i suoi 48 metri di altezza il secondo colosso di Axum. Fin dalla fine della seconda guerra mondiale, l'Etiopia richiese indietro il suo “tesoro”. Oggi lo ottiene. A Roma resta solo da pensare ad un monumento che possa colmare l spazio rimasto vuoto, con la stessa imponenza. È al vaglio la proposta per un monumento ai caduti per la pace.

Valeria Arnaldi

 

LA DEA CHE PIANGE

Ha un grande viso di travertino e si riflette in uno specchio d'acqua - è così il volto che lo scultore tedesco Igor Mitoraj ha voluto dare alla Dea Roma, realizzando una scultura-fontana nel quartiere Prati. La scultura rientra in un progetto di abbellimento della città e di ammodernamento della sua parte monumentale, attraverso l'installazione di opere realizzate da grandi artisti del panorama internazionale.

Valeria Arnaldi

 

"… DI MILLE SECOLI IL SILENZIO…"

Dopo 2100 anni, proprio in prossimità dell'avvio della nuova campagna di scavi, il teatro antico di Tusculum torna a vivere come spazio scenico.

È rimasto in silenzio per oltre duemila anni ma finalmente il teatro di Tusculum ha ritrovato la sua voce che ha il timbro di Giorgio Albertazzi, artista che da 14 anni insieme al regista Maurizio Scaparro porta lo spettacolo 'Memorie di Adriano' nei più suggestivi spazi archeologici: da Tivoli, dove lo spettacolo ebbe il suo battesimo nell' '89 fino al Tusculum di oggi, passando per l'Erode Attico di Atene. Edificato a ridosso della collina, sfruttandone il pendio, il teatro sorse in età sillana, I secolo a.C., fu ristrutturato in epoca giulio-claudia, I secolo d.C. ed infine ampliato intorno al 100 d.C. La fase di abbandono dell'edificio avvenne nella prima metà del III secolo d.C. Oggi della costruzione sono visibili solo la parte inferiore della cavea ed il corpo scenico, che però si trasformeranno ben presto nella terza struttura archeologica fuori le mura aureliane in grado di ospitare spettacoli di prosa, dopo il teatro di ostia antica e villa adriana a tivoli. Quello di Albertazzi è quindi è stato una sorta di 'battesimo' dell'area. visibilmente emozionato, l'attore è entrato in scena completamente vestito di bianco, illuminato solo dalle fiammelle delle candele. Sono stati i resti di una gloriosa antichità e la sua voce a fare il resto, dando corpo alle parole ed alle fantasie di una giovane marguerite Yourcenar che tra i 20 e i 25 anni concepì le "memorie di adriano", giunte allo loro stesura definitiva molti anni più tardi. Si commuove Albertazzi parlando dell'amato antinoo, giovinetto prediletto dall'imperatore che per timore di una felicità fugace, scelse il suicidio come tramite per conquistare l'immortalità della memoria, e si commuove il pubblico per quelle intimità svelate con dolcezza e nostalgia. È tra i ricordi che il teatro tusculum torna alla vita, per raccontare le storie che le sue pietre hanno custodito per secoli nel segreto della polvere che le ricopriva. Ed è tra i ricordi che il tusculum si prepara ad una nuova gioventù, pronto ad accogliere gli artisti di oggi e lo stesso albertazzi che il prossimo anno tornerà con le tusculanae disputationes testo di cicerone su problemi della filosofia morale.

Valeria Arnaldi

IL DAVID DELLA DISCORDIA

Anche Gran Bretagna e Stati Uniti entrano nella polemica sulla pulitura del David Michelangiolesco e questo non può non avere ricadute in Italia, andando a complicare ulteriormente la polemica. Il dilemma riguarda la tipologia di restauro: la scultura potrebbe risentire di un restauro completo ed approfondito? Bisognerebbe limitarsi solo alla sua pulitura? Nel dubbio, la restauratrice cui era stato affidato l’incarico, Agnese Parrochi, ha preferito rifiutarlo, adducendo come motivazione il timore che un intervento brusco possa danneggiare la statua. Il restauro, secondo la Parrochi, sarebbe dovuto essere realizzato ‘a secco’, usando pennelli soffici, gomme e panni, ma il direttore della Galleria dell’Accademia aveva optato, sulla base del rapporto di una commissione di esperti, per un metodo basato su impacchi estrattivi di acqua distillata.

