La mucca vale più dell'uomo
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di Enrico PedemonteOgni bovino in Europa riceve 2 dollari in sussidi pubblici. Più del reddito individuale di metà della popolazione mondiale. La denuncia del Nobel. Colloquio con Joseph Stiglitz
Per spiegare l'apparente paradosso, Stiglitz ricorda che le mucche europee ricevono 2 dollari di sussidi pubblici al giorno ciascuna, più del reddito individuale di metà dei cittadini del mondo. In questo modo i paesi ricchi, soprattutto Stati Uniti ed Europa, proteggono la propria agricoltura e la propria zootecnia dalla concorrenza dei paesi poveri, negando loro di crescere nell'unico mercato dove potrebbero essere competitivi a livello internazionale. Stiglitz, ex consigliere economico di Bill Clinton alla Casa Bianca, nel 1997 divenne economista-capo alla Banca mondiale. Ma nel 2000 fu licenziato per le sue critiche velenose alle grandi istituzioni internazionali: la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e il Wto, responsabili, secondo lui, di una globalizzazione ingiusta e squilibrata a vantaggio dei paesi ricchi. Da allora la statura di Stiglitz ha continuato a crescere. Nel 2001 ebbe il Nobel per in suoi studi di microeconomia e nel 2002 pubblicò 'La globalizzazione e i suoi oppositori' (Einaudi), presto divenuto un manifesto del movimento no global nel mondo.
Professor Stiglitz, lei crede che il taglio dei sussidi agli agricoltori sia politicamente praticabile negli Stati Uniti e in Europa?
"Negli Usa gran parte degli aiuti all'agricoltura vanno alle grandi corporation. Circa 25 mila aziende si dividono 3 o 4 miliardi di dollari. Ma il grosso va alle aziende più grandi. E in questo modo si danneggiano 10 milioni di agricoltori dell'Africa subsahariana, che hanno redditi sotto i 2 dollari al giorno. In realtà il numero di persone che trarrebbe vantaggio da una globalizzazione di questi commerci sarebbe assai maggiore del numero degli agricoltori favoriti dai sussidi. Nel mondo della finanza molti ne sono consapevoli, e sanno che gli aiuti alle aziende agricole sono un ostacolo a nuovi commerci. Il fatto è che l'attuale libero mercato non è equo perché non è realmente libero".
Si spieghi meglio...
"L'accordo di libero scambio del Nord America con Messico e Canada non è stato un accordo basato sul libero mercato: infatti noi abbiamo mantenuto i sussidi e le barriere non tariffarie. Gli Stati Uniti non hanno mai davvero sposato il libero mercato. Lo hanno solo usato come slogan".
Lei scrive che il 59 per cento della popolazione del mondo vive in paesi dove l'ineguaglianza sta crescendo. Perché?
"Le cause di questo fenomeno sono complesse, e non del tutto chiare. Specie nelle società avanzate, la globalizzazione fa calare gli stipendi dei lavoratori meno qualificati e indebolisce i sindacati. Anche l'innovazione tecnologica ha un ruolo. Così l'ineguaglianza aumenta. Sono gli stessi costumi sociali a mutare in profondità, per esempio lo stesso concetto di 'giusto compenso'. Gli amministratori delegati si sono impadroniti di una fetta enorme del valore prodotto dalle aziende e il rapporto tra il loro stipendio e quelli dei lavoratori è cambiato radicalmente".
La reazione all'ineguaglianza crescente mette in pericolo la globalizzazione?
"Le classi sociali più deboli vanno indietro e la loro reazione è già molto forte. Non abbastanza da fare arretrare il processo di globalizzazione, ma abbastanza da rendere sempre più difficile l'allargamento a nuovi traffici".
Molti sostengono che negli Stati Uniti sta crescendo un movimento populista. C'è il rischio di un nuovo protezionismo?
"Dipende da come andrà l'economia. Le politiche protezionistiche si rafforzano quando la disoccupazione è alta e i salari reali bassi. Oggi la disoccupazione è bassa, ma i salari delle classi più deboli sono in diminuzione, l'insicurezza economica cresce e si diffonde le paura di perdere il posto di lavoro. Così cresce il rischio di una reazione negativa verso la globalizzazione".
