di Meron Rapoport
Un assedio totale, centinaia di morti e una situazione drammatica. Hamas si è resa conto della sua impotenza. E l'ipotesi di una forza internazionale non è più remota
Scontri tra polizia palestinese e disoccupati
Gli ultimi due mesi a Gaza sono stati terribili, forse i peggiori dall'inizio dell'Intifada: più di 200 palestinesi uccisi, circa la metà dei quali civili fra cui 44 bambini. Un'intera famiglia - la madre, il padre e sette figlioletti - è scomparsa sotto un borbardamento israeliano contro un palazzo dove si riteneva fossero riuniti i dirigenti di Hamas. Negli ospedali si curano feriti che hanno perso gambe e mani durante gli attacchi lanciati da Israele, risultato - sospettano i medici palestinesi - di un uso di armamenti micidiali come le cluster bomb, considerati illegali dalle convenzioni internazionali". È con questo rapporto drammatico che l'Onu descrive la situazione a Gaza. La scorsa settimana il capo di Unrwa, l'agenzia delle Nazioni unite che si occupa dei profughi nei Territori, John Ging, ha dichiarato che non è più possibile distribuire cibo alle 830.000 persone assistite dalla sua agenzia: il posto di frontiera di Karni, attraverso cui passano quasi tutte le merci dirette a Gaza, è chiuso da Ferragosto. Scarseggia anche la corrente elettrica perché la centrale colpita dagli israeliani riesce a fornire solo il 40 per cento dell'energia: quel raid è stato una delle prime rappresaglie dopo il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit a metà giugno. Ospedali e pompe idriche vanno avanti solo grazie ai gruppi elettrogeni, ma il combustibile per rifornirli deve arrivare dal solito varco di Karni: anche i medici dell'Onu tra poco si dovranno fermare.

L'unica cosa che non manca è il cibo. Le reti sociali, le grandi famiglie non permettono che i palestinesi arrivino alla fame. Ma su Gaza regna un'atmosfera di rassegnazione disperata. Il governo creato da Hamas non riesce a spezzare l'embargo internazionale messo in atto dopo la sua vittoria, ma allo stesso tempo resiste agli sforzi americani e israeliani per farlo cadere. E mentre i lanci di razzi Kassam contro Israele sono praticamente cessati, i tank con la stella di David proseguono invece nei loro raid.

"Il governo è in un vicolo cieco e si trova in grandi difficoltà", commenta Sofian Abu Zaida, ex-ministro nell'ultimo esecutivo di Fatah, "Finché dura l'embargo, il governo non può fare niente. I palestinesi non sono in grado di prendere l'iniziativa, al massimo possono tentare di reagire ai colpi subìti". La guerra in Libano ha rafforzato questa sensazione di impotenza. È vero che Hezbollah ha sequestrato i soldati israeliani sostenendo di farlo in nome dei prigionieri palestinesi, ma è altrettanto vero che i palestinesi non si sono mai sentiti così soli da decenni. In alcuni giorni il numero di morti a Gaza superava quello registrato in Libano, ma tutta l'attenzione mondiale era concentrata a nord, verso Bint Gbeil. Dell'enclave palestinese non si occupava nessuno, nemmeno le tv arabe. I successi di Hezbollah e il senso di sconfitta israeliano hanno fatto piacere ai palestinesi, ma li hanno costretti ad ammettere la propria impotenza. "Vedendo l'efficacia dei missili di Hezbollah, molti in Palestina si rendono conto di come siano primitivi i loro razzi. E parlano apertamente della loro inutilità", spiega un analista di Tel Aviv: "Il confronto con la resistenza degli Hezbollah ridicolizza la grande Intifada".

È probabile che anche queste considerazioni abbiano spinto Hamas a fermare quasi completamente i lanci di razzi Kassam verso Sderot. Hamas ha anche capito che non vale la pena di sparare missili praticamente inoffensivi con il solo risultato di fornire il pretesto per le ritorsioni israeliane, senza mai ottenere neppure l'attenzione dei media. In modo paradossale, il successo di Hezbollah ha mostrato ai palestinesi la loro debolezza militare. La lezione libanese è chiara, dicono i miliziani a Gaza e a Ramallah: per combattere servono strumenti efficaci, razzi a lungo raggio e missili controcarro. Per adesso, e per il prossimo futuro, non ne abbiamo, dunque meglio rinunciare alla lotta armata. E quando in Libano è scattata la tregua, i palestinesi hanno temuto che l'ira di Israele si sarebbe riversata contro di loro per cancellare lo smacco. Invece no: l'assedio è rimasto, ma senza prove di forza.
Abu Zaida, diventato un conoscitore della società ebraica durante gli anni di detenzione nelle carceri israeliane, crede che per il momento Israele non farà niente: il governo Olmert deve prima trovare un modo per sopravvivere alla crisi politica interna scatenata dal risultato della guerra in Libano. E non esclude del tutto l'eventualità di un peggioramento per la vita di Gaza. "Certo, Olmert potrebbero inasprire la condotta con i palestinesi per placare l'opinione pubblica", riflette Abu Zaida: "Ma gli israeliani si dovranno arrendere all'idea che l'unilateralismo è finito". Per questo Zaida, uomo di Fatah, crede che alla fine questa svolta rappresenti un elemento positivo. "Israele si è reso conto dei limiti della sua forza ed è stato costretto a riconoscere l'importanza della comunità internazionale e dell'Onu". Ecco perché la proposta di Massimo D'Alema per una forza delle Nazioni Unite a Gaza non appare più utopica. "Israele adesso potrebbe prendere in considerazione iniziative considerate finora inaccettabili". E i palestinesi? Secondo Abu Zaida i caschi blu sarebbero i benvenuti anche per Hamas, a patto che la missione non fosse limitata a Gaza ma estesa a tutti i Territori.

Yossi Beilin, ex ministro e leader del partito Meretz che nella sua 'Iniziativa di Ginevra' ha fatto riferimento ad una forza internazionale, condivide l'analisi di Abu Zaida: "Il governo Olmert ha rivoluzionato la sua linea verso i caschi blu". Ma l'Onu non sarebbe la soluzione ideale: "Olmert preferirebbe qualunque alternativa pur di non aprire il dialogo con i palestinesi, unica strada verso una situazione stabile", spiega Beilin. Comunque l'offensiva diplomatica Ue e soprattutto l'insistenza italiana hanno aperto una speranza: "Se Unifil avrà successo c'è una possibilità che qualche paese appartenente a questa forza, Italia compresa, possa portare avanti un'iniziativa di pace concreta anche per i palestinesi".

*Opinionista del giornale israeliano 'Haaretz'