Voglio un partito vero costi quel che costi
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Il percorso verso il Pd è inarrestabile. Anche se parte dei diesse minacciano scissioni. Ora apriamoci alla società civile. Con l'obiettivo 2008 per la nuova formazione. Colloquio con Piero Fassino
All'incontro di Orvieto si disse che il treno del Pd era finalmente partito. E dopo? Ha rallentato?
"Nessun ripensamento. L'attenzione si è concentrata sulla legge Finanziaria. Ora bisogna rimettere al centro dell'agenda il Partito democratico. Finora è mancato un largo coinvolgimento della società civile. È necessario aprire una stagione di confronto più ampio nei partiti e fuori".
Lei afferma che nei congressi del 2007 i partiti non si sciolgono. Allora tornate al punto di partenza, alla federazione?
"No: l'obiettivo è un partito vero, non una debole federazione di partiti. Ma il mio amico Shimon Peres usa ricordare che con quattro uova si fa una buona frittata, con una frittata non si fanno quattro uova. Attenzione: un processo va costruito nel modo giusto, se costruito in modo sbagliato non raggiunge l'obiettivo".
Quale sarebbe il modo sbagliato?
"Credere che il Pd si possa far nascere in qualche settimana, chiedendo ai partiti di dissolversi. Sarebbe uno sciogliete le righe che non porterebbe da nessuna parte".
A Orvieto Salvatore Vassallo ha proposto le primarie per eleggere la cabina di regia del nuovo partito. Condivide?
"La contrapposizione tra la partecipazione dei cittadini e la militanza nei partiti è un falso dilemma. Noi abbiamo bisogno di un partito vero, non di un movimento di opinione che rischia di esaltare il ruolo di ristrette oligarchie e nomenklature. Con regole fondate sulla partecipazione democratica: primarie, referendum tra iscritti e elettori, termine di mandato per i dirigenti, voto segreto, rapporto agile con la società. Con grande sincerità, non sono cose che ha scoperto Vassallo: alla conferenza del 1990 per il Pds l'anno sabbatico per i funzionari di partito lo proposi io".
Le minoranze le chiedono di parlare chiaro: è vero che state per chiudere i Ds?
Piero Fassino
Il Pd non lo facciamo per quelli che come me hanno già compiuto un bel pezzo della loro vita politica. Lo facciamo per le generazioni nuove che verranno... Piero Fassino accelera sul Partito democratico. Si è rivolto direttamente alla base ds con un lungo articolo su 'l'Unità'. E ora avverte le minoranze: "Angius era contrario alla svolta dell'89: dove saremmo oggi se gli avessimo dato retta? Non voglio separazioni o scissioni, ma la mia disponibilità al dialogo non mi porta a rinunciare o a indebolire il progetto".
Come mai questo intervento su 'l'Unità'? Sente che la base è inquieta?
"L'obiettivo è parlare al nostro popolo. Interrogativi e inquietudini non sono sul senso del progetto, ma su come realizzarlo. C'è la consapevolezza tra elettori, militanti e dirigenti che non possiamo stare fermi. C'è una crisi di sistema, c'è da ricostruire il senso di appartenenza a una nazione. Sulla Finanziaria nessuna categoria si è fatta carico dell'interesse generale, è la prima volta che accade. Il Partito democratico ha il compito che ebbe Adenauer quando restituì identità alla Germania o Kohl e Brandt quando la riunificarono, un passaggio non dissimile da quello vissuto dalla Francia dopo la crisi della Quarta repubblica, la sfida su cui si misurò González nella transizione dal franchismo alla democrazia in Spagna. Un progetto alto, culturale prima che politico: l'Italia, la sua vocazione, il suo destino. È una sfida appassionante: dobbiamo costruire un percorso all'altezza, coinvolgendo milioni di persone. Io cerco di rafforzare il progetto".
Le minoranze Ds la accusano di parlare molto sui giornali e poco nel partito.
"Sono un convinto sostenitore del Pd, mi sto spendendo per questo obiettivo. Mi comporto come in altri momenti cruciali hanno fatto i miei predecessori. Non voglio fare paragoni impropri, ma Enrico Berlinguer avanzò la proposta del compromesso storico su 'Rinascita', non al comitato centrale del Pci. E disse di sentirsi sicuro sotto l'ombrello della Nato in un'intervista con Giampaolo Pansa sul 'Corriere'. Chi ripete che tutto si deve discutere nelle sedi formali dimentica che la società non dipende solo da quel che accade nei partiti".
Come mai questo intervento su 'l'Unità'? Sente che la base è inquieta?