Il premio Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz
È meglio essere una mucca europea che un cittadino povero in un paese in via di sviluppo, sostiene Joseph Stiglitz, Nobel per l'economia. Lo ha scritto nel suo libro più recente, 'Making Globalization Work' (pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo 'La globalizzazione che funziona'), e lo ripete nel suo studio alla Columbia University, dove insegna e dove lo intervistiamo. Per spiegare l'apparente paradosso, Stiglitz ricorda che le mucche europee ricevono 2 dollari di sussidi pubblici al giorno ciascuna, più del reddito individuale di metà dei cittadini del mondo. In questo modo i paesi ricchi, soprattutto Stati Uniti ed Europa, proteggono la propria agricoltura e la propria zootecnia dalla concorrenza dei paesi poveri, negando loro di crescere nell'unico mercato dove potrebbero essere competitivi a livello internazionale. Stiglitz, ex consigliere economico di Bill Clinton alla Casa Bianca, nel 1997 divenne economista-capo alla Banca mondiale. Ma nel 2000 fu licenziato per le sue critiche velenose alle grandi istituzioni internazionali: la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e il Wto, responsabili, secondo lui, di una globalizzazione ingiusta e squilibrata a vantaggio dei paesi ricchi. Da allora la statura di Stiglitz ha continuato a crescere. Nel 2001 ebbe il Nobel per in suoi studi di microeconomia e nel 2002 pubblicò 'La globalizzazione e i suoi oppositori' (Einaudi), presto divenuto un manifesto del movimento no global nel mondo.
Professor Stiglitz, lei crede che il taglio dei sussidi agli agricoltori sia politicamente praticabile negli Stati Uniti e in Europa?
"Negli Usa gran parte degli aiuti all'agricoltura vanno alle grandi corporation. Circa 25 mila aziende si dividono 3 o 4 miliardi di dollari. Ma il grosso va alle aziende più grandi. E in questo modo si danneggiano 10 milioni di agricoltori dell'Africa subsahariana, che hanno redditi sotto i 2 dollari al giorno. In realtà il numero di persone che trarrebbe vantaggio da una globalizzazione di questi commerci sarebbe assai maggiore del numero degli agricoltori favoriti dai sussidi. Nel mondo della finanza molti ne sono consapevoli, e sanno che gli aiuti alle aziende agricole sono un ostacolo a nuovi commerci. Il fatto è che l'attuale libero mercato non è equo perché non è realmente libero".
Si spieghi meglio...
"L'accordo di libero scambio del Nord America con Messico e Canada non è stato un accordo basato sul libero mercato: infatti noi abbiamo mantenuto i sussidi e le barriere non tariffarie. Gli Stati Uniti non hanno mai davvero sposato il libero mercato. Lo hanno solo usato come slogan".
Lei scrive che il 59 per cento della popolazione del mondo vive in paesi dove l'ineguaglianza sta crescendo. Perché?
"Le cause di questo fenomeno sono complesse, e non del tutto chiare. Specie nelle società avanzate, la globalizzazione fa calare gli stipendi dei lavoratori meno qualificati e indebolisce i sindacati. Anche l'innovazione tecnologica ha un ruolo. Così l'ineguaglianza aumenta. Sono gli stessi costumi sociali a mutare in profondità, per esempio lo stesso concetto di 'giusto compenso'. Gli amministratori delegati si sono impadroniti di una fetta enorme del valore prodotto dalle aziende e il rapporto tra il loro stipendio e quelli dei lavoratori è cambiato radicalmente".
La reazione all'ineguaglianza crescente mette in pericolo la globalizzazione?
"Le classi sociali più deboli vanno indietro e la loro reazione è già molto forte. Non abbastanza da fare arretrare il processo di globalizzazione, ma abbastanza da rendere sempre più difficile l'allargamento a nuovi traffici".
Molti sostengono che negli Stati Uniti sta crescendo un movimento populista. C'è il rischio di un nuovo protezionismo?
"Dipende da come andrà l'economia. Le politiche protezionistiche si rafforzano quando la disoccupazione è alta e i salari reali bassi. Oggi la disoccupazione è bassa, ma i salari delle classi più deboli sono in diminuzione, l'insicurezza economica cresce e si diffonde le paura di perdere il posto di lavoro. Così cresce il rischio di una reazione negativa verso la globalizzazione".