Valeria Arnaldi


FONDAZIONE PER L’ITALIA

Città d’arte e fondazioni bancarie insieme per intervenire con restauri sul patrimonio artistico nazionale – è questo l’intento con cui nasce la "Fondazione per l’Italia", costituita da Mecenate 90. Da un’indagine, condotta proprio da Mecenate 90, è emerso che i cittadini sarebbero ben disposti a fare donazioni per la tutela dei beni artistici, ma solo se fossero certi della trasparenza nella gestione dei fondi e nei controlli delle spese. A ciò si aggiunge la possibilità di detrarre dalle imposte quanto donato e la possibilità di vedere il restauro condotto a buon fine in tempi brevi. Sulla base di queste premesse, è stata indetta una prima giornata di raccolta fondi per il 19 settembre, che si svolgerà in tutte le città, i cui comuni e fondazioni hanno aderito all’iniziativa. Sarà questa giornata il vero banco di prova della fondazione.

Valeria Arnaldi

LA NUVOLA DI FUKSAS

Sarà aperta al pubblico nei primi mesi del 2007 la "Nuvola", nuovo Centro Congressi Italia, progettato da Massimiliano Fuksas, che insieme a Palazzo dei Congressi costituirà il nuovo sistema congressuale dell’Eur. Periodo di grande creatività artistica per Roma, che dopo l’Auditorium di Renzo Piano, ed i progetti di Zaha Adid, Odile Decq e Paolo Desideri, acquista un ulteriore gioiello architettonico. Una teca di vetro che contiene la ‘nuvola’, torre alta 70 metri ed un percorso pedonale di collegamento al Vecchio Palazzo dei Congressi sono i punti di forza di un progetto che è stato avvicinato al Museo Guggenheim di Bilbao. Il centro comprenderà un auditorium di 1800 posti, due grandi sale congressuali ed un albergo di circa 600 stanze. 2500 i posti auto previsti.

Valeria Arnaldi

SALENTO
 

 

SAVONA
 
SIENA
 
SIENA - HUGO PRATT. PERIPLO IMMAGINARIO
(Palazzo Squarcialupi – Santa Maria della Scala, 24 marzo-28 agosto)

Geografia intelletual-letteraria. Siena dedica un’antologica “di viaggio” al celebre disegnatore Hugo Pratt, ripercorrendo le tante rotte tracciate dall’artista nei suoi fumetti. Rotte di fantasia, ma non solo. In carta ed inchiostro, Pratt ha voluto celebrare alcuni ricordi d’infanzia e, soprattutto, alcuni sogni ad occhi aperti fatti da bambino. Si parte dall’Africa, con lo studio dettagliato di divise, stemmi, modus operandi di guardie e soldati di varia appartenenza ammirati da piccolo negli anni trascorsi ad Addis Abeba con il padre, che Pratt ha utilizzato nella realizzazione de “Gli scorpioni dei deserto”. E si procede, poi, attraverso sette porte in altrettanti mondi: dal’Africa a Venezia, al Mondo Celtico, all’America Latina, al Nord America, al Pacifico ed all’Asia, accostando alla propria fantasia, ogni volta, la memoria di quanto appreso – o ereditato – da una famiglia cosmpolita. Gran parte della sua “apertura” culturale, Pratt la deve, infatti, ai suoi natali: nato a Rimini nel ’27, era figlio di un soldato di carriera (nel ’36 trasferito in Abissinia), che, a soli quattordici anni, lo fece arruolare nella polizia coloniale. Sua madre era appassionata di scienze esoteriche – cui frequenti sono i richiami nei suoi fumetti. Il nonno parteno era di origine inglese – e dell’Inghilterra gli aveva insegnato le tradizioni ed i miti celtici – il nonno materno, invece, ebreo marrano, la nonna di origine turca. Pratt è il frutto di una congerie di culture e credenze diverse, che hanno partorito lui e poi il più celebre dei suoi figli, Corto Maltese, il marinaio senza bandiera e con una linea della fortuna tutta da tracciare. All’esordio di Corto è dedicata un’intera sala, in cui sono esposte le 163 tavole de Una ballata del Mare Salato, la sua prima grande storia a fumetti. Amante della letteratura avventurosa di stampo anglosassone, Pratt si immergerà nel mondo di Anna nella jungla, Sgt Kirk, Cato Zulu e Jesuit Joe, descrivendo le realtà più diverse con una dovizia di particolari poco distante dallo studio antropologico. Se la parte più cospicua della mostra è dedicata all’eroe Maltese, è anche vero che grande spazio viene dato a tutti i personaggi che lo affiancano nelle diverse storie, da Rasputin alle tante donne che lo amano o lo ameranno, fino agli spiriti ed ai maghi de Le Celtiche. Corto diventa, in questo modo, il centro di quel periplo, punto di partenza ed approdo, o semplicemente di osservazione, con la funzione di mediatore tra il lettore seduto in poltrona e la fantasia a briglia sciolta del Pratt avventuriero, che si incarna proprio nel celebre marinaio.
Periplo immaginario è viaggio, in luoghi concreti, ma anche nell’anima dell’uomo, nei suoi sogni e nelle sue fantasie irrealizzabili che, su carta, diventano concrete e quotidiane. Possibili, ma, ancora di più, già poste in essere. Corto Maltese è l’infinito potenziale e quell’infinito potenziale trova la sua massima espressione non tanto nella tavola di fumetto, rinchiusa nella sua gabbia, ma negli acquerelli e nei non-finito esposti in mostra. Le atmosfere evanescenti dagli accesi colori - porpora per la Spagna, oro per Venezia, blu per i tanti mari e verde per la nostalgia – descrivono, in pochi tratti, l’orizzonte onirico dell’uomo.
A completare il percorso, le musiche – ed i celebri tango che ispirarono la spagna moresca spesso ritratta nei fumetti prattiani – e la sorpresa di una vettura di Formula 1, la LIgier, che, pilotata da Martin Brundle nel Gran Premio del Giappone del 1993, è, a doggi, l’unico esempio di auto da corsa decorata da un’artista internazionale. Firmata, ovviamente, Hugo Pratt.

