Mai più invisibili
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di Fabrizio Gatti
Dopo la denuncia de L'espresso il viceministro dell'Interno, Marco Minniti, parla dell'urgenza di riformare la Bossi-Fini per tutelare l'immigrazione. L'intervista Marco Minniti
Marco Minniti, lei è viceministro dell'Interno. Cosa altro farà il governo?
"Innanzitutto il quadro che emerge dalla vostra inchiesta ha bisogno di una risposta articolata. Ci sono responsabilità che afferiscono al ministero dell'Interno. E quella del ministro Amato è stata una risposta tempestiva. Il ministro del Lavoro, Damiano, ha inviato ispettori. Anche i ministeri delle Politiche agricole e della Giustizia si sono mossi subito. La risposta deve agire con una concertazione".
Nel frattempo cosa è già stato fatto?
"La prima questione era di avviare un'indagine conoscitiva. Capire come stanno le cose. L'inchiesta giornalistica è l'occasione per aprire uno squarcio. Non è che la questione ci colga totalmente impreparati. Tuttavia lo spaccato che viene fuori sollecita un salto di qualità nella capacità di prevenzione, di coordinamento e di repressione del fenomeno. Il questore di Foggia ci ha già inviato il rapporto che abbiamo chiesto".
L'attività di controllo o di repressione della questura può bastare?
"No, non è un caso che l'intenzione del ministero sia anche quella di dar vita a una commissione interforze con Polizia e Carabinieri, che sarà presieduta dal capo della Criminalpol, il prefetto Alessandro Pansa. Si tratta di coniugare il contrasto all'immigrazione clandestina con le conseguenze di queste forme inaccettabili di sfruttamento".
Cosa vi ha colpito di più di quanto avviene a Foggia?
"Il sistema odioso di sfruttamento di uomo su uomo. E il fatto che, poiché si tratta di clandestini, questa situazione possa diventare invisibile. Così nessuno può sapere se un clandestino compare o scompare".
Quali compiti avrà la commissione?
"Capire se la risposta dello Stato è all'altezza. Se ci sono questioni da correggere, o punti di debolezza. Poi c'è una funzione più complicata che è capire quali strumenti mettere in campo. Tenendo conto che questo è l'aspetto fondamentale dell'impegno di un Paese su principi di civiltà".
Non è solo il caso della Puglia: segnalazioni di braccianti in schiavitù vengono da Campania, Calabria e Sicilia. Poi c'è l'edilizia, a Sud e Nord.
"Il quadro tracciato da 'L'espresso' può ripetersi in altre realtà. È giusto sottolineare che ci sono casi limite nel mondo della produzione agricola. Però è vero, sono casi limite che potrebbero non fermarsi solo alla provincia di Foggia. Ma c'è un secondo livello di intervento, cioè implementare l'attività investigativa in stretto contatto con l'autorità giudiziaria".
In un grande pezzo di Italia vengono calpestati i diritti fondamentali. Come è potuto accadere?
"Quando si manifestano situazioni così acute, non c'è dubbio che maglie del controllo non abbiano funzionato a sufficienza. Ma dobbiamo dimostrarci un Paese serio, senza scarichi di responsabilità. Abbiamo un quadro che richiede una assunzione di responsabilità complessiva e la capacità di dare una risposta complessa che deve essere all'altezza. Sapendo poi che sul tema immigrazione, in questi anni, l'attenzione si è concentrata sugli aspetti dell'ingresso e del respingimento".
Perché non ci si è invece accorti di quanto avviene dentro i nostri confini?
"Perché è passata una concezione della clandestinità che ha portato a non prestare attenzione alle forme di sfruttamento dei clandestini".
Si è forse guardato troppo alla sicurezza?
"È una questione di priorità. Se l'idea era costruire l'inespugnabilità delle frontiere o pensare alla clandestinità come un reato in sé, è chiaro che lo sfruttamento del clandestino appariva secondario".
Sfruttamento, pestaggi, scomparse, omicidi non possono essere considerati secondari.