Anche la classe media è danneggiata?
"Secondo gli ultimi dati, le condizioni della classe media stanno peggiorando. Nonostante i tagli alle tasse, il reddito di oggi è inferiore di quello di sei anni fa".
Lei crede che il pendolo del libero mercato sia arrivato a fine corsa e stia cominciando una fase nuova?
"Sì. George Bush rappresenta la prosecuzione dell'estremismo di Reagan. Bush padre era un po' più moderato, mentre l'attuale presidente è più estremo di Reagan. Il suo governo è un miscuglio di ideologia, incompetenza e corruzione. E anche quelli che apprezzavano la filosofia di Reagan rifiutano questo stato di cose".
Nel suo libro il nuovo modello a cui guarda sembra essere la socialdemocrazia scandinava.
"Uno dei problemi posti dalla globalizzazione è il seguente: 'Si può avere uno Stato sociale forte con gli attuali livelli di mobilità del capitale?'. Credo che la risposta sia positiva. Ma a una condizione: che i soldi pubblici siano spesi straordinariamente bene, come fanno in Finlandia. Bisogna che gli elettori si convincano che con il denaro delle loro tasse si costruiscono buone strade, ottime scuole, efficienti centri di ricerca e così si rende l'economia più competitiva. La globalizzazione ha reso più difficile un modello come questo e ha legato le mani ai politici. Ma questa è anche una delle ragioni dell'attuale reazione anti- globalizzazione. Il modello scandinavo consente alla globalizzazione di funzionare meglio".
Lei propone di cambiare il sistema dei diritti della proprietà intellettuale. Perché?
"Il sistema attuale non funziona per i paesi in via di sviluppo. La differenza tra paesi sviluppati e paesi poveri sta anche nella disparità di conoscenze. Per esempio, le regole attuali rendono difficile l'accesso ai farmaci salvavita. Per questa ragione molta gente muore, e questo dovrebbe essere considerato poco etico. Recentemente l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto che l'attuale regime della proprietà intellettuale non produce le innovazioni necessarie per combattere le malattie che colpiscono i paesi in via di sviluppo. Non chiedo la distruzione della proprietà intellettuale. Propongo un fondo che garantisca un premio agli innovatori. Un'azienda che inventa un vaccino per la malaria dovrebbe ricevere un grosso compenso. Senza bloccare la diffusione della conoscenza".
Lei da anni si batte per riformare la Banca mondiale, il Fondo monetario, il Wto. In che modo?
"Si tratta di organizzazioni internazionali che hanno il compito di regolare il processo di globalizzazione. Ma lo fanno privilegiando in modo sproporzionato gli interessi e l'ideologia dei paesi ricchi. Prendiamo il Fondo monetario: non è affatto riuscito a stabilizzare i mercati finanziari globali. Al contrario, ha spinto verso una liberalizzazione che ha destabilizzato molte economie in fase di transizione. Lo stesso discorso vale per il Wto, che ha stipulato accordi ingiusti nei confronti dei paesi in via di sviluppo: i più poveri sono stati i peggio trattati".
È ciò che lei definisce 'deficit di democrazia'.
"In teoria queste istituzioni pubbliche internazionali dovrebbero essere guidate da principi democratici, in realtà non lo sono. Il modo in cui i leader vengono scelti, i diritti di voto, l'attribuzione delle responsabilità, tutto riflette un grave deficit di democrazia. Se queste organizzazioni dovessero rispondere direttamente ai cittadini si comporterebbero assai meglio".
In questo modo lei chiede ai paesi più potenti di rinunciare al loro potere.
"In realtà queste organizzazioni stanno facendo l'interesse degli Stati Uniti e dell'Europa. Il deficit di democrazia che si riscontra in queste organizzazioni internazionali è lo stesso deficit che si riscontra all'interno dei nostri paesi. Se si chiede agli americani se ritengono giusto dare i farmaci salvavita ai malati di Aids in Africa, il 95 per cento risponde di sì. Nonostante ciò gli Stati Uniti hanno firmato un accordo che rende più difficile l'accesso a questi farmaci".
"Secondo gli ultimi dati, le condizioni della classe media stanno peggiorando. Nonostante i tagli alle tasse, il reddito di oggi è inferiore di quello di sei anni fa".