 

TIVOLI
 

VILLA GREGORIANA

Riaprirà nel 2004 Villa Gregoriana, ormai affidata al Fai. I lavori inizieranno a gennaio e si concluderanno approssimativamente per il mese di ottobre, in cui è prevista l'inaugurazione. Tre milioni di euro sono previsti per la realizzazione del progetto di conservazione e valorizzazione della Villa.
La Villa rimarrà di proprietà dello Stato cui il Fai dovrà pagare un affitto annuo di 15.000 euro. Nelle aspirazioni di quanti hanno preso parte al progetto è l'inserimento della Gregoriana nella lista dei beni reputati patrimonio dell'umanità stilata dall'UNESCO.

Valeria Arnaldi

TORINO
 

“NON TOCCARE LA DONNA BIANCA”

Fino all’8 gennaio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita la mostra antologica “Non toccare la donna bianca. Arte contemporanea fra diversità e liberazione”. Ad esporre sono 19 artiste internazionali che raccontano il loro modo di percepire ed intendere, ma soprattutto, rappresentare il mondo. Le artiste provengono per lo più da paesi con difficili situazioni politiche e sociali, di cui ci offrono a volte uno spaccato, a volte il frutto. Di cui ci illustrano le difficoltà ed i pesanti silenzi. Terre in guerra che non concedono alla donna il diritto alla dignità e, di conseguenza, alla parola, alla creazione artistica ed intellettuale, al pensiero indipendente. Per raccontare una battaglia condotta nel quotidiano, ben lontano dalla propaganda femminista, le artiste utilizzano mezzi e materiali che più si confanno a dare corpo all’Idea di ognuna. Attraverso video, fotografie, istallazioni, acquerelli, disegni e sculture, la mostra racconta le zone buie del mondo. E le sue storie mute.


LA CHIESA DEL BOIA

Durante il restauro della chiesa torinese di Sant’Agostino, nota ai più come ‘Chiesa del Boia’, perché qui per quasi quattrocento anni i boia hanno trovato sepoltura, è stato rinvenuto un ciclo di affreschi cinquecenteschi, raffiguranti i quattro evangelisti. Il complesso si trova nel cosiddetto ‘quadrilatero romano’ della città. I lavori, durati 16 mesi, sono stati finanziati dalla Compagnia di San Paolo, e sono parte di un progetto di più ampio respiro che, avviato nel 2001, ha preso le mosse dalla mappatura delle ‘criticità’ di circa trenta edifici religiosi della città, per procedere poi ai necessari interventi di restauro. Gli affreschi, di un autore anonimo, erano ricoperti da strati di intonaco. L’intervento ha permesso di recuperare decorazioni e stucci, ripulire marmi, restaurare tele, tavole e statue, nonché la cantoria lignea e la sagrestia.