"Per questo la risposta che, con il ministro Amato e il governo, vogliamo dare è quella di considerare l'aspetto dello sfruttamento della clandestinità per arrivare a una rilettura complessiva del fenomeno immigrazione. L'idea di inespugnabilità delle frontiere poteva essere sostenuta come propaganda politica dal centrodestra. Ma non è governabile. La vostra inchiesta fa emergere quanto sia forte la motivazione di coloro che entrano nel nostro paese. Forte al punto che qualunque deterrente non scoraggia la determinazione all'ingresso".
Forse non è solo un problema di deterrenza. Gli agricoltori o gli imprenditori italiani i clandestini li prendono a lavorare. E questo basta per tentare il viaggio in Europa.
"Questo è il punto. Serve una forte programmazione sul terreno dei flussi regolari. Se succede che ho 500 mila domande di regolarizzazione da persone che hanno già lavoro e alloggio in Italia e il flusso permette soltanto 180 mila ingressi, è chiaro che spingo gli altri verso la clandestinità".
In che termini la Bossi-Fini va cambiata?
"Primo: cercare di avere un rapporto il più possibile certo sul terreno della regolarità. Discuteremo la riforma in Parlamento. Ma intanto si può cominciare ad affrontare il tema di una immigrazione di qualità. Più il flusso di ingresso è governato, più si può pensare a una immigrazione di qualità".
L'Italia invece ora non fa differenza tra uno spacciatore e un lavoratore sfruttato. Se sono clandestini, la legge li tratta allo stesso modo.
"È per questo che dobbiamo dare la sensazione di un Paese in grado di saper distinguere quello che avviene. E per questo Amato è intervenuto per correggere l'espulsione automatica di chi aveva compiuto atti eroici salvando delle persone. Come Iris, la babysitter che ha pagato con la vita. Per questo va aggiornato l'articolo 18 della legge. Già prevede il soggiorno per coloro che sono vittime e contribuiscono a fare emergere un quadro di reati particolarmente gravi. Bisogna cambiarlo per tutelare anche coloro che, effettivamente collaborando, denunciano i loro sfruttatori. Infine dobbiamo pensare a una collaborazione con gli enti locali per valutare le forme di assistenza e di accoglienza. Anche in maniera un po' diffusa sul territorio perché il quadro che emerge dalla Puglia non è soltanto di sfruttamento sul lavoro, è uno sfruttamento generale".
Come pensate di mettere in atto questa collaborazione?
"Il punto di incrocio tra Comuni e Stato non è quello che il Comune scimmiotti ciò che già fa lo Stato. Ma una complementarietà di funzioni".
Ma molti Comuni, anche di centrosinistra, hanno deciso di gestirsi la sicurezza da sé.
"È il concetto globale di sicurezza che va rivisto. Mi viene in mente una città del Nord. Vedo persone in mimetica nera, chi sono? Sono i reparti speciali della polizia urbana, mi rispondono. Ma non bastano i reparti speciali delle polizie nazionali? Dobbiamo invece pensare a una complementarietà. Come sull'accoglienza. Per comprendere ciò che avviene sul terreno della vita del clandestino".
La reazione degli italiani sembra sempre più dettata dalla paura. Non avete il timore di essere accusati di lassismo?
"No, la nostra non è una impostazione lassista. È una impostazione organica capace di commisurare la prevenzione e la repressione con l'integrazione. E in questo disegno organico è naturale che si affronti anche il tema della cittadinanza".
La Bossi-Fini ha fallito?
"L'equazione tra immigrazione e criminalità è stata un errore strategico. In questo momento una parte significativa delle forze di polizia è impegnata in compiti burocratici: nel rilascio dei permessi di soggiorno, ad esempio. Se riuscissimo a trasferire il rilascio dei permessi di soggiorno ai Comuni, già sappiamo quante forze di polizia potrebbero essere liberate sul territorio".
"È una questione di priorità. Se l'idea era costruire l'inespugnabilità delle frontiere o pensare alla clandestinità come un reato in sé, è chiaro che lo sfruttamento del clandestino appariva secondario".