Lei crede che il pendolo del libero mercato sia arrivato a fine corsa e stia cominciando una fase nuova?
"Sì. George Bush rappresenta la prosecuzione dell'estremismo di Reagan. Bush padre era un po' più moderato, mentre l'attuale presidente è più estremo di Reagan. Il suo governo è un miscuglio di ideologia, incompetenza e corruzione. E anche quelli che apprezzavano la filosofia di Reagan rifiutano questo stato di cose".
Nel suo libro il nuovo modello a cui guarda sembra essere la socialdemocrazia scandinava.
"Uno dei problemi posti dalla globalizzazione è il seguente: 'Si può avere uno Stato sociale forte con gli attuali livelli di mobilità del capitale?'. Credo che la risposta sia positiva. Ma a una condizione: che i soldi pubblici siano spesi straordinariamente bene, come fanno in Finlandia. Bisogna che gli elettori si convincano che con il denaro delle loro tasse si costruiscono buone strade, ottime scuole, efficienti centri di ricerca e così si rende l'economia più competitiva. La globalizzazione ha reso più difficile un modello come questo e ha legato le mani ai politici. Ma questa è anche una delle ragioni dell'attuale reazione anti- globalizzazione. Il modello scandinavo consente alla globalizzazione di funzionare meglio".
Lei propone di cambiare il sistema dei diritti della proprietà intellettuale. Perché?
"Il sistema attuale non funziona per i paesi in via di sviluppo. La differenza tra paesi sviluppati e paesi poveri sta anche nella disparità di conoscenze. Per esempio, le regole attuali rendono difficile l'accesso ai farmaci salvavita. Per questa ragione molta gente muore, e questo dovrebbe essere considerato poco etico. Recentemente l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto che l'attuale regime della proprietà intellettuale non produce le innovazioni necessarie per combattere le malattie che colpiscono i paesi in via di sviluppo. Non chiedo la distruzione della proprietà intellettuale. Propongo un fondo che garantisca un premio agli innovatori. Un'azienda che inventa un vaccino per la malaria dovrebbe ricevere un grosso compenso. Senza bloccare la diffusione della conoscenza".
Lei da anni si batte per riformare la Banca mondiale, il Fondo monetario, il Wto. In che modo?
"Si tratta di organizzazioni internazionali che hanno il compito di regolare il processo di globalizzazione. Ma lo fanno privilegiando in modo sproporzionato gli interessi e l'ideologia dei paesi ricchi. Prendiamo il Fondo monetario: non è affatto riuscito a stabilizzare i mercati finanziari globali. Al contrario, ha spinto verso una liberalizzazione che ha destabilizzato molte economie in fase di transizione. Lo stesso discorso vale per il Wto, che ha stipulato accordi ingiusti nei confronti dei paesi in via di sviluppo: i più poveri sono stati i peggio trattati".
È ciò che lei definisce 'deficit di democrazia'.
"In teoria queste istituzioni pubbliche internazionali dovrebbero essere guidate da principi democratici, in realtà non lo sono. Il modo in cui i leader vengono scelti, i diritti di voto, l'attribuzione delle responsabilità, tutto riflette un grave deficit di democrazia. Se queste organizzazioni dovessero rispondere direttamente ai cittadini si comporterebbero assai meglio".
In questo modo lei chiede ai paesi più potenti di rinunciare al loro potere.
"In realtà queste organizzazioni stanno facendo l'interesse degli Stati Uniti e dell'Europa. Il deficit di democrazia che si riscontra in queste organizzazioni internazionali è lo stesso deficit che si riscontra all'interno dei nostri paesi. Se si chiede agli americani se ritengono giusto dare i farmaci salvavita ai malati di Aids in Africa, il 95 per cento risponde di sì. Nonostante ciò gli Stati Uniti hanno firmato un accordo che rende più difficile l'accesso a questi farmaci".
Perché?
"Perché prevalgono gli interessi particolari, ma le cose stanno cambiando. Sono stato spesso invitato da diversi comitati del Parlamento britannico. Ho chiesto: 'Perché mi chiamate sempre a parlare di debito del Terzo mondo, aiuti ai paesi poveri, commercio equo?'. Mi hanno risposto: 'Perché è questo che interessa ai nostri cittadini'. Fino a oggi la politica economica è stata gestita dalle multinazionali che facevano prevalere i loro interessi su quelli dei cittadini comuni. Ma la reazione alla globalizzazione sta cambiando le cose".