Valeria Arnaldi

TREVISO  


VARESE  
LE STANZE DI DAN FLAVIN

Fino al 12 dicembre, Villa Panza ospita la mostra “Dan Flavin. Stanze di luce tra Varese e New York”, la più corposa mostra che l’Europa abbia mai dedicato al padre del minimalismo americano dopo la sua morte. Esposte circa venti installazioni, ospitate in altrettanti ambienti nei Rustici e nelle grandiose Scuderie della settecentesca Villa, alcune delle quali site-specific, ovvero ideate dall'artista per gli ambienti in cui si trovano. Le opere fanno tutte parte della Collezione Panza. Tra le opere provenienti da New York, anche “An artificial barrier of blue, red and blue fluorescent light” (to Flavin Starbuck Judd), del 1968: un'opera lunga ben 14 metri che appartiene alla produzione delle "Barriere", ovvero strutture lineari di tubi a fluorescenza intrecciati tra loro, che impediscono l'attraversamento dell'opera. Questa in particolare è dedicata al figlio di Donald Judd - altro grande artista minimal e a sua volta collezionista di Dan Flavin - chiamato Flavin in onore dell'artista. Oltre alle opere provenienti da New York, sono presenti a Villa Panza anche una grande installazione del 1987 dedicata all'amico Donald Judd mai esposta in Italia e le dodici opere allestite in modo permanente a Varese, pervenute al FAI unitamente con la Villa stessa nel 1996.

 

VENEZIA  
I COLORI TEMPESTOSI DI TURNER

Visitò Venezia solo tre volte, ma e conservò nel cuore e nel pennello tracce indelebili. William Turner, uno dei massimi esponenti del romanticismo pittorico inglese, fu letteralmente incantato dalle luci e dai riflessi della laguna, che cercò di ‘rubare’ con acquerelli, schizzi e dipinti. Fino al 25 gennaio, il Museo Correr ospita una mostra dedicata a quell’inseguimento della luce ed alla ricerca – che impegnò Turner per tutta la vita – di un modo per rappresentare la perfezione della natura, ma anche i suoi aspetti più magici ed oscuri. La sua percezione, infatti, della natura, risente da un lato dell’influenza del classico e del classicismo che vorrebbe una natura perfetta, ideale, ed in armonia con l’uomo. Una natura che potremmo semplicemente definire bella. Dall’altra, però, gode anche dell’importante lezione romantica che ala perfezione riconosce il diritto al movimento, fonte ancora di maggior bellezza. Nelle bufere, nelle tormente, nelle possibili catastrofi e negli scontri tra l’uomo ed una natura che non è madre, si esplicita la ricerca di Turner, che diventa poi suo tratto distintivo. La mostra veneziana punta però l’attenzione su un Turner ancora diverso, inseguendolo lungo calli e campielli per ‘incorniciarne’ l’anima lagunare.


I TIEPOLO

Anno di grandi festeggiamenti a Venezia, al centenario di Dalì si aggiunge , infatti, il bicentenario della morte di Giandomenico Tiepolo, nato e morto a Venezia. Fino al 12 dicembre, Ca’ Rezzonico ospita la mostra “I Tiepolo. Disegni dalle collezioni del Museo Correr”, testimonianza dell’importante lavoro del padre, Giambattista, e del figlio, Giandomenico, che sarà seguita dal 15 dicembre al 9 febbraio, dall’esposizione “I Tiepolo. I rami per le acqueforti nelle collezioni del Museo Correr”. La prima esposizione raccoglie oltre sessanta lavori provenienti dalla collezione del Musoe Correr. Si è privilegiata la scelta di lavori ‘indipendenti’ di Giandomenico, che egli ha cioè realizzato staccandosi dalla guida paterna. Per lo più legate al nucleo di lavori realizzati per la Via Crucis dell’Oratorio del Crocefisso della Chiesa di San Polo, i lavori non sono abitualmente esposti. La seconda mostra raccoglie, invece, 312 fogli dei Tiepoli, spesso disegnati sul recto e sul verso tra il 1748 ed il 1781.
Articolata in due sezioni, la mostra presenta disegni su grandi fogli in carta grigia e fogli irregolari di diversi formati in carta azzurra.

 

IL GENIO DI DALI’

Cento anni di Dalì. Venezia li festeggia con una retrospettiva che ripercorre le tappe salienti della sua vita – e del suo genio - opera per opera. Cuore del percorso espositivo è la pittura, di grande e piccolo formato. Non mancano però incursioni nelle altre attività dell’artista, che fu pittore, scultore, scrittore, incisore, regista cinematografico, inventore, scenografo. In una parola: genio. L’iter espositivo racconta gli anni del surrealismo – e della follia – di Dalì, in cui diede sfogo ad un mondo a cavallo tra sogno e paranoia, raccontando i giochi della psiche e della fantasia dell’uomo. Dando loro corpo e corposità. La seconda parte della sua vita fu segnata dall?America e dall’americanismo. Avid Dollars, il suo acronimo dell’epoca: Dalì vestì la sua arte di un’appositamente esagerata venalità. Tra un contrasto e l’altro, non mancano i momenti ‘sacri’, nei quali l’artista affrontò temi portanti dell’esistenza umana, guardando alla struttura dell’uomo e dell’universo, per poi approdare al metafisico ed alla religione cristiana.


VERONA  

 

VETULONIA  

 


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