"L'obiettivo è parlare al nostro popolo. Interrogativi e inquietudini non sono sul senso del progetto, ma su come realizzarlo. C'è la consapevolezza tra elettori, militanti e dirigenti che non possiamo stare fermi. C'è una crisi di sistema, c'è da ricostruire il senso di appartenenza a una nazione. Sulla Finanziaria nessuna categoria si è fatta carico dell'interesse generale, è la prima volta che accade. Il Partito democratico ha il compito che ebbe Adenauer quando restituì identità alla Germania o Kohl e Brandt quando la riunificarono, un passaggio non dissimile da quello vissuto dalla Francia dopo la crisi della Quarta repubblica, la sfida su cui si misurò González nella transizione dal franchismo alla democrazia in Spagna. Un progetto alto, culturale prima che politico: l'Italia, la sua vocazione, il suo destino. È una sfida appassionante: dobbiamo costruire un percorso all'altezza, coinvolgendo milioni di persone. Io cerco di rafforzare il progetto".
Le minoranze Ds la accusano di parlare molto sui giornali e poco nel partito.
"Sono un convinto sostenitore del Pd, mi sto spendendo per questo obiettivo. Mi comporto come in altri momenti cruciali hanno fatto i miei predecessori. Non voglio fare paragoni impropri, ma Enrico Berlinguer avanzò la proposta del compromesso storico su 'Rinascita', non al comitato centrale del Pci. E disse di sentirsi sicuro sotto l'ombrello della Nato in un'intervista con Giampaolo Pansa sul 'Corriere'. Chi ripete che tutto si deve discutere nelle sedi formali dimentica che la società non dipende solo da quel che accade nei partiti".
All'incontro di Orvieto si disse che il treno del Pd era finalmente partito. E dopo? Ha rallentato?
"Nessun ripensamento. L'attenzione si è concentrata sulla legge Finanziaria. Ora bisogna rimettere al centro dell'agenda il Partito democratico. Finora è mancato un largo coinvolgimento della società civile. È necessario aprire una stagione di confronto più ampio nei partiti e fuori".
Lei afferma che nei congressi del 2007 i partiti non si sciolgono. Allora tornate al punto di partenza, alla federazione?
"No: l'obiettivo è un partito vero, non una debole federazione di partiti. Ma il mio amico Shimon Peres usa ricordare che con quattro uova si fa una buona frittata, con una frittata non si fanno quattro uova. Attenzione: un processo va costruito nel modo giusto, se costruito in modo sbagliato non raggiunge l'obiettivo".
Quale sarebbe il modo sbagliato?
"Credere che il Pd si possa far nascere in qualche settimana, chiedendo ai partiti di dissolversi. Sarebbe uno sciogliete le righe che non porterebbe da nessuna parte".
A Orvieto Salvatore Vassallo ha proposto le primarie per eleggere la cabina di regia del nuovo partito. Condivide?
"La contrapposizione tra la partecipazione dei cittadini e la militanza nei partiti è un falso dilemma. Noi abbiamo bisogno di un partito vero, non di un movimento di opinione che rischia di esaltare il ruolo di ristrette oligarchie e nomenklature. Con regole fondate sulla partecipazione democratica: primarie, referendum tra iscritti e elettori, termine di mandato per i dirigenti, voto segreto, rapporto agile con la società. Con grande sincerità, non sono cose che ha scoperto Vassallo: alla conferenza del 1990 per il Pds l'anno sabbatico per i funzionari di partito lo proposi io".
Le minoranze le chiedono di parlare chiaro: è vero che state per chiudere i Ds?
"No. Il congresso di primavera non è chiamato a decidere sullo scioglimento del partito, ma che i Ds partecipino alla fase costituente del Pd. Anche nel 1989, quando il Pci si trasformò in Pds, gli oppositori ci accusavano di voler liquidare una storia. E invece con i Ds abbiamo ripensato la sinistra, le abbiamo restituito linfa e vitalità. Se non avessimo fatto la svolta dove saremmo? Lo chiedo a Gavino Angius che era ostile anche allora: se nell'89 avessimo dato retta a lui, sì che avremmo liquidato la sinistra. E quale proposta avanzano gli oppositori?".
Quella di Angius, Salvi e Fabio Mussi: macché partito democratico, serve un forte partito socialista.
