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Nei giorni scorsi si è parlato molto negli ambienti culturali capitolini del vernissage, tenutosi a Roma, presso l' Istituto De Merode, di questo bravissimo esponente del mondo artistico italiano. Enrico Renato Paparelli, di origini trevigiane, ma ormai da molti anni residente nella capitale, è sicuramente un talento straordinario, come è facile rendersi conto dalla visione delle sue apprezzatissime opere, e come testimoniato dai numerosi e prestigiosi riconoscimenti che gli sono stati attribuiti nel corso della sua carriera.

Un percorso iniziato “ufficialmente” nei primi anni ottanta, proseguito ai nostri giorni con una creatività che non conosce soste, passando dal genere naif all’ impressionismo, esprimendosi sia con la tecnica tradizionale ad olio che con la sperimentazione dell’ acrilico. Amante dei colori accesi e delle immagini forti, Paparelli è soprattutto una persona sensibile, in grado di passare con disinvoltura dai paesaggi alle tematiche sociali come la lotta alla mafia e lo sbarco degli immigrati clandestini. Per me che ho avuto il privilegio di conoscerlo personalmente e di intervistarlo è stato una vera sorpresa dal punto di vista umano. Un artista semplice, alla mano, come solo i veri grandi sanno esserlo. Mi ha raccontato i difficili inizi, l’ ammirazione per Monet, il suo speciale bisogno di esprimersi attraverso varie sfaccettature, convinto che anche con un quadro si possano trasmettere delle emozioni, ma al tempo stesso far riflettere sui mali della società. Un’ opera pittorica ha intrinseco in sé il concetto del bello inteso quale creazione di un qualcosa di immortale che appaga l’occhio di chi osserva, così come alto è il messaggio universale di cui può essere portatrice. In questo senso credo che Paparelli possa essere annoverato come un pittore assolutamente “completo”. Sono certo che abbia ancora molto da dire e che della sua arte ne sentiremo parlare ancora a lungo. Per convincersi di questo non serve un grosso argomentare di parole. Basta guardare. E ammirare.