Lei propone un nuovo sistema monetario internazionale. Può spiegare di che cosa si tratta?
"Bisogna partire dal fatto che l'attuale sistema basato sulle riserve in dollari non funziona più. Ci sono tre problemi. Primo: ormai molti non voglio più avere riserve in dollari. Con l'attuale andamento del cambio, paesi come la Cina ci stanno rimettendo montagne di denaro rispetto a quello che avrebbero guadagnato se avessero comprato euro. Nel mondo cresce la preoccupazione di dover dipendere da un paese che deve così tanti soldi - e ormai sono molte migliaia di miliardi di dollari - a così tanti creditori. È troppo rischioso. C'è un secondo problema: oggi gli Usa si fanno prestare soldi a un tasso di interesse molto basso, mentre i paesi in via di sviluppo per avere soldi in prestito dagli Usa devono pagare interessi assai più alti, e sono gli stessi dollari! Terzo: tutto ciò esercita un effetto negativo sull'economia globale".
Perché?
"Tutti questi paesi che investono in dollari - e sto parlando dai 3 ai 5 miliardi di dollari all'anno - è come se seppellissero sotto terra il loro potere d'acquisto. E questo ha un effetto deflattivo sull'economia globale".
Quindi lei propone di creare una nuova valuta per le riserve internazionali.
"Qualcosa di simile agli attuali Diritti speciali di prelievo emessi dal Fondo monetario. Si potrebbe passare a un nuovo sistema dollaro-euro, ma nel mio libro spiego perché non sarebbe una buona cosa né per l'Europa né per il mondo. In ogni caso è un problema che va affrontato e risolto. C'è in calendario una riunione dell'Onu chiesta dal Bangladesh su questo problema".
"Perché prevalgono gli interessi particolari, ma le cose stanno cambiando. Sono stato spesso invitato da diversi comitati del Parlamento britannico. Ho chiesto: 'Perché mi chiamate sempre a parlare di debito del Terzo mondo, aiuti ai paesi poveri, commercio equo?'. Mi hanno risposto: 'Perché è questo che interessa ai nostri cittadini'. Fino a oggi la politica economica è stata gestita dalle multinazionali che facevano prevalere i loro interessi su quelli dei cittadini comuni. Ma la reazione alla globalizzazione sta cambiando le cose".
Lei propone un nuovo sistema monetario internazionale. Può spiegare di che cosa si tratta?
"Bisogna partire dal fatto che l'attuale sistema basato sulle riserve in dollari non funziona più. Ci sono tre problemi. Primo: ormai molti non voglio più avere riserve in dollari. Con l'attuale andamento del cambio, paesi come la Cina ci stanno rimettendo montagne di denaro rispetto a quello che avrebbero guadagnato se avessero comprato euro. Nel mondo cresce la preoccupazione di dover dipendere da un paese che deve così tanti soldi - e ormai sono molte migliaia di miliardi di dollari - a così tanti creditori. È troppo rischioso. C'è un secondo problema: oggi gli Usa si fanno prestare soldi a un tasso di interesse molto basso, mentre i paesi in via di sviluppo per avere soldi in prestito dagli Usa devono pagare interessi assai più alti, e sono gli stessi dollari! Terzo: tutto ciò esercita un effetto negativo sull'economia globale".
Perché?
"Tutti questi paesi che investono in dollari - e sto parlando dai 3 ai 5 miliardi di dollari all'anno - è come se seppellissero sotto terra il loro potere d'acquisto. E questo ha un effetto deflattivo sull'economia globale".
Quindi lei propone di creare una nuova valuta per le riserve internazionali.
"Qualcosa di simile agli attuali Diritti speciali di prelievo emessi dal Fondo monetario. Si potrebbe passare a un nuovo sistema dollaro-euro, ma nel mio libro spiego perché non sarebbe una buona cosa né per l'Europa né per il mondo. In ogni caso è un problema che va affrontato e risolto. C'è in calendario una riunione dell'Onu chiesta dal Bangladesh su questo problema".
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