"Intanto, scopro con soddisfazione che ci sono tanti tifosi del socialismo europeo anche tra quanti arricciarono il naso nei primi anni Novanta, quando guidai l'operazione di portare il Pds nell'Internazionale socialista. Comunque, meglio tardi che mai. E poi il socialismo europeo non è un'icona ideologica: il New Labour di Blair, il socialismo francese di Ségolène Royal, il Psoe di González e di Zapatero, la Spd tedesca hanno innovato la propria storia".
A prezzo di scissioni dolorose, però. L'ultima, quella tra la Spd e Lafontaine. Lei, invece, tende la mano a Mussi e a Salvi.
"Tendo la mano, certo, nessun segretario guarda a cuor leggero alle separazioni. Ma la mia apertura, la mia disponibilità non mi portano a rinunciare o a ridurre la portata del progetto. Cerco di convincere i dubbiosi e i contrari che in questo progetto c'è posto anche per loro. Perché l'area di sinistra dei Ds non può essere la sinistra del Pd? Tanto più ora che il Pse è assunto da tutti come l'interlocutore, anche dalla Margherita".
La carta di identità di Rutelli nel Pd sono le liberalizzazioni. E la vostra?
"Chi pensa che nel futuro partito ci possa essere un'anima liberal e innovativa, la Margherita, e una più tradizionalista sul fronte sociale, i Ds, fa una caricatura. Mi auguro che la Margherita non sottovaluti l'importanza dei temi sociali. E poi anche noi Ds vogliamo modernizzare la vita economica del paese: sul binomio innovazione-protezione, diritti-modernità, coesione sociale e redistribuzione delle risorse. Le liberalizzazioni non sono un'identità, sono lo strumento di una più ampia strategia riformatrice".
Con il nuovo partito i vecchi spariscono: o no?
"Quando un uomo e una donna mettono al mondo un figlio è fondamentale l'atto di generazione. Poi il bambino viene aiutato dai genitori a muovere i primi passi, solo a un certo punto acquista una personalità autonoma. Senza un atto di generazione dei Ds e della Margherita il Pd non nasce. Facciamo nascere una creatura nuova sapendo che man mano crescerà, fino a diventare un partito pienamente costituito e sovrano".
Cosa succederà durante la gestazione?
"Il timing è questo: congressi nella primavera 2007, assemblea costituente tra fine 2007 e inizio 2008, entro il 2009 fondazione del nuovo partito per presentarsi alle elezioni europee. In questo calendario ci saranno i vari passaggi".
E a quel punto papà Ds e mamma Margherita salutano: non sbaglia chi dice che il prossimo sarà l'ultimo congresso.
"Non so, valuteremo se saranno necessari altri passaggi statutari. Conta che in questo processo i Ds mettano tutta la loro forza. Io lavoro per questo. Nel 2001 avevamo perso le elezioni, la classe dirigente era in disarmo, quando fui eletto segretario dissero che ero il curatore fallimentare di un'azienda da chiudere. Da allora abbiamo vinto tutte le elezioni e siamo tornati al governo. Adesso è il tempo di un nuovo passo in avanti. Dobbiamo pensare a quelli che verranno. Il Pd non lo facciamo per quelli che come me per ragioni anagrafiche hanno già compiuto un bel pezzo della loro vita politica. Lo facciamo per le generazioni nuove che ci spingono ad avere più coraggio. La saggezza di una classe dirigente è saper guardare al futuro, non all'indietro".
Chi guiderà questo processo?
"Dovremo deciderlo tutti insieme. Da subito dobbiamo coinvolgere altri soggetti politici, a partire dai socialisti dello Sdi, data la crisi della Rosa nel pugno, e soggetti della società civile. Il manifesto e la rivista vanno in questa direzione. Non dobbiamo aspettare i congressi per farli partire. Dopo i congressi nasceranno i comitati del Pd e tutto ciò che insieme decideremo di costruire".
Quella di Angius, Salvi e Fabio Mussi: macché partito democratico, serve un forte partito socialista.
"Intanto, scopro con soddisfazione che ci sono tanti tifosi del socialismo europeo anche tra quanti arricciarono il naso nei primi anni Novanta, quando guidai l'operazione di portare il Pds nell'Internazionale socialista. Comunque, meglio tardi che mai. E poi il socialismo europeo non è un'icona ideologica: il New Labour di Blair, il socialismo francese di Ségolène Royal, il Psoe di González e di Zapatero, la Spd tedesca hanno innovato la propria storia".
A prezzo di scissioni dolorose, però. L'ultima, quella tra la Spd e Lafontaine. Lei, invece, tende la mano a Mussi e a Salvi.
