Lasciami entrare
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Delicato,coinvolgente,raffinato. Tre aggettivi sono più che sufficienti, per definire questo piccolo gioiello nord europeo. Fin dai titoli di testa, tutto è già chiaro: ci si trova di fronte ad una pellicola che fa dell'atmosfera il suo punto di forza.
Fiocchi di neve cadono su di un quartiere periferico ,di una non ben definita cittadina svedese. E forse è proprio questa "non-identità di luogo", uno degli aspetti che rendono il lungometraggio di Alfredson ancora più accativante. Una bimba di nome Eli ed un uomo di mezza età, si stabiliscono in un appartamento nel medesimo quartiere, accanto all'abitazione del piccolo Oskar, bimbo solitario e problematico, vittima delle angherie dei suoi compagni di scuola. Fin dal loro primo incontro, Oskar ed Eli, risultano due personaggi indubbiamente affascinanti, grazie alla loro innocenza, mescolata a quel pizzico di torbido e di mistero, che raggiunge il culmine del suo pathos, nel momento in cui la neve che ricopre il quartiere , si tinge del sangue delle vittime che miete la bimba vampira.
Alfredson propone sì un horror sentimentale ma che non ha nulla a che vedere con il tanto acclamato "Twiligth". Quest'ultimo, infatti, più che un horror, si pone come film fantasy, dalle atmosfere stilizzate, tipicamente americane, intriso di quel romanticismo che spesso precipita nel patetico, nella love story adolescenziale, a cui siamo fin troppo avezzi. "Twiligth" è un film puramente "natalizio", che garantisce agli esercenti una sala gremita di teenager, affascinate dal volto del bel vampiro innamorato, e rassicura gli spettatori desiderosi di svago ,poichè altro non è che un film piacevole, non impegnativo. "Lasciami entrare" è tutto l'opposto: una favola per adulti, duro, che affronta temi attuali e per questo assai più profondo. Un film che utilizza la macchina da presa per scavare a piene mani nell'estetismo della messa in scena e nella fotografia, nella ricerca di inquadrature che deliziano l'occhio e l'animo dei più sensibili; una pellicola che fa uso abbondante dei primissimi piani e dei dettagli, che arrivano ad incastonare gli occhi malinconici di Eli. Un piccolo capolavoro, che mostra e descrive con estremo realismo, la vita di due cuccioli , abbandonati da una società troppo egoista, in cui gli adulti sembrano i "veri" bambini, puerili, ripiegati sulle loro esigenze, che pateticamente, tentano a tutti i costi di edulcorare le loro frustrazioni e i loro penosi fallimenti.
Il sangue, più che assurgere a "figlio della violenza", ad elemento spettacolare, torna ad acquisire le sue caratterisitiche originarie e quindi simbolo di vita. Eli , infatti, è un "mostro" dal cuore tenero, che uccide per sopravvivere. Odia ciò che è e ciò che fa. Vede in Oskar la sua stessa sofferenza per un vita inadeguata, lontana da quel reale desiderio di una esistenza felice. Eli vede nel suo piccolo amico e amante, un dramma piuttosto simile, una creatura che, in fondo, non ama quell'involucro bianco e lindo, che è il suo corpo. Un corpo inerme, che non obbedisce a quell'impulso di ribellione che si origina nel cuore, ogni volta che i suoi comagni di classe lo deridono e lo percuotono. Ma i due protagonisti non giungono a compiangersi l'uno con l'altro, anzi; si scuotono a vicenda. A piccoli passi, cercano di crescere assieme, di divenire più forti. Eli aiuta Oskar attraverso consigli pratici, per mezzo della sua apparente sicurezza di donna(oltre che alla freddezza tipica di un'assassina); Oskar, al contrario, aiuta la piccola vampira con la sua dolcezza, aprendo le porte di quel rifugio, di quel luogo caldo, al quale anelano le anime sole e tormentate: l'amore. E quest'ultimo sentimento, nella pellicola di Alfredson, esula dal sorriso lezioso, dallo sguardo esageratamente passionale, che gli autori statunitensi imprimono negli occhi delle loro star bellissime e ultrapagate. L'amore, in questo film, diviene un altro bambino, timido e un po' confuso, che desidera mostrarsi per quel tanto che basta, attraverso un dialogo inconsistente nel cortile del palazzo, per mezzo del codice Mors ,che assurge a ruolo di "password del cuore", la chiave che permette ai due di riconoscersi, di ritrovarsi; e in due piccole mani che si toccano e si stringono l'una con l'altra. Solo in un momento, questo "bambino" diviene più spavaldo: precisamente nell'ultimo atto, quando le labbra di Oskar incontrano quelle di Eli, lorde di sangue, a poca distanza dal suo ultimo "pasto".
"Lasciami entrare" è una di quelle pellicole che non si dimenticano facilmente, poichè in grado di favorire il delizioso connubio fra orrore e sentimento, fra commozione e disgusto. Un film la cui lentezza narrativa, non spinge ad afferrare una lametta da barba con lo scopo di recidere le vene del proprio polso, così da porre fine ad una vera e propria tortura, alla quale, in più di un'occasione, viene sottoposto il pubblico da parte di molti autori italiani. Qui la lentezza narrativa, non si pone come elemento a sè stante, come mera trovata artistica, per esprimere la tanto decantata "poetica dell'autore"; in questo lungometraggio, essa si integra appieno con ogni singolo elemento, soprattutto grazie al carisma di Eli e Oskar, in quanto personaggi e in quanto attori. "Lasciami entrare" è assolutamente da vedere, da apprezzare, da amare, rigorosamente nel buio luccicante di una sala. Ricorrere ad emule, sarebbe un terribile insulto.