Sfruttamento, pestaggi, scomparse, omicidi non possono essere considerati secondari.
"Per questo la risposta che, con il ministro Amato e il governo, vogliamo dare è quella di considerare l'aspetto dello sfruttamento della clandestinità per arrivare a una rilettura complessiva del fenomeno immigrazione. L'idea di inespugnabilità delle frontiere poteva essere sostenuta come propaganda politica dal centrodestra. Ma non è governabile. La vostra inchiesta fa emergere quanto sia forte la motivazione di coloro che entrano nel nostro paese. Forte al punto che qualunque deterrente non scoraggia la determinazione all'ingresso".
Forse non è solo un problema di deterrenza. Gli agricoltori o gli imprenditori italiani i clandestini li prendono a lavorare. E questo basta per tentare il viaggio in Europa.
"Questo è il punto. Serve una forte programmazione sul terreno dei flussi regolari. Se succede che ho 500 mila domande di regolarizzazione da persone che hanno già lavoro e alloggio in Italia e il flusso permette soltanto 180 mila ingressi, è chiaro che spingo gli altri verso la clandestinità".
In che termini la Bossi-Fini va cambiata?
"Primo: cercare di avere un rapporto il più possibile certo sul terreno della regolarità. Discuteremo la riforma in Parlamento. Ma intanto si può cominciare ad affrontare il tema di una immigrazione di qualità. Più il flusso di ingresso è governato, più si può pensare a una immigrazione di qualità".
L'Italia invece ora non fa differenza tra uno spacciatore e un lavoratore sfruttato. Se sono clandestini, la legge li tratta allo stesso modo.
"È per questo che dobbiamo dare la sensazione di un Paese in grado di saper distinguere quello che avviene. E per questo Amato è intervenuto per correggere l'espulsione automatica di chi aveva compiuto atti eroici salvando delle persone. Come Iris, la babysitter che ha pagato con la vita. Per questo va aggiornato l'articolo 18 della legge. Già prevede il soggiorno per coloro che sono vittime e contribuiscono a fare emergere un quadro di reati particolarmente gravi. Bisogna cambiarlo per tutelare anche coloro che, effettivamente collaborando, denunciano i loro sfruttatori. Infine dobbiamo pensare a una collaborazione con gli enti locali per valutare le forme di assistenza e di accoglienza. Anche in maniera un po' diffusa sul territorio perché il quadro che emerge dalla Puglia non è soltanto di sfruttamento sul lavoro, è uno sfruttamento generale".
Come pensate di mettere in atto questa collaborazione?
"Il punto di incrocio tra Comuni e Stato non è quello che il Comune scimmiotti ciò che già fa lo Stato. Ma una complementarietà di funzioni".
Ma molti Comuni, anche di centrosinistra, hanno deciso di gestirsi la sicurezza da sé.
"È il concetto globale di sicurezza che va rivisto. Mi viene in mente una città del Nord. Vedo persone in mimetica nera, chi sono? Sono i reparti speciali della polizia urbana, mi rispondono. Ma non bastano i reparti speciali delle polizie nazionali? Dobbiamo invece pensare a una complementarietà. Come sull'accoglienza. Per comprendere ciò che avviene sul terreno della vita del clandestino".
La reazione degli italiani sembra sempre più dettata dalla paura. Non avete il timore di essere accusati di lassismo?
"No, la nostra non è una impostazione lassista. È una impostazione organica capace di commisurare la prevenzione e la repressione con l'integrazione. E in questo disegno organico è naturale che si affronti anche il tema della cittadinanza".
La Bossi-Fini ha fallito?
"L'equazione tra immigrazione e criminalità è stata un errore strategico. In questo momento una parte significativa delle forze di polizia è impegnata in compiti burocratici: nel rilascio dei permessi di soggiorno, ad esempio. Se riuscissimo a trasferire il rilascio dei permessi di soggiorno ai Comuni, già sappiamo quante forze di polizia potrebbero essere liberate sul territorio".