"Tendo la mano, certo, nessun segretario guarda a cuor leggero alle separazioni. Ma la mia apertura, la mia disponibilità non mi portano a rinunciare o a ridurre la portata del progetto. Cerco di convincere i dubbiosi e i contrari che in questo progetto c'è posto anche per loro. Perché l'area di sinistra dei Ds non può essere la sinistra del Pd? Tanto più ora che il Pse è assunto da tutti come l'interlocutore, anche dalla Margherita".
La carta di identità di Rutelli nel Pd sono le liberalizzazioni. E la vostra?
"Chi pensa che nel futuro partito ci possa essere un'anima liberal e innovativa, la Margherita, e una più tradizionalista sul fronte sociale, i Ds, fa una caricatura. Mi auguro che la Margherita non sottovaluti l'importanza dei temi sociali. E poi anche noi Ds vogliamo modernizzare la vita economica del paese: sul binomio innovazione-protezione, diritti-modernità, coesione sociale e redistribuzione delle risorse. Le liberalizzazioni non sono un'identità, sono lo strumento di una più ampia strategia riformatrice".
Con il nuovo partito i vecchi spariscono: o no?
"Quando un uomo e una donna mettono al mondo un figlio è fondamentale l'atto di generazione. Poi il bambino viene aiutato dai genitori a muovere i primi passi, solo a un certo punto acquista una personalità autonoma. Senza un atto di generazione dei Ds e della Margherita il Pd non nasce. Facciamo nascere una creatura nuova sapendo che man mano crescerà, fino a diventare un partito pienamente costituito e sovrano".
Cosa succederà durante la gestazione?
"Il timing è questo: congressi nella primavera 2007, assemblea costituente tra fine 2007 e inizio 2008, entro il 2009 fondazione del nuovo partito per presentarsi alle elezioni europee. In questo calendario ci saranno i vari passaggi".
E a quel punto papà Ds e mamma Margherita salutano: non sbaglia chi dice che il prossimo sarà l'ultimo congresso.
"Non so, valuteremo se saranno necessari altri passaggi statutari. Conta che in questo processo i Ds mettano tutta la loro forza. Io lavoro per questo. Nel 2001 avevamo perso le elezioni, la classe dirigente era in disarmo, quando fui eletto segretario dissero che ero il curatore fallimentare di un'azienda da chiudere. Da allora abbiamo vinto tutte le elezioni e siamo tornati al governo. Adesso è il tempo di un nuovo passo in avanti. Dobbiamo pensare a quelli che verranno. Il Pd non lo facciamo per quelli che come me per ragioni anagrafiche hanno già compiuto un bel pezzo della loro vita politica. Lo facciamo per le generazioni nuove che ci spingono ad avere più coraggio. La saggezza di una classe dirigente è saper guardare al futuro, non all'indietro".
Chi guiderà questo processo?
"Dovremo deciderlo tutti insieme. Da subito dobbiamo coinvolgere altri soggetti politici, a partire dai socialisti dello Sdi, data la crisi della Rosa nel pugno, e soggetti della società civile. Il manifesto e la rivista vanno in questa direzione. Non dobbiamo aspettare i congressi per farli partire. Dopo i congressi nasceranno i comitati del Pd e tutto ciò che insieme decideremo di costruire".
Finora la sinistra è stata guidata alle elezioni da un uomo del centro: Prodi, Rutelli. Con il Pd verrà il vostro momento?
"Il Pd è il campo più largo dove c'è pari dignità per tutti. I Ds tra i soci costituenti sono la forza più grande, per peso elettorale e radicamento nella società. Sarebbe curioso che la costruzione del Pd finisse per inibire la funzione dirigente del principale azionista del nuovo partito. Ma se uno di noi lo dirigerà sarà non in nome del fatto che viene di lì, ma perché lo decideranno tutti gli aderenti al nuovo partito".
Potrebbe essere una donna?
"Vogliamo fare un partito di uomini e di donne. Nel Pd le donne dovranno avere gli stessi diritti e opportunità degli uomini".
"Il Pd è il campo più largo dove c'è pari dignità per tutti. I Ds tra i soci costituenti sono la forza più grande, per peso elettorale e radicamento nella società. Sarebbe curioso che la costruzione del Pd finisse per inibire la funzione dirigente del principale azionista del nuovo partito. Ma se uno di noi lo dirigerà sarà non in nome del fatto che viene di lì, ma perché lo decideranno tutti gli aderenti al nuovo partito".
Potrebbe essere una donna?
"Vogliamo fare un partito di uomini e di donne. Nel Pd le donne dovranno avere gli stessi diritti e opportunità degli uomini".